Il G20 adotta nuove regole per risanare e rilanciare l'economia e la finanza capitaliste Spiccioli ai Paesi poveri più danneggiati dalla crisi finanziaria ed economica del capitalismo mondiale I capi di stato e di governo del G20, il gruppo delle più forti economie che totalizzano l'85% del Pil (Prodotto interno lordo) mondiale, riuniti a Londra il 2 aprile hanno deciso di adottare nuove regole e stanziare un ulteriore pacco di soldi per risanare e rilanciare l'economia e la finanza capitaliste messe in ginocchio dalla crisi. "Agiremo insieme a livello globale per affrontare i problemi, faremo ciò che serve per ripristinare la fiducia nel nostro sistema finanziario" annunciava un soddisfatto Gordon Brown, il premier inglese padrone di casa nel presentare il documento finale; è "un compromesso di portata storica per una crisi eccezionale", commentava la cancelliera tedesca Angela Merkel mentre l'esordiente presidente americano Obama teneva a precisare che "ciascun Paese ha le sue questioni non negoziabili, abbiamo provato a trovare un terreno comune, ma - e qui c'è una enorme differenza con il passato - il negoziato non ha reso il comunicato finale solo aria fritta". Nel comunicato ci sono un certo numero di promesse di intervento ma era evidente che i 20 dovevano comunque trovare un accordo per tentare di raddrizzare la baracca del capitalismo a un passo dal tracollo. Sul tavolo del vertice avevano le ultime previsioni del Fondo monetario internazionale (Fmi) che in pochi mesi ha dato tre previsioni sul Pil mondiale, una peggio della precedente; fra le economie più forti solo la Cina può registrare un dato positivo, un 6% di crescita nel 2009 che è la metà di quello degli anni recenti, gli altri registrano una dura recessione con Italia e Germania con un meno 4% fino al peggiore, il Giappone che potrebbe calare del 6%. Il G20 ha deciso quindi di organizzare un intervento pari a 5.000 miliardi di dollari entro la fine del 2010 per sostenere l'economia mondiale, in parte già stanziati dai singoli paesi. Una ulteriore cifra pari a 1.000 miliardi di dollari sarà messa a disposizione del Fmi e di altre istituzioni internazionali. Le risorse del Fondo saranno triplicate e arriveranno a 750 miliardi di dollari, dei quali 500 miliardi con nuovi fondi e 250 miliardi per il cosiddetto "special drawing rights (diritti speciali di prelievo, la valuta virtuale del Fmi). Con la soddisfazione della Cina che ha recentemente proposto di usare i diritti speciali di prelievo al posto del dollaro nelle transazioni internazionali. Altri 250 miliardi di dollari sono stanziati per sostenere il commercio internazionale a tutela del "libero mercato" contro il protezionismo. Il protezionismo è denunciato a parole nel comunicato finale: "il calo della domanda è esacerbato dalle crescenti pressioni protezionistiche", poi ciascun paese finanzia e sostiene anzitutto i capitalisti di casa propria. Altri 100 miliardi vengono messi a disposizione delle banche internazionali per lo sviluppo, di questi solo 50 miliardi sono destinati a prestiti ai paesi più poveri. Che sono altrettanto colpiti dalla crisi e ricevono dal G20 un'elemosina di pochi spiccioli. In compenso i 20 grandi assicurano che i paesi emergenti e quelli in via di sviluppo avranno "più voce" nelle istituzioni internazionali. Il vertice ha deciso di affidare al Financial Stability Forum, presieduto dall'italiano Mario Draghi, trasformato in Financial Stability Board e allargato a tutti i membri del G20 il compito di collaborare col Fmi allo scopo di fornire sistemi di avvertimento preventivo sui rischi macroeconomici e finanziari e sulle azione necessarie ad affrontarli. Un sistema di sorveglianza che si estende in particolare ai fondi spazzatura. Fra le nuove regole il vertice afferma di voler mettere un tetto al sistema delle remunerazioni dei banchieri. Fra i successi sventolati dal vertice quello dell'aver posto fine all'era del segreto bancario e dei cosiddetti paradisi fiscali. Il comunicato finale non riporta l'elenco dei paesi incriminati, ci poteva stare anche la Cina per via di Hong Kong e Macao, il compito era affidato all'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) che ha pubblicato la "lista nera", comprendente Costa Rica, Malaysia, Filippine, Uruguay e una "lista grigia" che include 38 paesi tra i quali Lussemburgo, Svizzera, Austria, Belgio, Singapore, Cile e isole Cayman, Liechtenstein, Antille olandesi, Belgio e Principato di Monaco. Paesi nei cui impenetrabili istituti di credito è occultata una montagna di soldi stimata in oltre 7.000 miliardi di dollari, quattro volte il Pil italiano. Andorra, Austria, Belgio, Liechtenstein, Lussemburgo e Svizzera alla vigilia del vertice avevano promesso di rivedere il segreto bancario, di adeguarsi agli standard Ocse e si sono impegnati a accrescere lo scambio di informazioni con gli altri. Non un passaggio immediato, ci vorranno "anni di negoziati", hanno annunciato ma tanto gli è valso per passare dalla "lista nera" a quella "grigia". Il 7 aprile il segretario dell'Ocse, Angel Gurria, ha annunciato che anche Filippine, Malaysia, Costa Rica e Uruguay si sono impegnati a rispettare gli standard internazionali in materia fiscale e sono stati depennati dalla "lista nera" che adesso è vuota. A riportare il gruppo del G20 dalla farsa sui paradisi fiscali alla dura realtà della crisi ci ha pensato ancora il Fmi che, secondo quanto riportato dal Times di Londra il 7 aprile, ha stimato il valore dei titoli "tossici" che pesano sui bilanci delle banche in tutto il mondo in almeno 4.000 miliardi di dollari, dei quali più della metà a carico delle banche americane. 8 aprile 2009 |