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Alcune riflessioni su un diversivo creato dai
neorevisionisti e dai trotzkisti Dove porta la bandiera
di Guevara
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di
GIOVANNI SCUDERI
Per noi marxisti-leninisti è chiaro come il sole che il pensiero, l'opera, la vita e
la figura di Ernesto Guevara, detto il Che, non hanno nulla a che spartire col
marxismo-leninismo-pensiero di Mao, con la rivoluzione socialista e col socialismo.
Non è così per tanti giovani che ancora adesso scendono in piazza sotto la bandiera
del guerrigliero argentino e indossano con orgoglio le magliette con sopra stampata la sua
effige. Per essi Guevara è un modello di rivoluzionario, l'esempio da imitare e da
seguire. In ciò favoriti e incoraggiati dal PRC e dai gruppi trotzkisti che hanno tutto
l'interesse politico a deviare le nuove generazioni di rivoluzionari dalla via maestra
dell'Ottobre.
è necessario, perciò, da parte nostra dire fino in fondo ciò che pensiamo di
Guevara, sollecitati in tal senso anche da alcuni giovani comunisti del PRC, per aiutare i
giovani autenticamente rivoluzionari a farsi un'idea corretta e di classe di Guevara per
non sprecare le loro fresche e importanti energie dietro insegne che non portano alla
rivoluzione socialista e al socialismo, e che la pratica ha dimostrato essere simboli
dell'individualismo, dell'avventurismo e del trotzkismo.
Rispetto a Guevara, come del resto a qualsiasi personaggio storico, bisogna avere un
atteggiamento scientifico e materialistico, non inficiato da idealismo e misticismo, men
che mai da sentimentalismo vissuto come ``passione durevole'', secondo una parola
d'ordine del PRC.
Bisogna sempre analizzare la realtà con una visione di classe, attenersi ai fatti,
fare un bilancio critico e autocritico dell'operato confrontandolo con l'esperienza
storica e rivoluzionaria del movimento operaio internazionale e tenendo presente gli
insegnamenti del marxismo-leninismo-pensiero di Mao.
Noi siamo d'accordo con Mao quando afferma che ``noi non crediamo a niente altro se
non alla scienza, ciò significa che non bisogna avere miti. Sia per i cinesi che per gli
stranieri, si tratta di vivi o morti, ciò che è giusto è giusto, ciò che è sbagliato
è sbagliato, altrimenti si ha il mito. Bisogna liquidare i miti''(1).
Usando questa chiave materialistica e di classe, poniamoci allora alcune domande su
Guevara, senza farci condizionare dalla sua immagine fisica e dalla drammaticità della
sua morte, non a caso tanto pubblicizzate dai trotzkisti e dai neorevisionisti per colpire
l'immaginazione e i sentimenti dei giovani rivoluzionari in modo da far passare in secondo
piano le questioni politiche ed ideologiche.
La formazione
Cominciamo col dire qualcosa sulla sua formazione. Guevara nasce a Rosario, in
Argentina, il 14 giugno 1928, da una famiglia borghese da cui riceve una formazione
borghese che egli coltiva fin quando diventa adulto. A 25 anni è ancora seguace di Freud
e della psicanalisi. Questa origine borghese e questa formazione borghese non
l'abbandoneranno mai. Nemmeno quando a 26 anni, in Guatemala, legge alcune opere di Marx,
Lenin e Mao, e quando partecipa, due anni dopo, inizialmente come medico e poi come spalla
di Castro, alla rivoluzione cubana.
Pur gettandosi anima e corpo nella rivoluzione, e dando prova di abnegazione, di
spirito di sacrificio, di coraggio e di disprezzo del pericolo, -- sono questi gli aspetti
che più colpiscono i giovani rivoluzionari che non hanno ancora maturato la coscienza di
classe e marxista-leninista -- egli però non riesce a trasformare la propria concezione
del mondo e a rigettare l'individualismo, l'idealismo e l'avventurismo di cui era
impregnato. Anche perché la sua conoscenza del marxismo-leninismo è mediata dai
revisionisti e dai trotzkisti come Mandel, Karol e Sartre. E inoltre perché non aveva
alle sue spalle un partito marxista-leninista che lo aiutasse a proletarizzarsi, ad avere
una concezione proletaria del mondo e ad applicare correttamente il marxismo-leninismo.
Da rivoluzionario democratico borghese autodidatta e in mezzo a rivoluzionari del suo
stesso tipo diventava per lui praticamente impossibile essere diverso da quello che era.
Da sempre egli è stato vittima, prima, durante e dopo la rivoluzione cubana,
dell'avventurismo romantico e dell'umanesimo paracristiano, che da giovane lo avevano
spinto ad attraversare quasi tutta l'America Latina e a operare, come volontario laureando
in medicina, in un lebbrosario peruviano.
La qualifica di avventuriero se la dà lui stesso quando, il 1· aprile '65, prima di
lasciare Cuba per l'impresa guerrigliera nel Congo (attuale Zaire), scrive in una lettera
ai suoi genitori: ``Molti mi diranno un avventuriero, e lo sono; solo che di un tipo
diverso, di quelli che rischiano la pelle per dimostrare le proprie verità''(2).
Con ciò conferma che i suoi sentimenti, il suo carattere e il suo approccio verso la
rivoluzione non erano affatto mutati nonostante fossero trascorsi oltre 6 anni dalla
vittoria della rivoluzione cubana. Erano rimasti quegli stessi del 1955, allorché si unì
a Castro ``per un vincolo di romantica simpatia e la considerazione che valeva la pena
morire su una spiaggia straniera per un ideale così puro''(3).
Nella corrispondenza con i suoi genitori e familiari affiora più chiaramente che al
centro della sua vita c'è l'``io'', la ricerca più di se stesso che la causa
dell'emancipazione del proletariato. Sei mesi dopo la vittoria della rivoluzione cubana,
nel luglio del 1959, scrive alla madre queste parole: ``Sono sempre lo stesso solitario
di un tempo, alla ricerca della mia strada, senza aiuto personale, ma possiedo ora il
concetto del mio dovere storico... mi sento qualcosa nella vita, non solo una potente
forza interiore, che ho sempre sentito, ma anche una capacità di comprensione per gli
altri e un assoluto senso fatalistico della mia missione che mi toglie ogni timore''(4).
Non è quindi un caso che in tutti i suoi scritti e discorsi ami definirsi un ``ribelle'',
un ``rivoluzionario'', più che un comunista. Addirittura sembra prendere le
distanze dai comunisti. In un intervento all'Onu, nel dicembre '64, afferma: ``La mia
storia di rivoluzionario è breve: comincia realmente sul `Granma' (il battello su cui
erano imbarcati gli 82 rivoluzionari che vanno a liberare Cuba dalla dittatura fascista di
Batista, n.d.a.) e continua tuttora. Non ho mai appartenuto al partito comunista fino
ad oggi che sto a Cuba''(5). E questo mentre aggiunge subito dopo: ``Possiamo
proclamare tutti di fronte a questa assemblea che il marxismo-leninismo è la teoria
politica della rivoluzione cubana''.
In realtà egli agisce a lungo, finché non cadrà teoricamente e praticamente nel
trotzkismo, sotto l'influenza di José Martí, il condottiero democratico borghese della
guerra di liberazione nazionale cubana contro i colonialisti spagnoli, caduto in
combattimento il 19 maggio 1895.
Un anno dopo la vittoria della rivoluzione cubana, siamo esattamente al 28 gennaio
1960, Guevara lo esalta ancora così in un raduno di massa: ``Martí era nato, aveva
sofferto ed era morto per l'ideale che noi adesso stiamo realizzando, e non solo: Martí
fu il mentore della nostra rivoluzione, l'uomo alla cui parola è stato sempre necessario
ricorrere per interpretare giustamente i fenomeni storici che stavamo vivendo, l'uomo alla
cui parola e al cui esempio bisognava rifarsi ogni volta che nella nostra pratica si
voleva dire o fare qualcosa di importante''(6). Da queste parole risulta chiaramente
che è Martí il suo modello di vita, il suo maestro ideologico e politico e il suo punto
di riferimento programmatico, e non i grandi maestri del proletariato internazionale e
l'esperienza storica della rivoluzione socialista e degli Stati socialisti. E ciò
nonostante che Alberdo Granado, l'amico del viaggio compiuto in moto in America Latina tra
il dicembre del '51 e il luglio '52, abbia assicurato a ``Liberazione'', organo del PRC,
dell'11 giugno '95 che ``è a partire dall'esperienza del Guatemala (nel 1954,
n.d.a.) che il Che ha sentito l'esigenza di approfondire la conoscenza del marxismo.
Essendo un uomo molto studioso e profondo, non ha letto dei manuali, ma direttamente gli
scritti di Mao Zedong, di Lenin, di Marx''.
Non abbiamo alcun motivo per mettere in dubbio questa informazione. Solo che rileviamo
che nel pensiero e nell'opera di Guevara non c'è traccia degli insegnamenti del
marxismo-leninismo-pensiero di Mao. Lo dimostra anche il fatto che uno dei suoi primi
viaggi all'estero, in rappresentanza del governo cubano, lo fa, nell'agosto '59, in
Jugoslavia, il primo Stato revisionista della storia, già in rotta di collisione con
l'allora campo socialista, riportandone una buona impressione.
Il suo biografo ed estimatore, il cattolico trotzkista Roberto Massai, nel suo libro ``Che
Guevara, pensiero e politica dell'utopia'', citando un articolo del suo eroe scritto
su ``Verde Olivo'' del 23 novembre '59 ci informa che egli ha definito la
Jugoslavia, dopo essersi incontrato con Tito, ``il più interessante dei paesi visitati'',
anche per ``i suoi complessi e interessanti rapporti sociali'', ``l'unico paese
comunista che goda di una libertà di critica molto grande'' e ne esalta
l'autogestione borghese definendola un ``capitalismo imprenditoriale, con una
distribuzione sociale dei profitti''. In ogni caso è un dato di fatto che egli
inizialmente e per un certo periodo appoggia e prende come modello per la costruzione del
socialismo insieme alla Jugoslavia di Tito, il ``socialismo'' revisionista della
Cecoslovacchia.
La rivoluzione cubana
Guevara, dopo Castro e sotto la direzione di questi, ha dato il contributo più
importante alla vittoria della rivoluzione antifascista e antimperialista cubana. Una
rivoluzione atipica, originale, rispetto alle rivoluzioni dirette dal proletariato e dal
suo partito comunista fino ad allora conosciute, una rivoluzione che raggiunge la vittoria
in circostanze particolari ed anche fortuite e in presenza di una situazione
internazionale in cui il vento della rivoluzione soffiava molto forte in tutto il mondo e
il socialismo trionfante fronteggiava, condizionava e teneva a bada l'imperialismo. Basti
pensare alla sottovalutazione, se non alla simpatia, iniziale e fino alla vittoria di cui
godette da parte dell'imperialismo Usa.
Una rivoluzione iniziata senza una strategia, una tattica e un programma ben precisi e
delineati, caratterizzata dallo spontaneismo e dal volontarismo, basata esclusivamente
sulla volontà rivoluzionaria, sulle capacità militari e guerrigliere e sull'eroismo
individuale di una pattuglia di 82 uomini; una rivoluzione comunque non pensata,
organizzata e programmata come una tappa della rivoluzione socialista. E anche quando
Castro ne proclama improvvisamente il carattere socialista, il 16 aprile '61, a oltre due
anni dalla vittoria, non ne dà una spiegazione e non espone una strategia.
``Prima dello sbarco del Granma -- racconta Guevara -- predominava una
mentalità che fino a un certo punto poteva chiamarsi soggettiva: cieca fiducia in una
rapida esplosione militare e fede ed entusiasmo di poter liquidare il potere batistiano
con una repentina sollevazione popolare combinata con scioperi rivoluzionari spontanei che
avrebbero portato alla caduta del dittatore. Il movimento era l'erede diretto del Partito
ortodoxo (un partito borghese cubano nelle cui fila militava Fidel Castro, n.d.a.) la
cui parola d'ordine era: `Onore contro denaro'. Cioè la onestà amministrativa come idea
principale del nuovo governo cubano''(7).
In altri scritti e occasioni Guevara ritorna sugli stessi concetti. Non tanto per
spiegare, in senso critico e autocritico, come erano andate effettivamente le cose, ma per
esaltare, teorizzare e propagandare la mentalità e l'azione anarcoide, spontaneista e
avventurista del gruppo dirigente della rivoluzione cubana.
In una lettera a uno scrittore argentino scrive compiaciuto: ``Questa rivoluzione è
la più genuina creazione dell'improvvisazione... il caos più perfettamente organizzato
dell'universo. E questa rivoluzione è così perché ha camminato molto più rapidamente
della sua ideologia anteriore. In fin dei conti Fidel Castro era un aspirante deputato per
un partito borghese, così borghese e così rispettabile come poteva essere il partito
radicale in Argentina (un partito espressione della media borghesia, n.d.a.) che
seguiva le orme di un leader scomparso, Eduard Chibas, ...e noi, che lo seguivamo, eravamo
un gruppo di uomini con scarsa preparazione politica, solo una carica di buona volontà e
un'onestà congenita. Così gridavamo: `Nell'anno '56 saremo eroi o martiri'. Un po' prima
avevamo gridato, o meglio aveva gridato Fidel: `Onore contro denaro'...
Così è nata questa rivoluzione, così si andavano creando le sue parole d'ordine e
così si cominciò, a poco a poco, a teorizzare nei fatti per creare un'ideologia che
veniva alla coda degli avvenimenti''(8).
In effetti inizialmente grande era il caos ideologico e politico nella testa dei
rivoluzionari cubani. Quando si trovano in Messico e preparano lo sbarco a Cuba non
escludono a priori nemmeno la possibilità di fare un golpe, purché ``basato sui
principi'' e avesse un programma.
Contestando un membro del Movimento del 26 luglio fondato nel 1955 su iniziativa di
Castro dopo il fallito assalto della caserma del Moncada, che proponeva di fare un golpe
sullo stesso stile di Batista (il dittatore fascista allora al potere a Cuba), Guevara non
respinge la proposta in toto ma l'accetta a determinate condizioni. Lo racconta egli
stesso con queste parole: ``Io gli spiegavo che dovevamo fare un golpe basandoci
sui principì, che era altrettanto importante sapere ciò che avremmo fatto una volta al
potere''(9).
I rivoluzionari cubani scoprono quelle verità, anche le più elementari, già svelate
e teorizzate dal marxismo-leninismo-pensiero di Mao, man mano che procedono nella
rivoluzione e per esperienza pratica. Scoprono la necessità della riforma agraria per ``una
imposizione dei contadini''(10). Capiscono la necessità di collegarsi alla classe
operaia e ai lavoratori e di coinvolgerli nella lotta rivoluzionaria dopo uno sciopero
generale spontaneo svoltosi a Santiago di Cuba. ``Questo fenomeno popolare -- narra
Guevara -- servì a farci rendere conto della necessità di inserire nella lotta per la
liberazione di Cuba la componente sociale costituita dai lavoratori''(11).
Solo otto mesi prima della vittoria, comprendono l'importanza di ``dare alla
rivoluzione una teoria e una dottrina''(12). Sottointendendo quelle scaturite dalla
loro pratica rivoluzionaria e non il marxismo-leninismo-pensiero di Mao. E lo dimostra
anche il fatto che essi considerano l'avanguardia rivoluzionaria non il Partito ma l'``Esercito
Ribelle'' che educano secondo gli insegnamenti di Martí. Lo spiega Guevara con queste
parole: ``L'Esercito Ribelle è l'avanguardia del popolo cubano e quando ci riferiamo
al suo progresso tecnico e culturale, dobbiamo conoscere il significato moderno di queste
cose. Abbiamo già cominciato simbolicamente la sua educazione con una conferenza
presieduta quasi esclusivamente dallo spirito e dall'insegnamento di José Martí''(13).
Indubbiamente la rivoluzione cubana costituisce un'importante vittoria del popolo
cubano e dei popoli di tutto il mondo, un grosso contributo all'esperienza storica della
guerra di liberazione nazionale e della lotta antifascista e antimperialista. Ma date le
sue caratteristiche, particolarità e circostanze storiche e politiche non poteva certo
essere teorizzata come un modello valido per tutti i popoli dell'America Latina e degli
altri continenti.
L'errore capitale di Guevara consiste proprio nel fatto di non aver capito la
singolarità e l'eccezionalità della rivoluzione cubana e di aver dato ad essa un ``valore
universale''(14) e un ``contenuto universale''(15) fino al punto di tentare di
esportarla in prima persona. Ciò non è solo un atto di superbia e di sopravvalutazione
dei fatti e di se stesso. è soprattutto una violazione delle leggi oggettive della
rivoluzione, un tentativo di voler costituire un terzo modello alternativo rispetto a
quelli della rivoluzione russa e della rivoluzione cinese. In un momento in cui, peraltro,
i marxisti-leninisti di tutto il mondo, con alla testa Mao, si battevano contro i
revisionisti moderni per fare affermare su scala planetaria la via dell'Ottobre applicata
secondo le condizioni specifiche di ciascun paese.
LA CONCEZIONE DELLA RIVOLUZIONE
Guevara aveva una concezione trotzkista della rivoluzione, del tutto simile alla
famigerata teoria della ``rivoluzione permanente'', già denunciata e smascherata
da Lenin e Stalin. A suo dire la rivoluzione deve essere fatta contemporaneamente in tutti
o in più paesi, deve avere subito un carattere socialista e può essere esportata.
Mancando di una visione materialistica dialettica e storica e ignorando persino
l'esperienza concreta delle rivoluzioni storiche e di quelle allora in atto, non era in
grado di capire le diverse fasi della rivoluzione, di distinguere i vari tipi di
rivoluzione -- da quella democratico borghese a quella socialista, alla guerra di
liberazione nazionale --, di saper fare delle alleanze adeguate alle diverse fasi e ai
vari tipi delle rivoluzioni e di coinvolgere in questo quadro le borghesie nazionali
antimperialiste.
In uno scritto del '63 afferma: ``Di fronte a questo panorama americano sembra
difficile che la vittoria possa ottenersi e consolidarsi in un paese isolato... In tutti i
paesi in cui la repressione giunge a livelli insopportabili, bisogna issare la bandiera
della ribellione e, per necessità storiche, questa bandiera avrà caratteristiche
continentali. La Cordigliera delle Ande è chiamata a diventare la Sierra Maestra
d'America, come ha detto il compagno Fidel Castro, e tutti gli immensi territori di questo
continente diventeranno il teatro di una lotta a morte contro il potere imperialista''(16).
In una famosa lettera inviata alla ``Tricontinentale'', un'organizzazione
internazionale promossa ed egemonizzata da Castro e che coordinava certe forze
``rivoluzionarie e antimperialiste'' di Asia, Africa e America Latina, rilancia,
approfondisce e sviluppa tali concetti nel tentativo di dettare la linea al movimento
rivoluzionario mondiale. Nonostante che fosse già fallita la sua guerriglia in Congo, e
quella in Bolivia, dove allora si trovava, non riuscisse a decollare.
Nella lettera, divenuta immediatamente il manifesto del trotzkismo internazionale e
degli ``ultrasinistri'' in genere, si legge: ``Le borghesie nazionali (in America
Latina, n.d.a.) hanno perso ogni capacità di opporsi all'imperialismo (se mai l'ebbero
sul serio) e ne costituiscono, anzi, il vagone di coda. Non c'è alternativa ormai: o
rivoluzione socialista o caricatura della rivoluzione...
Nell'America Latina si lotta con le armi alla mano in Guatemala, Colombia, Venezuela e
Bolivia e già spuntano i primi focolai di lotta in Brasile... Però quasi tutti i paesi
di questo continente sono maturi per una lotta di natura tale, che per riuscire
vittoriosa, non può che proporsi l'instaurazione di un governo di tipo socialista... Da
tempo abbiamo sostenuto che, date le analogie, la lotta in America acquisterà, ad un
certo punto, dimensioni continentali... Nuovi focolai di guerra sorgeranno in questi e
altri paesi americani, come è successo in Bolivia, e si svilupperanno con tutte le
vicissitudini che questo pericoloso mestiere di rivoluzionario moderno comporta. Molti
moriranno vittime dei loro errori...
L'America, il continente dimenticato dalle ultime lotte politiche di liberazione, che
comincia ora a farsi sentire, attraverso la tricontinentale, con la voce della avanguardia
dei suoi popoli, che è la rivoluzione cubana, avrà un compito molto più grande: la
creazione del secondo o terzo Vietnam (alludeva
alla potente e vittoriosa guerra di liberazione nazionale allora in atto in Vietnam,
n.d.a.), o del secondo e terzo Vietnam del mondo.
Bisogna, in definitiva, tener presente che l'imperialismo è un sistema mondiale,
ultima tappa del capitalismo, e che occorre sconfiggerlo in un grande confronto
mondiale...
Le nostre aspirazioni, in sintesi, sono queste: distruzione dell'imperialismo mediante
l'eliminazione del suo baluardo più potente: il dominio imperialista degli Stati Uniti
d'America. Come obiettivi tattici assumiamo la liberazione graduale dei popoli, a uno a
uno, o per gruppi, attirando il nemico in una lotta difficile fuori dal suo terreno,
liquidando le sue basi di appoggio: i territori dipendenti...
Come potremmo guardare a un futuro luminoso e vicino se due, tre, molti Vietnam
sbocciassero sulla superficie del globo, con le loro parti di morti e di immense tragedie,
con il loro eroismo quotidiano, con i loro ripetuti colpi all'imperialismo, con l'obbligo,
per esso, di disperdere le sue forze sotto l'urto del crescente odio dei popoli del
mondo!"(17).
Mai prima di allora, ma anche successivamente, idealismo, soggettivismo, spontaneismo,
volontarismo, avventurismo, fantasia e lirismo avevano pervaso in simile misura il
cervello di un piccolo borghese rivoluzionario.
Guevara arriva a tanto ispirato dalla lezione che aveva appreso da Trotzki il quale,
nel '29, così sistematizzava la sua teoria controrivoluzionaria e antimarxista-leninista:
``La teoria della rivoluzione permanente, rinata nel 1905,... dimostrava che nella
nostra epoca l'assolvimento dei compiti democratici nei paesi borghesi arretrati, porta
questi paesi direttamente alla dittatura del proletariato e che questa dittatura mette
all'ordine del giorno i compiti socialisti. Questa l'idea fondamentale della teoria.
Mentre secondo l'opinione tradizionale la via verso la dittatura del proletariato doveva
passare attraverso un lungo periodo di democrazia, la teoria della rivoluzione permanente
proclamava che nei paesi arretrati la via verso la democrazia passava attraverso la
dittatura del proletariato... Così diveniva permanente il processo rivoluzionario dalla
rivoluzione democratica alla trasformazione socialista della società...
La rivoluzione proletaria può rimanere entro un quadro nazionale solo come regime
provvisorio, anche se questo regime si prolunga, come dimostra l'esempio dell'Unione
Sovietica...
Se lo Stato proletario continuasse a restare nell'isolamento, finirebbe col soccombere
alle proprie contraddizioni. La sua salvezza risiede unicamente nella vittoria del
proletariato dei paesi avanzati... La rivoluzione mondiale, nonostante i ripiegamenti e i
riflussi temporanei, costituisce un processo permanente''(18).
Guevara nei suoi scritti e discorsi, da noi conosciuti, nasconde la sua dipendenza
ideologica da Trotzki, ma l'influenza di questi nel suo pensiero e nella sua opera è più
che evidente. Certo è che lo leggeva e si ispirava a Trotzki. In Bolivia, come dice lui
stesso nel suo diario, aveva con sé il volume ``Storia della rivoluzione russa''
di Trotzki, e si rammaricava di averlo perso durante uno scontro a fuoco.
Che differenza con Lenin che leggeva le opere di Marx ed Engels sullo Stato e la
rivoluzione mentre preparava la Rivoluzione russa, e con Mao che nella base rossa di Yenan
leggeva ``I principi del leninismo'' di Stalin!
L'INTERNAZIONALISMO PROLETARIO
I trotzkisti e i neorevisionisti sono riusciti a
far penetrare tra i giovani un'immagine di Guevara di autentico internazionalista
proletario. Ma se andiamo a vedere come stanno effettivamente le cose ci accorgiamo che si
tratta di una falsa immagine. Non è sufficiente morire per una causa in cui si crede. Per
essere definiti internazionalisti proletari occorre che questa causa sia giusta, ma anche
la linea che si persegue e le azioni che si compiono devono essere giuste.
Sul piano concettuale, l'internazionalismo di
Guevara è tutt'altro che proletario. Non a caso lo chiama ``Internazionalismo
rivoluzionario'' e non proletario nel comunicato n. 4 ``al popolo boliviano'',
che diffonde quando si trova in Bolivia.
La sua concezione internazionalista è
umanitaria, ecumenica, interclassista, assolutamente estranea al
marxismo-leninismo-pensiero di Mao, ed è mutuata da Martí. Lo dimostrano queste sue
parole: ``Dobbiamo praticare il vero internazionalismo proletario, sentire come
un'offesa personale qualsiasi aggressione, qualsiasi offesa, qualsiasi azione che vada
contro la dignità dell'uomo, contro la sua felicità in qualsiasi parte del mondo...
Dobbiamo tenere sempre alta la stessa bandiera
di dignità umana che alzò il nostro Martí, guida di molte generazioni, presente oggi
con la sua freschezza di sempre nella realtà di Cuba: `ogni uomo vero deve sentire sulla
propria guancia lo schiaffo dato sulla guancia di qualsiasi uomo' (citazione di
Martí, n.d.a.)''(19).
Quando poi passa alle proposte su scala
internazionale, casca subito nell'avventurismo e nella provocazione. Ecco un brano della
sua lettera alla ``Tricontinentale'' che fa rizzare i capelli: ``Bisogna sviluppare un
autentico internazionalismo proletario, con eserciti proletari internazionali in cui la
bandiera sotto la quale si lotta sia la causa sacra della redenzione dell'umanità, di
modo che morire sotto le insegne del Vietnam, del Venezuela, Guatemala, Laos, Guinea,
Colombia, Bolivia, Brasile, per non citare che gli attuali teatri della lotta armata, sia
ugualmente glorioso e desiderabile per un americano, un asiatico, un africano e anche un
europeo''(20).
Sul piano pratico, l'internazionalismo di
Guevara è funzionale all'egemonismo, allo sciovinismo e al colonialismo di Cuba, ne fosse
egli consapevole o meno. L'esportazione della guerriglia in Congo e in Bolivia, in ultima
analisi, non era infatti che una penetrazione di Cuba in quei paesi. Questo disegno
apparirà più chiaro negli anni successivi quando Castro invierà ``aiuti'' militari e
truppe armate ai regimi filosovietici dell'Africa, come erano allora quelli dell'Angola e
dell'Etiopia.
IL REVISIONISMO MODERNO
Negli anni vissuti da Guevara come un
rivoluzionario -- dal '56 al '67 --, l'allora movimento comunista internazionale e il
campo socialista erano scossi da una lotta titanica dei marxisti-leninisti contro i
revisionisti moderni in difesa del socialismo, della teoria rivoluzionaria proletaria,
della rivoluzione mondiale e per sviluppare la lotta dei popoli contro l'imperialismo.
A Mosca, nel '57 e nel '60, si erano svolte due
conferenze internazionali, la prima di un gruppo ristretto di Partiti comunisti e la
seconda di ben 81 Partiti comunisti, per trattare la questione del revisionismo e i
problemi inerenti la lotta rivoluzionaria. Il revisionismo era stato additato da tutti
come il pericolo principale, anche se la maggior parte lo aveva fatto solo a parole. Da
entrambe le parti, da quella marxista-leninista e da quella revisionista mascherata si
parlava e si lottava in nome della lotta contro il revisionismo e in difesa del
marxismo-leninismo. Nessuno osava definirsi revisionista e accettava di essere accusato di
revisionismo. Il revisionismo, allora, era considerato da tutti, anche dagli stessi
revisionisti, un marchio infamante.
Si trattava di una lotta simile e della stessa
portata storica, ideologica e politica di quella di Lenin e Stalin all'inizio del secolo
contro la socialdemocrazia. Una lotta che richiedeva l'unità militante e il concorso
attivo di tutti i veri marxisti-leninisti del mondo, ma che è stata disertata da Guevara.
Anzi costui ha fatto di peggio, a fianco di Castro e sotto la sua direzione, ha spostato
l'attenzione dei movimenti rivoluzionari dal conflitto ideologico e politico al
guerriglismo, sottraendo e disperdendo così delle forze che potevano dare un forte
contributo al trionfo del marxismo-leninismo sul revisionismo moderno.
In particolare, anziché smascherare
ideologicamente i partiti revisionisti filosovietici dell'America Latina e contribuire
alla nascita e allo sviluppo di Partiti marxisti-leninisti, egli opportunisticamente non
si è impegnato su questo fronte lasciando i sinceri comunisti e le masse rivoluzionarie
in balia dei revisionisti e lanciandosi, ed esortando gli altri ad imitarlo, in azioni
guerrigliere di piccolo gruppo avventuristiche e senza sbocco. Che si possono paragonare,
per certi aspetti, a quelle delle sedicenti ``Brigate rosse''. Solo che queste si
muovevano nelle città ed erano dirette contro singole autorità borghesi e quelle invece
si svolgevano in montagna ed erano dirette contro l'esercito governativo.
Nonostante si fosse incontrato a Pechino con Mao
nel novembre 1960 e che avesse visto con i propri occhi i preparativi, e poi l'esplosione,
della Grande rivoluzione culturale proletaria in Cina, egli rimane completamente sordo a
ogni richiamo proletario rivoluzionario e alla necessità della lotta contro il
revisionismo moderno, senza la quale è impossibile combattere il capitalismo e
l'imperialismo, fare, sviluppare e vincere la rivoluzione.
A quanto ci risulta, nelle sue opere, scritte e
orali, il revisionismo è citato una sola volta, ma in modo generico, non qualificato, di
sfuggita e riferito esclusivamente alla necessità di creare un ``uomo nuovo'' a
Cuba.
In quell'intervento, era il marzo '65 e già
Breznev era succeduto da tempo a Krusciov, egli vede il pericolo del dogmatismo e delle ``debolezze''
e non quello del revisionismo di destra. Infatti dice: ``Nelle attuali circostanze vi
sono dei pericoli. Non solo esiste il pericolo del dogmatismo... ma esiste anche il
pericolo delle debolezze (quella della corruzione, n.d.a.) nelle quali si può
cadere''(21).
Per un calcolo egemonico e nel tentativo di
creare una centrale internazionale, un terzo polo, che facesse capo a Cuba e che fosse
capace di coinvolgere anche il Vietnam del Nord e la Repubblica popolare di Corea, egli
dichiara apertamente di non volersi schierare nel conflitto tra Cina e Urss, cioè nel
conflitto tra marxismo-leninismo e revisionismo, e invita tutti i movimenti rivoluzionari
del mondo a fare altrettanto.
Una prima volta lo fa a New York, in
un'intervista concessa alla CBS il 14 dicembre 1964, in cui dice: ``C'è un conflitto
(tra Urss e Cina, n.d.a.), un conflitto ideologico che tutti conosciamo. Abbiamo
dichiarato la nostra posizione nel senso dell'unità dei paesi socialisti. (Ricordiamo
che Mao aveva già detto pochi mesi prima che l'Urss non era più un paese socialista, ma
una `dittatura della borghesia, una dittatura di tipo fascista tedesco, una dittatura
di tipo hitleriano', n.d.a.). L'unità è la prima misura -- continua Guevara
-- e sosteniamo sempre che l'unità è necessaria... Non prendiamo parte alla
controversia perché ci sono problemi molto specifici''(22).
Quasi tre anni dopo, in sede della
``Tricontinentale'', rilancia lo stesso discorso, aggravandolo. ``è l'ora di appianare
le nostre divergenze, egli afferma, e porre tutto al servizio della lotta. Che
grandi controversie agitino il mondo che lotta per la libertà, tutti lo sappiamo e non
possiamo nasconderlo. Che abbiano assunto un carattere e una acutezza tali che il dialogo
e la conciliazione appaiono estremamente difficili, se non impossibili, pure lo
sappiamo...
Data la virulenza e l'intransigenza con cui
ognuno difende la propria causa, noi diseredati non possiamo prendere posizione, per l'una
o l'altra forma di manifestazione delle divergenze, anche se a volte conveniamo con alcune
affermazioni dell'una o dell'altra parte, o, in maggior misura, con quelle di una parte
piuttosto che dell'altra''(23).
Nella stessa occasione, contro l'evidenza dei
fatti, arriva addirittura a mettere sullo stesso piano la Cina di Mao e l'Urss di Breznev
causando un danno incalcolabile alla causa del socialismo. Queste le sue parole veramente
imperdonabili: ``Sono altrettanto colpevoli coloro (l'Urss, n.d.a.) che nel
momento decisivo esitarono a fare del Vietnam una parte inviolabile del territorio
socialista, correndo sì il rischio di una guerra mondiale, ma obbligando a una decisione
gli imperialisti Usa. E sono colpevoli coloro (la Cina, n.d.a.) che continuano una
guerra di insulti e colpi di spillo, iniziata già da tempo dai rappresentanti delle due
massime potenze del campo socialista. Chiediamo, esigendo una risposta onesta: si trova o
no isolato il Vietnam, in pericoloso equilibrio fra le due potenze in lotta?''(24).
Un discorso questo che manda in visibilio i
trotzkisti e gli opportunisti di ``sinistra'' di tutte le risme e che viene immediatamente
esaltato e diffuso in Italia dal magnate ``ultrasinistra'' Giangiacomo Feltrinelli,
dall'editore trotzkista Giulio Savelli ora di Forza Italia, e in Europa e nel mondo dal
provocatore Réges Debray, già socialista francese, amico di Castro e Guevara, sospetto
agente dei servizi segreti francesi diventato poi ``consigliere'' di Mitterrand, quand'era
presidente della Repubblica, ed ora simpatizzante di Chirac, successore di Mitterrand.
Finalmente i falsi rivoluzionari, e la piccola
borghesia rivoluzionaria, avevano trovato in Guevara quella nuova bandiera di cui avevano
bisogno per abbattere le bandiere di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao.
LA CLASSE OPERAIA E IL PARTITO
Nelle teorizzazioni di Guevara c'è poco posto
per la classe operaia e per il partito della classe operaia. Le sue attenzioni maggiori
sono tutte rivolte all'uomo e all'``avanguardia guerrigliera'', non alla classe
operaia e al suo partito. Come il papa e gli ideologi borghesi, egli incentra il suo
discorso sull'uomo in generale, non curandosi della sua origine e collocazione di classe.
``La nostra missione -- egli afferma -- è quella di sviluppare l'uomo e ciò
che di nobile vi è in ciascuno''(25). Conseguentemente si adopera per dare alle nuove
generazioni un'educazione umanitaria. In un raduno dei giovani comunisti dà loro questa
consegna: ``Ogni giovane comunista deve essere profondamente umano, così umano da
rasentare la perfezione, elevare l'uomo mediante il lavoro, lo studio, l'esercizio della
solidarietà continua con il proprio popolo e con tutti i popoli del mondo; sviluppare al
massimo la propria sensibilità fino a sentirsi angosciato quando un uomo viene
assassinato in qualsiasi angolo del mondo''(26).
Quando parla dell'uomo sembra proprio di sentir
parlare il papa, perfino in certe invocazioni. Come quando chiude la lettera dal titolo ``Il
socialismo e l'uomo a Cuba'' con questa stupefacente battuta: ``Accetta il nostro
saluto rituale, come una stretta di mano o un `Ave Maria Purissima'''(27).
In questa lettera troviamo altre perle del tipo:
``L'ultima e più importante ambizione rivoluzionaria è vedere l'uomo liberato dalla
sua alienazione... l'uomo nel socialismo... raggiungerà la piena coscienza del suo essere
sociale, il che equivale alla sua piena realizzazione come creatura umana, rotte le catene
dell'alienazione. Questo si tradurrà in concreto nella riacquisizione della propria
natura per mezzo del lavoro liberato, e nell'espressione della propria condizione umana
attraverso la cultura e l'arte...
Da molto tempo l'uomo cerca di liberarsi
dall'alienazione per mezzo della cultura e l'arte. Egli muore ogni giorno durante le otto
e più ore in cui agisce come merce, per poi risuscitare nella sua creazione spirituale.
Però questo rimedio reca con sé i germi della sua malattia: è un essere solitario colui
che cerca la comunione con la natura. Difende la sua individualità oppressa
dall'ambiente, e reagisce di fronte alle idee estetiche come un essere unico la cui
aspirazione è rimanere immacolato...
è l'uomo del XXI secolo quello che dobbiamo
creare, sebbene questa sia ancora un'aspirazione soggettiva e non sistematizzata...
Il compito del rivoluzionario d'avanguardia è
nello stesso tempo magnifico e angoscioso. Lasciami dire, a rischio di sembrare ridicolo,
che il vero rivoluzionario è guidato da grandi sentimenti di amore... I nostri
rivoluzionari d'avanguardia devono idealizzare questo amore per l'umanità, per le cause
più sante, e farlo unico, indivisibile. Non possono scendere con la loro piccola dose di
amore quotidiano nei luoghi ove l'uomo comune lo esercita...
Bisogna possedere una grande dose di umanità,
una grande dose di senso della giustizia e della verità per non cadere in eccessi
dogmatici, in freddi scolasticismi''(28).
Guevara, in ultima analisi, parlando dell'uomo,
secondo schemi umanitari borghesi, idealistici e non materialistici, in realtà parlava
dei problemi dei piccoli borghesi e alludeva alle libertà democratico borghesi che voleva
esistessero nel socialismo.
Egli dimostra di avere più confidenza con i
problemi esistenziali, che con quelli della classe operaia di cui ignora completamente le
caratteristiche, il ruolo, le funzioni e i compiti. Non avendo avuto la classe operaia
cubana -- anche per responsabilità del vecchio partito comunista cubano revisionista e
filosovietico -- un ruolo egemone e fondamentale nella rivoluzione e nella costruzione del
socialismo a Cuba, egli non la comprende, non la considera e non la valorizza più di
tanto. Qualche volta addirittura l'attacca, come quando afferma: ``In questa fase (quella
dell'industrializzazione, n.d.a.), il ruolo della classe operaia diventa decisivo. O la
classe operaia comprende perfettamente tutti i suoi doveri e l'importanza decisiva di
questo momento, e vinciamo; o non la comprende, e l'industrializzazione resterà uno dei
tanti tiepidi tentativi fatti in America per sottrarsi al giogo coloniale...
Resta però ancora nella classe operaia molto di
quella mentalità che si limitava a mettere in luce una sola differenza, da un lato
l'operaio e dall'altro il padrone, una mentalità semplicistica che conduceva tutte le
analisi a quell'unica grande divisione: operai e padroni''(29).
Circa i compiti della classe operaia nel
socialismo, egli li riduce sostanzialmente a uno solo: lavorare per creare più ricchezza.
Qual è allora la differenza tra socialismo e capitalismo? Ecco le sue testuali parole: ``Riassumendo,
e, se me lo permettete, ribadendoli ancora una volta, i doveri della classe operaia sono:
produrre, ricordandoci che cosa significa produrre, senza licenziamenti; produrre di più,
per creare più ricchezze che si trasformeranno in maggiori fonti di lavoro; risparmiare
tutto il possibile, non solo a livello statale, ma in qualsiasi settore in cui l'economia
significhi veramente una economia nazionale; intensificare la vigilanza rivoluzionaria per
scoprire, ed è ciò che importa, nuove risorse e nuovi modi di lavorare che consentano di
risparmiare a vantaggio della nazione; organizzarsi, organizzarsi per poter compiere lo
sforzo più produttivo nell'impegno collettivo della industrializzazione''(30).
L'esercizio del potere politico da parte della
classe operaia non faceva parte dei piani immediati di Guevara. A un anno e sei mesi dalla
vittoria della rivoluzione ancora la classe operaia non era al potere e Guevara si propone
di darglielo in un futuro non definito.
``Il consejo técnico asesor (il consiglio
di consulenza tecnica, n.d.a.) è poi il laboratorio sperimentale -- dice Guevara
-- in cui la classe operaia si prepara per i grandi compiti futuri della direzione
generale del paese... L'amministratore rivoluzionario (delle imprese pubbliche,
n.d.a.) deve lavorare perché i suoi tecnici rimangano nel paese, realizzino un
cambiamento ideologico che permetta loro non solo di lavorare, ma di lavorare con
entusiasmo per la rivoluzione, e deve cercare di farli identificare con la classe operaia
che è la classe chiamata a reggere le sorti del paese nel prossimo futuro''(31).
Questo ``prossimo futuro'' però è passato invano perché la classe operaia non è
mai andata effettivamente al potere a Cuba.
Che Guevara non avesse fiducia nella classe
operaia è dimostrato anche dal fatto che egli non mette mai in primo piano il partito
della classe operaia, cioè il partito marxista-leninista. Non ne ha coscienza, non ne
capisce l'importanza. Ne parla poco e quando ne parla ne stravolge i contenuti, le
caratteristiche, il ruolo e la composizione, cercando di adattarlo ai canoni borghesi,
trotzkisti e anarchici. Lo testimoniano le seguenti affermazioni, che vanno però lette
attentamente alla luce degli insegnamenti di Lenin, Stalin e Mao sul Partito, altrimenti
non si riesce a rilevare le contraddizioni con esse: ``Il partito del futuro --
sostiene Guevara -- sarà intimamente legato alle masse, e assorbirà da esse le grandi
idee che poi si plasmeranno in direttive concrete; un partito che applicherà rigidamente
la propria disciplina secondo le regole del centralismo democratico e, nello stesso tempo,
un partito in cui esistano sempre la discussione, la critica e l'autocritica aperte, per
migliorare continuamente il lavoro. Sarà in questa fase un partito di quadri, degli
uomini migliori, e questi ultimi dovranno adempiere al loro compito dinamico a stare al
contatto col popolo, di trasmettere le esperienze alle sfere superiori, di trasmettere
alle masse le direttive concrete e mettersi in cammino alla testa di esse. Primi nello
studio, primi nel lavoro, primi nell'entusiasmo rivoluzionario, primi nel sacrificio; in
ogni momento i quadri del nostro partito debbono essere più buoni, più puri, più umani
di tutti gli altri...
Il marxismo non è una macchina automatica e
fanatica, diretta, come un siluro, mediante autocomandi verso un obiettivo determinato. Di
questo problema si occupa espressamente Fidel (Castro, n.d.a.) in uno dei suoi
interventi: `Chi ha detto che il marxismo è rinuncia ai sentimenti umani, al cameratismo,
all'amore per il compagno, alla considerazione per il compagno? Chi ha detto che il
marxismo è non avere anima, non avere sentimenti? Se fu proprio l'amore per l'uomo che
generò il marxismo; fu l'amore per l'uomo, per l'umanità, fu il desiderio di combattere
l'infelicità del proletariato, il desiderio di combattere la miseria, l'ingiustizia, il
calvario e il continuo sfruttamento subito dal proletariato, che fa sorgere nella mente di
Karl Marx il marxismo, esattamente quando il marxismo poteva sorgere, quando poteva
sorgere una possibilità reale e, più che una possibilità reale, la necessità storica
della rivoluzione sociale di cui fu interprete Karl Marx. Ma che cosa lo fece essere
quell'interprete, se non la ricchezza dei sentimenti umani di uomini come lui, come
Engels, come Lenin?'''(32).
In verità a Guevara non andava proprio giù
l'idea di assegnare al partito della classe operaia il ruolo dirigente della rivoluzione
cubana. La concezione del Partito marxista-leninista non faceva parte del suo bagaglio
culturale e della sua esperienza pratica. Il fatto che la rivoluzione cubana era stata
fatta senza la direzione del partito della classe operaia gli era rimasto talmente
impresso da convincerlo che tale partito non sia assolutamente necessario per la
rivoluzione e che il suo ruolo possa essere assolto dall'``avanguardia guerrigliera''.
Questa concezione era in lui così radicata da
spingerlo a teorizzarla, a generalizzarla e a propagandarla come un modello universale, in
particolare per l'America Latina. Di fatto, se non nelle intenzioni, si pretendeva di far
passare un'eccezione come una regola, buttando all'aria un patrimonio rivoluzionario
comune a tutto il proletariato mondiale ormai acquisito e provato con successo in più
paesi.
Guevara coglie così tutte le occasioni utili,
all'interno e all'esterno di Cuba, per propagandare a perdifiato la sua linea
guerrigliera. Rientrato a Cuba, dopo aver visitato dall'ottobre al dicembre 1960 diversi
paesi socialisti dell'Europa e dell'Asia, tra cui la Cina e l'Urss, non tiene minimamente
conto dei risultati della Conferenza degli 81 Partiti comunisti appena conclusasi a Mosca,
risultati che esaltano il ruolo dei Partiti comunisti e indicano il revisionismo come
pericolo principale, e ancora una volta riafferma la sua teoria del ruolo dirigente
dell'``avan-guardia guerrigliera''.
``Noi riteniamo, egli dice, che la
rivoluzione cubana abbia dato tre contributi fondamentali, già noti, cose non nuove, che
si sono verificate anche in altri paesi, ma che noi mettiamo in pratica per la prima volta
in America, riscoprendoli, in quanto non avevamo conoscenze esatte, teoriche, di
contributi da altre parti.
Noi pensiamo che il focolaio insurrezionale
acceleri la creazione delle condizioni oggettive e soggettive necessarie per la presa del
potere; crediamo anche, ponderatamente, non è cioè un fatto di fede, che la rivoluzione
deve farsi nei paesi sottosviluppati d'America, basandosi, fondamentalmente, sulla classe
contadina; in quasi tutti, naturalmente, questa non è un'asserzione di carattere
assoluto, ma riguarda i paesi d'America in generale, questo sì, e che, partendo dai
nuclei rurali, da piccoli gruppi, diventando più numerosi attraverso la lotta e
impadronendosi delle città dalla campagna sarà possibile raggiungere la vittoria''(33).
Con ciò si ritorna al punto di partenza;
all'esaltazione dell'individuo, del piccolo gruppo guerrigliero e non della classe operaia
e del suo partito. L'esperienza cubana avrebbe dimostrato la non necessità del partito.
Perché allora affidare al partito quel ruolo che possono svolgere le ``personalità''?
``La personalità -- sostiene Guevara -- ha il ruolo di mobilitazione e di
direzione poiché incarna le più alte virtù e aspirazioni del popolo, e non si allontana
dalla giusta rotta''Ä(34)É. Insomma che bisogno c'è del partito quando ci sono
delle ``personalità'' come Guevara e Castro?
Le prime cellule del partito di Castro, in cui
confluiranno il vecchio partito comunista revisionista, il Movimento del 26 luglio, il
Direttorio rivoluzionario e il partito socialista popolare, vengono create nel 1962.
Questo partito in un primo momento si chiama Organizzazione rivoluzionaria integrata, poi
Partito unito della rivoluzione socialista di Cuba e infine Partito comunista di Cuba.
Il primo Comitato centrale e il primo Ufficio
politico di questo partito vengono costituiti ufficialmente il 1· ottobre 1965. Il primo
congresso del Partito comunista di Cuba si svolge nel dicembre 1975, ben 17 anni dopo la
vittoria della rivoluzione cubana. Sono presenti quasi tutti i partiti revisionisti del
mondo, compreso quelli della Jugoslavia e dell'Italia, ma non il Partito comunista cinese
che non invia nemmeno un messaggio di saluto. Nei discorsi ufficiali di Fidel Castro e
Raul Castro Ruz si sprecano gli osanna all'Urss revisionista e socialimperialista, mentre
molti sono gli attacchi indiretti a Mao.
IL SOCIALISMO A CUBA
Il 16 aprile 1961 Castro proclama ufficialmente
il carattere socialista della rivoluzione cubana, in risposta all'invasione mercenaria di
Play Girón promossa e appoggiata dall'imperialismo Usa capeggiato da Kennedy. L'inizio
della rivoluzione socialista viene fatto risalire all'ottobre 1960.
Nella costruzione del socialismo Guevara occupa
posti e svolge funzioni di fondamentale importanza nelle relazioni estere, in campo
militare e soprattutto sul fronte economico. Nel settembre del '59 viene nominato Capo del
Dipartimento dell'industrializzazione dell'Istituto nazionale della riforma agraria, due
mesi dopo diventa Presidente della Banca nazionale e nel febbraio del '61 è nominato
ministro dell'industria.
Anche in questa fase, egli continua a essere la
spalla di Castro. Ne riconosce apertamente l'autorità e la direzione. Ne condivide la
politica interna ed estera. Appoggia tutte le sue decisioni, inclusi l'alleanza subalterna
prima con Krusciov, il restauratore del capitalismo in Urss, e poi con Breznev,
l'installazione avventuristica dei missili sovietici a Cuba e la rottura con la Cina di
Mao. Ne è il portavoce e l'apripista. Tra i due c'era una perfetta intesa e una calcolata
divisione di compiti, in base ai diversi ruoli che ricoprivano nel partito e nello Stato.
Tutto ciò è documentato dalla lettera di
commiato che Guevara scrisse a Castro, presumibilmente nel marzo-aprile 1965, poco prima
di partire per la missione guerrigliera nel Congo ex belga attuale Zaire. In essa si
legge: ``Il mio unico errore di una certa gravità è stato quello di non aver avuto
fiducia in te fin dai primi momenti della Sierra Maestra e di non aver compreso con
sufficiente rapidità le tue qualità di dirigente e di rivoluzionario.
Ho vissuto giorni magnifici e al tuo fianco ho
sentito l'orgoglio di appartenere al nostro popolo nei giorni luminosi e tristi della
crisi dei Caraibi (in conseguenza dell'installazione dei missili sovietici a Cuba,
n.d.a.).
Poche volte uno statista ha brillato di una luce
più alta che in quei giorni; mi inorgoglisce anche il pensiero di averti seguito senza
esitazioni, identificandomi con la tua maniera di pensare e di vedere e di valutare i
pericoli e i principì...
Ti ringrazio per i tuoi insegnamenti e per il
tuo esempio a cui cercherò di essere fedele fino alle ultime conseguenze delle mie
azioni; mi sono sempre identificato con la politica estera della nostra rivoluzione e
continuo a farlo; dovunque andrò sentirò la responsabilità di essere un rivoluzionario
cubano e come tale agirò''(35).
Guevara non aveva un'idea chiara e corretta
della costruzione del socialismo. Anche in questo campo non tiene conto dell'esperienza
storica del socialismo e della teoria marxista-leninista. Cosicché oscilla tra il
revisionismo di destra e quello di ``sinistra''.
Da una parte intendeva applicare la dittatura
del proletariato sulle masse sostenendo che ``è la dittatura del proletariato che si
esercita non solo sulla classe sconfitta, ma anche su ogni individuo della classe
vincitrice''(36). Mentre dall'altra, come Krusciov, voleva dare tutto il potere al
popolo, anziché alla classe operaia, e perciò esaltava il fatto che a Cuba avanzava ``l'affermazione
sempre più positiva del popolo come guida di questa na-zione; vale a dire, il popolo al
potere''(37).
Egli forza i tempi, brucia le tappe anticipando
volontaristicamente situazioni e realizzazioni non ancora mature e attuabili.
Sul piano economico sosteneva il superamento
della legge del valore nel socialismo, quando invece essa è oggettivamente ancora attiva
fin tanto che sussiste una qualche forma di produzione mercantile, di scambio per mezzo di
compra-vendita. Come dimostra l'esperienza concreta del socialismo viventi Lenin, Stalin e
Mao, la legge del valore è presente nel socialismo anche se non svolge un ruolo
regolatore della produzione, che è svolto invece dalla pianificazione. Solo nel comunismo
potrà essere superata completamente la legge del valore.
Idealisticamente e demagogicamente egli nega la
legge del valore non solo a Cuba, non solo nel commercio tra i paesi socialisti, ma anche
nel commercio tra questi e i paesi del Terzo mondo, in considerazione del fatto che ``il
costo del progresso dei paesi sottosviluppati deve essere sopportato dai paesi socialisti''(38).
Certamente l'internazionalismo proletario non si
può basare sulla legge del valore, ma non la può nemmeno ignorare, altrimenti si manda a
gambe all'aria il socialismo in quattro e quattr'otto.
Le leggi oggettive per Guevara è come se non
esistessero. Per lui tutto scaturisce dalla sola volontà dell'uomo. Bastano le intenzioni
per avere quello che non c'è. Pure il comunismo. Ecco quanto ci dice in proposito: ``Noi
abbiamo cominciato a parlare da poco tempo, ma nella rivoluzione del comunismo che è ora
la nostra meta siamo relativamente molto giovani. Abbiamo compiuto appena cinque anni di
rivoluzione. Non sono ancora passati tre anni dalla dichiarazione del suo carattere
socialista. Siamo in pieno periodo di transizione, tappa preventiva di costruzione per
passare al socialismo, e di qui alla costruzione del comunismo. Ma noi già ci siamo
prefissi come obiettivo la società comunista. E qui di fronte ai nostri occhi -- non
importa che la distanza sia molto grande e che il lungo cammino non possa essere percorso
in un anno o due, tutti lo sappiamo -- sta già la società nuova, assolutamente nuova,
senza classi, e quindi senza dittatura di classi''(39).
Egli era convinto che Cuba fosse l'avanguardia
rivoluzionaria del mondo, e perciò voleva che fosse la prima a raggiungere in pochissimi
anni quel traguardo da nessuno prima mai varcato, nemmeno dall'Urss di Lenin e Stalin in
trentasei anni di socialismo. Tanto è vero che considerava Cuba come ``una collina che
funge da avamposto, una collina che abbraccia la vastissima distesa di un mondo
dell'economia distorta come l'America Latina, che lancia il suo messaggio e col suo
esempio illumina tutti i popoli d'America. Cuba ha un grande valore strategico per i due
contendenti che in questo momento si disputano l'egemonia sul mondo: l'imperialismo e il
socialismo''(40).
LA GUERRIGLIA IN CONGO E IN BOLIVIA
Guevara correva tanto con la mente e la fantasia
ed era talmente condizionato dai suoi sentimenti umanitari e piccolo borghesi e dalla sua
formazione idealista e non marxista-leninista da staccarsi dalla realtà, fino al punto da
esportare la guerriglia prima in Congo e poi in Bolivia, commettendo l'errore più grosso
e imperdonabile ai danni della causa del socialismo, del proletariato e della rivoluzione.
Nelle storie delle rivoluzioni di qualsiasi tipo
non si era mai visto che un manipolo di guerriglieri stranieri abbia fatto e vinto una
rivoluzione a nome e per conto del popolo che si voleva liberare. E che questo popolo alla
fine abbia sposato la causa dei liberatori stranieri.
Ma Guevara, novello Don Chisciotte, come lui
stesso si autodefinisce nella lettera di commiato dell'aprile '65 ai suoi genitori già
citata, vuole ``dimostrare'' personalmente le ``proprie verità'', che è
possibile suscitare la rivoluzione del popolo attraverso l'azione di un gruppo di
guerriglieri straniero. Invece va incontro a due clamorosi fallimenti che costituiscono la
pietra tombale del guevarismo, una versione del trotzkismo degli anni '60 e '70.
Egli, tra l'altro, si muove sul terreno pratico
non avendo alle spalle una teorizzazione sufficiente, credibile e corretta. Nemmeno il suo
scritto del 1960 ``La Guerra di guerriglia'' può essere considerato soddisfacente
e accettabile. Non vi si trova traccia dei potenti scritti militari di Mao.
Le indicazioni che egli dà sono esclusivamente
di tipo militare, tecnico, pratico. Assolutamente carenti sui piani politico, strategico e
tattico. Citiamone alcune perle.
Parlando dell'ideale del guerrigliero afferma:
``Questo ideale è semplice, puro, senza grandi pretese e, in generale, non va molto
lontano: ma è così tenace e chiaro che è possibile sacrificargli la propria vita senza
esitare minimamente.
Per la quasi totalità dei contadini, è il
diritto di avere un pezzo di terra propria da coltivare e di godere di un trattamento
sociale giusto. Per gli operai, è avere un lavoro, ricevere un salario adeguato e anche
lui un trattamento giusto. Fra gli studenti e fra i professionisti si trovano idee più
astratte, come il significato della libertà per la quale combattono''(41).
In un messaggio del '67 ai minatori boliviani
sostiene che ``la lotta di massa nei paesi sottosviluppati, a maggioranza contadina e
con un esteso territorio, deve essere sviluppata da una piccola avanguardia mobile: la
guerriglia, radicata in seno al popolo. Essa andrà acquistando forza a spese
dell'esercito nemico, e catalizzerà il fervore rivoluzionario delle masse fino a creare
la situazione rivoluzionaria in cui il potere statale crollerà di un solo colpo, ben
assestato e al momento opportuno''(42).
A un guerrigliero del Guatemala che lo salutava
prima di lasciare Cuba non sa dargli altro che questo consiglio militare: ``Mi limitai
a raccomandargli insistentemente tre punti: mobilità costante, diffidenza costante,
vigilanza costante''(43).
Guevara era il teorizzatore e l'esportatore
materiale del guerriglismo, ma dietro di lui c'era Castro, il quale condivideva le
missioni in Congo e in Bolivia. Anzi ne era l'ispiratore. Lo testimonia lui stesso, in
un'intervista rilasciata a Gianni Minà nel giugno 1987, con queste parole: ``Io stesso
avevo suggerito al Che di prendere tempo con i progetti dell'America Latina, di
aspettare... Così lo designammo responsabile del gruppo che andò ad aiutare i
rivoluzionari dell'attuale Zaire... Dopo il periodo trascorso in Zaire il Che... non
voleva più tornare a Cuba perché lo imbarazzava ritornare dopo la pubblicazione della
sua lettera (di congedo da Castro, n.d.a.)...
Aveva scelto il territorio (in Bolivia,
n.d.a.) e aveva elaborato il suo piano di lotta. Noi gli demmo la cooperazione e
l'appoggio per mettere in atto l'idea...
Noi, con grande lealtà, abbiamo dato al Che
tutto l'aiuto che ci aveva chiesto, i compagni che ci aveva chiesto, una collaborazione
totale... Lo aiutammo, e aiutammo un'impresa che credevamo fosse possibile. Non avremmo
potuto aiutare qualcosa di impossibile, qualcosa in cui non avessimo creduto... Il Che si
comportò così e io condivisi le sue scelte''(44).
Le responsabilità delle due provocatorie
avventure trotzkiste in terre straniere vanno quindi distribuite equamente fra entrambi i
leader storici della rivoluzione cubana.
Per capire in che situazione si era cacciato
Guevara, quanto egli fosse estraneo non solo al popolo congolese ma agli stessi
rivoluzionari congolesi e le dimensioni del fallimento della sua missione, è sufficiente
riportare un paio di brani che concludono il suo diario, reso pubblico e pubblicato di
recente.
Il primo: ``Abbiamo continuato nel tentativo
di arruolare con ogni mezzo i congolesi nel nostro piccolo esercito e di dargli rudimenti
di istruzione militare, per cercare di salvare con quel nucleo la cosa più importante,
l'anima, la presenza del sentimento rivoluzionario...
Verso di loro sentivo tutta l'impotenza che dà
la mancanza di comunicazione diretta; avrei voluto infondergli tutto ciò che realmente
provavo, ma quella sorta di trasformazione che era la traduzione, e forse lo stesso colore
della mia pelle, annullavano ogni sforzo. In seguito a una delle loro frequenti
trasgressioni (si erano rifiutati di lavorare, cosa che costituiva una caratteristica
tipica), ho parlato loro in francese, infuriato; ho detto le cose più tremende che sono
riuscito a trovare nel mio scarno vocabolario e, al colmo della rabbia, ho aggiunto che
avrebbero fatto meglio a infilarsi una gonna e a caricare yucca con le ceste (un lavoro
prettamente femminile), perché non servivano a nulla, avrei preferito formare un esercito
di sole donne, che non con individui come loro; mentre il traduttore ripeteva il mio sfogo
in swhili, tutti gli uomini mi hanno guardato e sono scoppiati a ridere fragorosamente''(45).
Il secondo brano, è quello dell'addio: ``Durante
quelle ultime ore di permanenza in Congo mi sono sentito solo come mai prima, né a Cuba
né in nessun'altro luogo dove mi avesse condotto il mio peregrinare. Potevo dire: `Mai
come oggi, dopo tanto camminare, mi sono ritrovato così solo'...
Questa è la storia di un fallimento... I
protagonisti e i relatori sono stranieri che hanno rischiato la vita in un territorio
sconosciuto, dove si parla una lingua diversa e al quale li uniscono soltanto i legami
dell'internazionalismo proletario, inaugurando un metodo non praticato nelle guerre di
liberazione moderne... Più correttamente questa è la storia di una decomposizione...
Mi tocca a questo punto l'analisi più
difficile, quella sul mio comportamento personale. Approfondendo fin dove ne sono stato
capace l'autocritica, sono giunto alle seguenti conclusioni: dal punto di vista dei
rapporti con i comandi della rivoluzione, sono stato ostacolato dalla maniera piuttosto
anomala in cui ero entrato in Congo e non sono stato capace di superare tale
inconveniente. Nei rapporti ho avuto un andamento incostante; per molto tempo ho tenuto un
atteggiamento che potrebbe essere definito eccessivamente compiacente, e a volte mi sono
lasciato andare a esplosioni di rabbia che ferivano; forse questa è una mia
caratteristica innata...
In quanto ai contatti con i miei uomini credo di
essermi sufficientemente sacrificato perché nessuno possa imputarmi nulla dal punto di
vista personale e fisico, ma in Congo le mie due debolezze fondamentali venivano
soddisfatte: il tabacco, che mi è mancato ben poco, e la lettura, che è stata sempre
abbondante... Soprattutto il fatto di ritirarmi a leggere, fuggendo i problemi quotidiani,
tendeva ad allontanarmi dal contatto con gli uomini, senza contare che ci sono certi
aspetti del mio carattere che non rendono facile l'intimità con gli altri...
Sono ricorso a metodi che non si usano in un
esercito regolare, come il lasciare gli uomini senza mangiare; è l'unico sistema efficace
che conosco in situazioni di guerriglia. All'inizio ho preteso di applicare coercizioni
morali, e ho fallito. Ho tentato di fare in modo che gli uomini avessero il mio stesso
punto di vista, e ho fallito; non ero preparato a guardare con ottimismo a un futuro che
bisognava intravedere tra brume tanto scure come quelle del presente.
Non ho avuto il coraggio di chiedere il massimo
sacrificio nel momento decisivo. Era un ostacolo interno, psicologico. Per me era molto
facile restare in Congo; dal punto di vista dell'amor proprio del combattente, era ciò
che andava fatto; dal punto di vista della mia attitudine futura, anche se non fosse
risultata la cosa più conveniente, in quel momento mi era indifferente. Quando valutavo
la decisione, giocava contro di me sapere quanto mi sarebbe risultato facile scegliere il
sacrificio. Ritengo che dentro di me avrei dovuto superare la zavorra di questa
autocritica e imporre a un determinato numero di combattenti il gesto finale; in pochi, ma
saremmo dovuti restare.
Infine, ha pesato nei miei rapporti con gli
uomini, l'ho potuto toccare con mano, per quanto sia del tutto soggettivo, la lettera di
commiato a Fidel. Questa ha fatto sì che i compagni vedessero in me, come tanti anni fa
sulla Sierra, uno straniero in contatto con i cubani. Allora, ero quello appena arrivato,
adesso, quello che se n'è andato via. C'erano cose che non avevamo più in comune, certi
desideri ai quali avevo tacitamente ed esplicitamente rinunciato e che risultano i più
sacri per ogni uomo preso individualmente: la sua famiglia, la sua terra, il suo ambiente.
La lettera che aveva suscitato tanti elogi a Cuba e fuori, mi separava dai combattenti.
Forse potranno sembrare insolite queste
considerazioni psicologiche nell'analisi di una lotta che ha dimensioni quasi
continentali. Continuo a essere fedele al mio concetto di nucleo; io ero il comandante di
un gruppo di cubani, niente più di una compagnia, ed il mio compito era quello di essere
il loro capo reale, colui che li avrebbe portati alla vittoria promuovendo lo sviluppo di
un autentico esercito popolare. Ma la mia particolare situazione mi rendeva al tempo
stesso un soldato, il rappresentante di un potere straniero, istruttore di cubani e
congolesi, stratega, politico d'alto bordo in uno scenario sconosciuto. E un Catone il
Censore, ripetitivo e pedante, nei miei rapporti con i capi della rivoluzione. A forza di
tirare tanti fili, si è formato un nodo gordiano che non ho avuto la risolutezza di
tagliare. Se fossi stato un soldato più autentico avrei avuto maggiore influenza sugli
altri aspetti delle mie complesse relazioni...
Ho imparato molto, in Congo. Ci sono stati
errori che non commetterò più, forse altri ne ripeterò o ne commetterò di nuovi. Ne
sono uscito con più fede che mai nella lotta guerrigliera, ma abbiamo fallito. La mia
responsabilità è grande; non dimenticherò questa sconfitta né i suoi preziosi
insegnamenti''(46).
E invece Guevara dimenticherà ben presto questa
sconfitta e i suoi insegnamenti. Due anni dopo ripeterà gli stessi errori e riporterà lo
stesso fallimento in Bolivia.
Il suo diario testimonia lo stato di isolamento
totale in cui viene a trovarsi la guerriglia, che egli inizia con circa 38 uomini, per lo
più cubani, rispetto al popolo e ai contadini boliviani. Quattro mesi prima della
sconfitta definitiva scrive: ``Continua la mancanza totale di collegamenti, il che ci
riduce a 24 uomini...; continua sempre la mancanza di reclutamento contadino''(47).
Otto giorni prima di essere catturato, e barbaramente ucciso, scrive sconsolato: ``La
massa contadina non ci aiuta per niente e i contadini si tramutano in delatori''(48).
E così viene ancora una volta tragicamente
dimostrato che senza il popolo i rivoluzionari non sono niente e non possono fare niente. ``La
guerra rivoluzionaria - rileva Mao - è la guerra delle masse ed è possibile
condurla solo mobilitando le masse e facendo affidamento su di esse''(49). Ed ancora: ``Il
popolo, e solo il popolo, è la forza motrice che crea la storia del mondo''(50).
Infine: ``I veri eroi sono le masse, mentre noi siamo spesso infantili e ridicoli; se
non comprendiamo questo, è impossibile acquistare una conoscenza sia pure rudimentale''(51).
Ignorare queste verità, comprovate dalla
pratica, vuol dire andare incontro ai più grandi fallimenti storici.
LA BANDIERA DELLA VITTORIA
Se la nostra analisi è corretta, se è conforme
ai fatti, come possono i giovani comunisti e i rivoluzionari riconoscersi in Guevara,
prenderlo come modello e innalzare la sua bandiera?
Possono identificarsi in lui i trotzkisti, i
neorevisionisti, gli anarchici, gli autonomi, i rivoluzionari da salotto, i piccoli
borghesi ribelli, gli ``ultrasinistri'', non certo chi lotta effettivamente contro il
capitalismo e l'imperialismo italiano, per il socialismo. Come si vede dalla pratica di
certi gruppi e movimenti, seguendo quella bandiera non si fa fare un solo passo alla lotta
di classe e non si fa nemmeno un graffio al regime neofascista, al suo governo Dini e ai
suoi servi D'Alema, Prodi e Bertinotti. è comunque assurdo seguire una bandiera che porta
alla sconfitta, al fallimento totale.
La storia del movimento operaio internazionale
conosce una sola bandiera invincibile e sempre vittoriosa. è la grande bandiera rossa di
Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao.
Nel passato, alzando questa bandiera i popoli di
tutto il mondo hanno assestato colpi devastanti al capitalismo, all'imperialismo, al
colonialismo, al razzismo, al fascismo e al nazismo e conseguito splendide vittorie, e il
socialismo ha trionfato in un terzo del mondo.
Nel presente, si può fare altrettanto. Si può
sconvolgere di nuovo cielo e terra, riconquistare le posizioni perdute e andare ancora
più avanti. Basta osare alzare di nuovo la bandiera rossa dei maestri e gettarsi in prima
fila nella lotta di classe.
Oggi questa grande bandiera della vittoria la
tiene alta e la propone solo il PMLI, e quindi è a questo Partito che bisogna dare tutta
la propria forza intellettuale, politica e materiale e il proprio impegno politico e
organizzativo affinché esso possa essere il punto di riferimento, di ispirazione, di
raccolta e di mobilitazione di tutti gli sfruttati e gli oppressi del nostro Paese.
Lo devono fare in particolare le operaie e gli
operai e le ragazze e i ragazzi che si battono in prima fila nei luoghi di lavoro, di
studio e di vita. Spetta soprattutto a loro riempire di decine, centinaia, migliaia di
bandiere dei maestri le piazze in lotta, sicuri che con i maestri e col PMLI vinceremo.
(Documento apparso su ``Il Bolscevico''
n. 36 del 12 ottobre 1995)
NOTE
1 - Mao, Sulla bozza di Costituzione della
Repubblica popolare cinese, 14 giugno 1954, opere scelte, vol. 5·, Edizioni Einaudi, p.
169
2 - Guevara, Lettera ai genitori, 1 aprile 1965,
in Scritti, discorsi e diari di guerriglia, Einaudi editore, p. 1455
3 - Guevara, La guerriglia a Cuba, 4 dicembre
'59, ibidem, p. 10
4 - Roberto Massari, Ernesto Che Guevara. Uomo,
compagno, amico..., Erre Emme, p. 29
5 - Guevara, Discorso di controreplica agli
interventi dei delegati di Costa Rica, Nicaragua, Venezuela, Colombia, Panama e Stati
Uniti alla XIX Assemblea generale delle Nazioni Unite, dicembre '64, in Scritti, discorsi
e diari di guerriglia, Einaudi editore, p. 1405
6 - Guevara, Apologia di Martí, 28 gennaio
1960, ibidem, p. 747
7 - Guevara, Note per lo studio della ideologia
della rivoluzione cubana, ibidem, p. 481
8 - Guevara, Lettere a Ernesto S-bato, 12 aprile
1960, ibidem, pp. 1442-1444
9 - Guevara, La formazione del programma sociale
dell'esercito ribelle, 27 gennaio 1059, ibidem, p. 720
10 - Ibidem, p. 726
11 - Ibidem, p. 722
12 - Ibidem, p. 723
13 - Ibidem, pp. 728-729
14 - Guevara, La guerra di guerriglia, 1960,
ibidem, p. 327
15 - Ibidem, p.348
16 - Guevara, La guerra di guerriglia è un
metodo, settembre 1963, ibidem, p. 437
17 - Guevara, Messaggio alla Tricontinentale,
reso pubblico all'Avana il 17 aprile 1967, ibidem, pp. 1466, 1469, 1470, 1471, 1474, 1475
18 - Trotzki, La rivoluzione permanente, 30
novembre 1929, Einaudi editore, pp. 23-24
19 - Guevara, Il partito marxista-leninista,
1963, in Scritti, discorsi e diari di guerriglia, Einaudi editore, p. 586
20 - Guevara, Messaggio alla Tricontinentale,
già citato, ibidem, p. 1473
21 - Guevara, Il socialismo e l'uomo a Cuba,
marzo 1965, ibidem, p. 714
22 - Guevara, Intervista concessa a New York
alla CBS, 14 dicembre 1964, ibidem, p. 1412
23 - Guevara, Messaggio alla Tricontinentale,
già citato, ibidem, pp. 1473-1474
24 - Ibidem, p. 1464
25 - Guevara, Curiamo i feriti, 29 aprile 1962,
ibidem, p. 112
26 - Guevara, Che cosa deve essere un giovane
comunista, ibidem, p. 1144
27 - Guevara, Il socialismo e l'uomo a Cuba,
marzo '65, ibidem, p. 716
28 - Ibidem, pp. 707, 708, 709, 711, 714
29 - Guevara, Quando si trova di fronte un
popolo deciso ad abbatterla, la potenza del colonialismo non è più così forte, 18
giugno 1960, ibidem, pp. 786-787
30 - Ibidem, p. 808
31 - Guevara, Discussione collettiva, decisione
e responsabilità uniche, luglio 1961, ibidem, pp. 497 e 499
32 - Guevara, Il Partito marxista-leninista,
1963, ibidem, pp. 584-585
33 - Guevara, Viaggio nei paesi socialisti, 6
gennaio 1961, ibidem, pp. 938-939
34 - Guevara, Il socialismo e l'uomo a Cuba, op.
cit., ibidem, p. 716
35 - Guevara, Lettera a Fidel Castro,
presumibilmente marzo-aprile 1965, in Scritti, discorsi e diari di guerriglia, Einaudi
editore, pp. 1453-1454
36 - Guevara, Il socialismo e l'uomo a Cuba, op.
cit., ibidem, p. 706
37 - Guevara, Antonio Guiteras, 8 maggio 1961,
in Scritti, discorsi e diari di guerriglia, Einaudi editore, p. 1007
38 - Guevara, Discorso al II Seminario economico
afro-asiatico svoltosi ad Algeri, 24 febbraio 1965, ibidem, p. 1425
39 - Guevara, Discorso alla cerimonia di
consegna dei certificati di lavoro comunista agli operai del ministero dell'industria per
il lavoro volontario di duecentoquaranta ore extra, 11 gennaio 1964, ibidem, p. 1267
40 - Guevara, Tattica e strategia della
rivoluzione Latino-Americana, ottobre 1962, ibidem, p. 548
41 - Guevara, La guerra di guerriglia, 1960,
ibidem, p. 320
42 - Guevara, Messaggio ai minatori boliviani,
1967, ibidem, p. 1701
43 - Guevara, El Patojo, 19 agosto 1962, ibidem,
p. 266
44 - Roberto Massari, op. cit., pp. 236, 237,
238, 248, 250
45 - A cura di Paco Ignacio Taibo II, Froil-n
Escobar e Felix Guerra, L'anno in cui non siamo stati in nessuna parte, 1994, Ponte alle
Grazie, pp. 201-203
46 - Ibidem, pp. 252, 253, 254, 255, 256
47 - Guevara, Diario di Bolivia, 30 giugno 1967,
in Scritti, discorsi e diari di guerriglia, Einaudi editore, p. 1620
48 - Ibidem, p. 1681
49 - Mao, Preoccuparsi del benessere delle
masse, fare attenzione ai metodi di lavoro, 27 gennaio 1934, Opere scelte, vol. 1, p. 157
50 - Mao, Sul governo di coalizione, 24 aprile
1945, Opere scelte, vol. 3, p. 213
51 - Mao, Prefazione e poscritto a ``Inchiesta
sulle campagne'', marzo e aprile 1946, Opere scelte, vol. 3, p. 9
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