Nell'impianto di estrazione di idrocarburi di In Amenas Il blitz dell'Algeria sacrifica 38 prigionieri Diversi risultano i dispersi Il primo ministro algerino Abdelmalek Sellal comunicava il 21 gennaio che le vittime nel blitz delle forze speciali all'impianto di estrazione del gas di In Amenas per liberare gli ostaggi del commando islamista nell'attacco lanciato cinque giorni prima sono state 38, un algerino e 37 stranieri di otto nazionalità. Un bilancio che sembra provvisorio dato che la compagnia petrolifera norvegese ha segnalato come dispersi cinque dei suoi dipendenti, altri quattro mancano al conto di quelli inglesi. Il bilancio è completato dall'uccisione di 29 membri del gruppo e tre arrestati; liberati i quasi 800 addetti all'impianto che erano ancora prigionieri. Secondo altre fonti le vittime tra i prigionieri sarebbero oltre 50. Con la conclusione della vicenda si sono parzialmente attenuate le critiche alla decisione sul brutale intervento del governo di Algeri per risolvere la questione con la forza, avanzate tra l'altro da Londra e Tokyo; più comprensivi sono stati gli Usa di Obama che ha affermato di rimanere in stretto contatto con Algeri "per capire meglio cosa è successo e lavorare assieme per evitare tragedie simili in futuro" ma è corresponsabile dell'epilogo sanguinoso del blitz per aver respinto qualsiasi trattativa coi sequestratori. Dalla parte del governo di Algeri rimaneva il guerrafondaio socialista francese Hollande che ha bisogno della collaborazione algerina per l'intervento imperialista in Mali. Proprio la partecipazione dell'Algeria alla guerra condotta dalla Francia in Mali era la motivazione dell'attacco rivendicato dal gruppo "Katiba Al Muthalimin" (Battaglione di sangue) di Mokhtar Belmokhtar, uno dei fondatori di Al Qaeda nel Maghreb (Aqmi) lasciata nell'ottobre scorso per dar vita alla nuova organizzazione. Il sito di In Amenas è sfruttato al 45% dalla multinazionale britannica Bp, che ha la responsabilità della gestione delle attività, assieme al gruppo algerino di idrocarburi Sanatrach, alla norvegese Statoil e a società giapponesi. Nell'impianto dove vivono e lavorano 2 mila persone viene estratto un sesto della produzione di gas del paese. La zona degli impianti di idrocarburi è tenuta sotto sorveglianza dall'esercito che ha reagito con un primo attacco ordinato dal governo il 17 gennaio. Gli elicotteri dei corpi speciali bombardavano un convoglio di mezzi coi quali gli assalitori cercavano di portare via un gruppo di ostaggi. Da notizie non confermate sembrava che i morti fossero almeno 34 tra gli ostaggi e 15 tra i rapitori. L'esercito algerino sgomberava la zona residenziale dell'impianto mentre l'intervento nella parte industriale richiedeva ancora alcuni giorni. Un portavoce dei rapitori chiedeva l'apertura di un negoziato per lo scambio tra ostaggi e due prigionieri islamisti in carcere negli Usa. "Non negoziamo con i terroristi" era la risposta del segretario alla difesa americano Panetta che con un linguaggio mutuato dalla "guerra infinita" al terrorismo di Bush affermava che "i terroristi devono sapere che non troveranno nessun rifugio né in Algeria né nell'Africa del nord né da nessuna parte". L'attacco definitivo delle truppe algerine al sito petrolifero scattava il 19 gennaio, una battaglia che durava molte ore col bilancio finale di morti comunicato dal governo. Una velata critica al pugno di ferro adottato dall'Algeria per risolvere il problema a In Amenas era pronunciata anche dal Consiglio di sicurezza dell'Onu, che condannava "l'attacco terrorista" e ricordava però che tutte le azioni intraprese per combattere il terrorismo devono comunque rispettare "le leggi internazionali" di protezione dei "diritti dell'uomo e dei rifugiati". L'avesse detto almeno una volta contro gli imperialisti americani, francesi, inglesi e delle coalizioni che si sono formate nelle aggressioni dall'Afghanistan alll'Iraq, alla Libia forse poteva apparire quantomeno un po' meno ipocrita. Ma non lo ha fatto in passato, non era suo compito; allora doveva legittimare le guerre imperialiste. Come adesso in Mali. 23 gennaio 2013 |