Discorso di Monica Martenghi a nome del Comitato centrale del PMLI per il 31° anniversario della scomparsa di Mao
Imparando da Mao propagandiamo la concezione materialistica della famiglia, cacciamo via il governo Prodi e lavoriamo sodo per il successo del 5° Congresso del PMLI

Care compagne, cari compagni, care amiche e cari amici,
siamo qui riuniti su invito del Comitato centrale del PMLI, a nome del quale mi onoro di parlare, per commemorare Mao, grande maestro del proletariato internazionale, dei popoli e delle nazioni oppressi.
Sono passati 31 anni da quando, il 9 settembre 1976, Mao ci ha lasciati, ma il suo ricordo è ancora vivo fra i marxisti-leninisti e i rivoluzionari italiani e di tutto il mondo.
La bandiera del PMLI è quella di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao. Tutti e cinque questi grandi Maestri del proletariato internazionale sono da noi amati, onorati, studiati e non potremmo mai fare a meno anche di uno solo di loro. Ma a Mao ci lega un rapporto del tutto particolare, quasi di tipo filiale. Il PMLI senza Mao non sarebbe nemmeno nato.
"Se noi siamo qui - affermava il compagno Giovanni Scuderi nel Rapporto politico al Congresso di fondazione del PMLI -, se possiamo affermare che il proletariato ha finalmente il suo Partito, questo è tutto merito del presidente Mao, poiché è stato lui che ci ha sottratto all'influenza della borghesia e dei revisionisti e ci ha attratto al comunismo, è stato lui che ci ha fatto capire che una causa giusta può trionfare anche se all'inizio siamo pochi a credervi e disposti a operare concretamente per la sua realizzazione". (1).
Quella dei primi quattro pionieri del PMLI e dei fondatori del Partito ancora oggi fedeli alla causa, non fu una presa di coscienza superficiale, dettata dal forte vento dell'Est che soffiava contro il vento dell'Ovest. Non abbiamo seguito una moda come hanno fatto tanti rinnegati e maoisti pentiti che ieri inneggiavano a Mao e oggi sono i primi a sputar veleno e menzogne sul suo pensiero e la sua opera.
Noi siamo rimasti fedeli a Mao perché siamo rimasti fedeli alla causa della rivoluzione proletaria e del socialismo. Un impegno che è stato preso dai fondatori del PMLI ma che è stato fatto proprio dalle successive generazioni di militanti. Ne è un esempio la nascita proprio una settimana fa di una nuova Cellula del Partito a Troina, in provincia di Enna, che porta il nome del nostro grande e amato maestro Mao.
Noi, in quanto marxisti-leninisti e combattenti per il socialismo, non dimenticheremo mai Mao. Ma a quanto pare c'è qualcun altro che, pur per opposti motivi, non può fare a meno di ricordarlo.
Dopo 31 anni, Mao infatti continua a disturbare il sonno e il sistema nervoso agli anticomunisti storici e dichiarati, come i fascisti di An o il neoduce Berlusconi, e a quelli mascherati come il rinnegato Federico Rampini, ex membro della Fgci di D'Alema e attuale pennivendolo de "La Repubblica", che contro Mao ha persino scritto più di un libro.
È ormai chiaro che è in corso una campagna contro Mao, fomentata e sostenuta dalla reazione internazionale, che trova non a caso ampia eco fra gli intellettuali e i politicanti borghesi nostrani perché in Italia essi devono fare i conti con l'esistenza del PMLI.
"Il Giornale della Toscana", portavoce di Forza Italia, ha addirittura dato sfogo a tutta la sua famigerata furia anticomunista e antimarxista-leninista appena ha saputo che un giovane ha letto una preghiera durante la messa della chiesa di Sant'Anna di Lucca indossando una maglietta con l'effige di Mao e ha chiesto l'intervento dei vescovi contro quello che ha definito "lo scandalo di una gravità che sconvolge".
Non digeriscono il fatto che più attaccano e calunniano Mao, ma anche Stalin e gli altri grandi Maestri del proletariato internazionale, più questi attirano l'attenzione, la curiosità di conoscere e la simpatia dei giovani. In sostanza, come sosteneva Mao, questi reazionari "alzano una pietra per farsela ricadere sui piedi".(2)
E questa pietra diventa sempre più grossa, nel tentativo di seppellire per sempre il ricordo di Mao.
Hanno cominciato con l'attaccare il capolavoro teorico e pratico di Mao, la Grande rivoluzione culturale proletaria cinese. Sono passati poi al Grande balzo in avanti, ossia la politica di Mao per sviluppare il socialismo e l'economia socialista. Adesso sono giunti persino a mettere in discussione e attaccare la Lunga Marcia, quell'eroica ed epica impresa voluta e guidata da Mao che, dopo 12.500 chilometri percorsi in un anno superando difficoltà materiali di ogni genere, permise all'Esercito Rosso di sfuggire all'accerchiamento del potente e moderno esercito del Guomindang e gettare così le basi della vittoria della rivoluzione.
Senza quella impresa la Cina socialista non sarebbe mai esistita. Eppure Sun Shuyun, ricercatrice laureata all'università di Pechino e oggi producer della BBC, ha scritto un libro dal titolo "La Lunga Marcia", accolto con grande successo in Inghilterra e ora tradotto anche in Italia, dove sostiene che la Lunga Marcia fu in realtà una carneficina consumata all'interno stesso dell'Esercito Rosso da parte di aguzzini "invasati e drogati", alla cui testa ovviamente pone Mao, alla ricerca "dei fantasmi della cricca antibolscevica, che si risolse in 20 mila morti".
Di Mao si è detto ormai di tutto e di più, inventando di sana pianta false ricostruzioni e testimonianze sulla vita privata e familiare che lo descrivono come un mostro, un satana, un assassino al pari di Hitler, un megalomane, un maniaco sessuale. Ma tutte questa montagna di menzogne non possono scalfire nemmeno di un grammo la grandezza del suo pensiero e della sua azione e la sua vita esemplare di marxista-leninista completamente votata all'emancipazione del suo popolo e dei popoli di tutto il mondo.

Mao e le donne
Una delle operazioni più vili è quella di far apparire Mao come un maschilista che addirittura aveva in odio le donne. Al contrario Mao ha dato dei contributi straordinari e indelebili alla causa dell'emancipazione femminile.
Mao aveva grande premura per le donne e fin da giovane e non ancora marxista-leninista le spronava ad emanciparsi dalla morale e dai costumi feudali e dalla concezione feudale della famiglia, del matrimonio e dell'amore.
Mao non poteva sopportare la vista delle donne del suo Paese soggette ai più umilianti e inumani trattamenti. La lotta contro l'oppressione della donna e contro la morale e i costumi feudali divenne parte integrante della volontà di Mao di cambiare il volto del suo Paese.
Quand'era ancora studente lavorò attivamente per spingere le ragazze a partecipare alla vita e alla lotta sociale, scrisse lunghi articoli per sostenere la causa dell'emancipazione femminile e per forgiare ragazze rivoluzionarie.
In un primo tempo Mao era attratto dai movimenti femministi di carattere suffragista che si erano sviluppati in Cina in particolare dal 1912 e che avevano influenzato l'impetuoso movimento del 4 maggio 1919, ma ben presto modificò il suo atteggiamento nei loro confronti. Assimilando la concezione marxista-leninista dell'emancipazione della donna egli capì la natura borghese di quei movimenti femministi che lottavano sì contro la morale e i vecchi costumi ma per sostituirli con quelli borghesi importati dai paesi capitalistici occidentali.
Egli contestava il fatto che i movimenti femministi si occupassero esclusivamente dei problemi della libertà individuale e sessuale della donna e trascurassero tutta la sfera delle condizioni materiali delle lavoratrici e delle contadine. Inoltre quei movimenti teorizzavano una liberazione della donna indolore come risultato di una lotta puramente ideologica e culturale.
Mao capì che una vera uguaglianza tra uomo e donna può essere solo il risultato della trasformazione socialista dell'intera società e che il processo di emancipazione della donna è parte integrante del processo rivoluzionario per abbattere la società feudale e il capitalismo e conquistare il socialismo.
"Le donne rappresentano la metà del popolo - scriveva Mao nel 1929 -. La condizione economica delle lavoratrici, il fatto che esse soffrano particolarmente l'oppressione provano non solo che le donne hanno un bisogno urgente della rivoluzione, ma anche che esse costituiscono una forza decisiva per la vittoria della rivoluzione"(3).
Grazie alla spinta di Mao, durante la lunga guerra civile rivoluzionaria e in quella di resistenza contro il Giappone milioni di donne ebbero modo di prendere coscienza della loro condizione, di partecipare alla vita sociale e politica rivoluzionaria e di veder avviare a soluzione la loro secolare oppressione. Dove giunge l'Esercito Rosso con alla testa Mao, una ventata di nuovo penetra anche sul piano della concezione del mondo, della famiglia e della donna.
Nella base di Jangxi, dove ebbe inizio l'epica Lunga Marcia, in qualità di presidente del Soviet Mao promuove già nell'agosto del 1930 un decreto sul matrimonio accompagnato poi da un Piano di lavoro nei confronti delle donne che sancisce la libertà di matrimonio e di divorzio e abolisce la distinzione fra figli legittimi e figli illegittimi. In Italia solo negli anni '70 è stata raggiunta una legislazione simile e a costo di durissime lotte.
Per Mao l'emancipazione della donna è un elemento indispensabile della costruzione del socialismo. In coerenza con quanto avevano affermato gli altri Maestri del proletariato internazionale sottolineava che "senza l'emancipazione della donna, il socialismo non può essere realizzato" e che una "vera uguaglianza tra i sessi si può realizzare solo nel processo di trasformazione socialista dell'intera società". Queste verità universali furono più volte verificate da Mao nella pratica rivoluzionaria, in particolare durante il Grande balzo in avanti del 1958-59 e la Grande rivoluzione culturale proletaria iniziata nel 1966.
Durante il Grande balzo in avanti Mao chiama le donne a sostenere lo sviluppo dell'economia socialista, a partecipare al lavoro nelle campagne e nelle fabbriche. Vengono costruite piccole fabbriche e laboratori. Asili, mense e nidi si diffondono secondo le direttive del Partito comunista nelle fabbriche e nelle comuni. Si calcola che nel 1958 iniziano, per la prima volta, un lavoro esterno alla casa circa quaranta milioni di casalinghe. Negli anni '70 la stragrande maggioranza delle donne partecipa al lavoro sociale produttivo con percentuali mai raggiunte in nessun altro paese al mondo.
Con la partecipazione al lavoro produttivo, il raggiungimento dell'indipendenza economica, l'uscita dall'ambito ristretto delle quattro mura domestiche, l'intensa attività sociale, culturale e politica le donne riuscirono a imporre una nuova mentalità anche fra gli uomini e contribuirono a estendere la lotta contro la discriminazione di sesso che influenzava ancora molti anche all'interno dello stesso Partito comunista.
Nel corso della Grande rivoluzione culturale proletaria le donne cinesi conoscono poi un nuovo risveglio, si lanciano nella lotta di classe e assumono un ruolo d'avanguardia. Le donne in particolare sono in prima fila nella lotta contro le idee, le tradizioni, i costumi borghesi ancora presenti all'interno e all'esterno del Partito, contro i tentativi della cricca revisionista di Liu Shaoqi di estrometterle dal lavoro produttivo e relegarle nel lavoro domestico. Per la prima volta nella storia della rivoluzione cinese l'indicazione di Mao che "Le donne prendano posti di comando" diventa una realtà. Nel 1969 una direttiva ispirata da Mao stabilisce la presenza di almeno un 30% di quadri femminili in ogni Comitato rivoluzionario che andava a sostituire la vecchia struttura amministrativa.
La maternità non veniva più considerata un fatto privato, ma sociale. Nel senso che la cura, la crescita e l'educazione dei figli e dei giovani riguardano tutta la società che se ne fa carico collettivamente. Si sviluppano asili nido e le scuole fortemente integrati con la realtà produttiva, servizi collettivi di ristorazione, lavanderia, pulizia delle case, riparazione di abiti, utensili e mobili.
Questo processo di socializzazione del lavoro domestico fu fortemente osteggiato dalla destra borghese e revisionista e non riuscì ad affermarsi in modo omogeneo su tutto lo sterminato territorio cinese. Ciononostante quella era la linea marxista-leninista dell'emancipazione della donna, le cui due leve principali sono appunto la partecipazione delle donne al lavoro produttivo e la socializzazione del lavoro domestico, che Mao si è sforzato di applicare in Cina.
Una linea che è stata bruscamente interrotta dalla restaurazione del capitalismo ad opera dei revisionisti. Le donne cinesi sono così tornate ad essere oppresse dalla più brutale schiavitù salariata, dalla famiglia e dal marito. Dilagano di nuovo l'usanza feudale dei matrimoni combinati e la prostituzione, il confucianesimo ha ripreso vigore.
Le donne cinesi di oggi conoscono, insomma, tutte le delizie che il capitalismo riserva alle proletarie e alle masse femminili e che anche nel nostro Paese ben conosciamo: schiavitù salariata e domestica, disoccupazione e miseria, discriminazione e oppressione familiare, maritale, sessuale e sociale, una morale e costumi oppressivi e bigotti.

La famiglia
Basta pensare alla campagna del papa, del Vaticano e delle alte gerarchie ecclesiastiche per rilanciare e imporre allo Stato e all'intera società italiana, credente e non, la famiglia cattolica come unico e universale modello di famiglia.
Una famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna, consacrato, fedele, indissolubile, prolifico, che si fonda su una concezione "naturale" e preordinata della famiglia come disegno divino, luogo in cui si compie l'atto "creativo" di dio e il potere di quest'ultimo sull'uomo e la natura.
Fanno parte di questa campagna i ripetuti interventi del papa nero Ratzinger e della Cei di Angelo Bagnasco, degno successore di Camillo Ruini, contro il riconoscimento delle coppie di fatto e omosessuali, il divorzio, l'aborto, la contraccezione, la fecondazione assistita e la ricerca e la sperimentazione biogenetica. Nel maggio scorso le alte gerarchie vaticane sono passate addirittura dai discorsi terroristici e sessuofobi alla prova di forza e di piazza celebrando a Roma il Family day.
Lo scopo è quello di fare dell'Italia la patria e il veicolo nel mondo di una concezione della vita, della famiglia, della morale, dell'etica, della cultura e della scienza profondamente reazionarie, oscurantiste, retrograde, metafisiche e antifemminili. La culla del nuovo Medioevo del XXI secolo.
Questo obiettivo del papa e delle alte gerarchie dell'episcopato italiano si sposa fortemente con gli interessi della classe dominante borghese italiana che da sempre ha fatto della famiglia cattolica e borghese una delle fondamentali architravi del suo sistema economico e sociale.
Una famiglia, quella cattolica e borghese, oggi fortemente in crisi come testimoniano il calo verticale dei matrimoni cattolici e civili, l'aumento esponenziale delle separazioni e dei divorzi, il basso tasso di natalità, le ripetute violenze fisiche e sessuali contro le donne e i bambini che si consumano soprattutto all'interno delle mura domestiche.
Per la classe dominante borghese è invece vitale che la famiglia torni ad essere forte e salda, capace di ricoprire il ruolo che il capitalismo le ha assegnato nella sua organizzazione economica e sociale, specie ora che ha bisogno di dirottare tutte le proprie risorse a sostegno della competitività delle imprese e dell'espansione dell'imperialismo italiano in Europa, nel Mediterraneo e nel mondo.
Attraverso la famiglia il capitalismo, infatti, si assicura ogni giorno la riproduzione della forza-lavoro, non solo intesa come riproduzione della specie, ma anche come soddisfacimento di tutta una serie di bisogni della vita materiale e spirituale che permettono alla forza-lavoro di rigenerarsi, rinfrancarsi e modellarsi in base alle esigenze dello sfruttamento capitalistico. Questi bisogni se dovessero essere soddisfatti socialmente attraverso adeguati servizi sociali costerebbero troppo ai capitalisti che dovrebbero rinunciare a una parte dei loro profitti.
Il capitalismo, invece, attraverso la famiglia e in particolare grazie alla divisione dei ruoli fra uomo e donna al suo interno, e cioè alla schiavitù domestica e familiare della donna, si assicura gratis ogni giorno queste prestazioni anche quando la donna è costretta al lavoro fuori casa.
La famiglia è il più efficace ammortizzatore sociale di cui il capitalismo dispone. Essa infatti impedisce che fenomeni come i bassi redditi, la disoccupazione, la carenza di case, l'assenza, la carenza o il costo sempre più oneroso dei servizi sociali, assistenziali e sanitari pubblici, il bisogno di cure e assistenza per bambini, anziani, diversamente abili, facciano esplodere violente contraddizioni e lotte sociali.
Ecco perché la campagna della Chiesa cattolica a favore della famiglia, pur dimostrando una inaccettabile e antistorica ingerenza negli affari dello Stato italiano, non trova alcuna opposizione da parte né della destra né della "sinistra" borghese e lo Stato italiano sta tornando ad essere un vero e proprio Stato confessionale.
Anche il governo del dittatore democristiano Prodi ha fatto propria la triade mussoliniana e berlusconiana "Dio, patria e famiglia" attraverso una politica economica, sociale e fiscale di stampo apertamente familista. Non a caso fra i dodici punti prioritari del suo governo Prodi ha posto proprio il "rilancio delle politiche a sostegno della famiglia". Dei già moderati Pacs nemmeno a parlarne. Persino i Dico, che pure andavano fortemente incontro alle pretese vaticane e della destra borghese, probabilmente saranno sostituiti dai Cus, "contratto di unione solidale", che comunque evitano il riconoscimento pubblico delle coppie di fatto e ammettono solo un semplice contratto di natura privatistica da stipulare davanti a un giudice di pace o al notaio. La legge 40 sulla fecondazione assistita non è stata abolita, mentre il ministro della Salute, la diessina Livia Turco, ha già annunciato delle "linee guida" sull'applicazione della legge 194 sull'aborto che ne limiteranno ulteriormente l'attuazione, andando incontro alle pretese del cardinal Ruini.
Destra e "sinistra" borghese convergono sulla necessità di difendere la famiglia così come è stata definita nella Costituzione del '48 nel suo articolo 29. Ossia, una famiglia intesa come "società naturale fondata sul matrimonio". Una definizione tanto cara anche al cane da guardia della Camera, il monaco mancato Fausto Bertinotti, che interrogato su quale fosse la sua concezione di famiglia ha risposto: "Quella che è scritta nella Costituzione".
Noi marxisti-leninisti, al contrario, respingiamo la concezione retriva e cattolica sancita nella Costituzione, frutto di un inaccettabile compromesso raggiunto nel '48 fra la DC e il PCI revisionista. Non si tratta semplicemente di darne un'interpretazione più moderna e aperta. L'articolo 29 va semplicemente cancellato.
Si definisce "naturale" tutto ciò che si vuole fare concepire come eterno, immutabile e intoccabile. Ma non c'è niente di naturale nella famiglia borghese e cattolica. Come non c'era niente di naturale nella famiglia patriarcale e feudale, o in quella poligama e matriarcale primitiva.
La famiglia, secondo il materialismo storico e dialettico, nasce, si sviluppa e si trasforma storicamente in base agli sviluppi e alle trasformazioni sociali e, in ultima istanza, essa è il riflesso della base economica di una determinata epoca storica. A ogni determinato tipo di società che si è avvicendata nella storia, corrisponde un determinato tipo di famiglia.
Lo stesso modello di famiglia cattolica si è determinato storicamente ed è tutt'altro che naturale e preordinato. In realtà esso è venuto codificandosi nei secoli a cominciare da Giustiniano in poi, cioè dal momento che la Chiesa cattolica ha assunto un ruolo di organizzatrice della vita sociale e non ha riscontro nel cristianesimo primitivo. Sarà il Concilio di Trento (e siamo già nel XVI secolo) a porre il sigillo a un ordinamento matrimoniale cristiano che sarà da modello di ispirazione per molti degli ordinamenti civili successivi. Solo allora il matrimonio diventa uno dei sette sacramenti e viene sancita la sua indissolubilità.
Come sono scomparse le forme di famiglia precedenti, anche la famiglia cattolica e borghese, che corrisponde ai rapporti di produzione capitalistici, è destinata ad essere superata e sparirà allorché verranno distrutte le sue basi economiche e con esse tutte le norme sociali, morali, etiche e giuridiche che la sorreggono. Non sappiamo al momento quando ciò avverrà, né quali forme di rapporti fra i sessi e le generazioni la sostituiranno. Certamente non avverrà dall'oggi al domani, ma sarà il frutto di un profondo processo di trasformazione che andrà di pari passo con la trasformazione dell'intera società.
Da parte nostra non possiamo porci l'obiettivo di sopprimere artificialmente nel socialismo la famiglia, né attendere passivamente che questo processo si compia per moto spontaneo. Noi dobbiamo lavorare perché "sorga e si affermi a livello di massa - come sostiene il Documento dell'Ufficio politico del 28 maggio 1994 - un nuovo tipo di famiglia, nuovi rapporti fra i sessi e fra genitori e figli non più fondati sull'interesse economico, sull'ereditarietà della proprietà privata capitalistica, sulla subalternità, la disparità e l'oppressione della donna. Una nuova famiglia fondata sull'amore, l'aiuto e il rispetto reciproci, sulla parità fra donna e uomo e genitori e figli, in osmosi con l'intera vita sociale e al servizio della rivoluzione socialista e della costruzione del nuovo Stato socialista".(4)
Nell'immediato si tratta di battersi perché si affermi a livello di massa la concezione proletaria del mondo, della famiglia, dei rapporti fra i sessi e dell'emancipazione femminile per sottrarre il proletariato e le masse femminili e popolari all'influenza e al condizionamento dell'ideologia idealista, metafisica e cattolica e della politica neofascista del governo.
Dobbiamo batterci contro il modello di famiglia borghese e cattolica difendendo i diritti e le conquiste fin qui acquisite e spingendo affinché essi si allarghino per quanto è possibile negli angusti limiti della democrazia e del diritto borghesi.
Le masse femminili che aspirano all'emancipazione devono in particolare impugnare con forza le due grandi battaglie strategiche per il lavoro e la socializzazione del lavoro domestico. Perché non c'è emancipazione senza indipendenza economica e una partecipazione larga e piena delle donne al lavoro sociale. Perché, come ci ha insegnato Mao, non c'è emancipazione senza strappare le donne alla schiavitù domestica che le subordina alla famiglia e al marito, le emargina, le abbrutisce, le esaurisce fisicamente e mentalmente per 365 giorni l'anno.
Ciò significa inanzitutto e nell'immediato battersi per un'occupazione stabile, a tempo pieno, a salario intero e sindacalmente tutelato per tutte le donne e per imporre la costruzione di una fitta rete di servizi sociali, sanitari e scolastici pubblici, in primo luogo gli asili nido, in tutto il territorio nazionale, a partire dal Mezzogiorno.
Significa anche difendere con i denti i diritti acquisiti e aggredire il familismo mussoliniano imperante rivendicando la piena parità tra donne e uomini in campo politico, sociale, sindacale, professionale e familiare, i diritti civili, pari diritti per le coppie di fatto, anche omosessuali, rispetto alle coppie coniugate, l'abolizione della legge 40 sulla fecondazione assistita e la legittimazione delle ricerche e delle sperimentazioni di biogenetica sugli embrioni e i feti, la difesa della 194 e della legge sul divorzio che devono essere toccate solo per migliorarle, per rendere più liberi, meno costosi ed effettivi tali diritti, la difesa dei diritti previdenziali acquisiti, la difesa di una sanità e di un sistema assistenziale pubblici e gratuiti.

Il governo Prodi
Il familismo mussoliniano non è certo l'unica bandiera che Prodi ha strappato dalle mani del neoduce Berlusconi. Dopo un anno e mezzo di vita, sfidiamo chiunque a individuare una qualche "discontinuità" fra il governo Prodi e quello del neoduce sia in politica estera sia in politica interna. A dire il vero, grazie anche alla copertura dei vertici sindacali collaborazionisti e della cosiddetta "sinistra radicale" governativa, Prodi si sta spingendo anche oltre il suo predecessore e in modo assai più spedito.
In politica economica e sociale è riuscito a metter mano alla controriforma pensionistica che ha addirittura peggiorato lo scalone Maroni, ha innalzato l'età pensionabile a 62 anni e tagliato le pensioni attraverso la riduzione dei coefficienti a partire dal 2010. Il pacchetto sul nuovo Welfare varato il 23 luglio non solo non cancella la legge 30 né il vecchio "pacchetto Treu", ma non vengono abolite nemmeno le forme più odiose e disumane del lavoro precario, come il lavoro a progetto (co.co.pro.) e lo Staff leasing, o il lavoro interinale, e viene peggiorata la normativa sui contratti a termine.
Per quanto riguarda le donne, i provvedimenti annunciati dal governo mirano a rafforzare rapporti di lavoro part-time, ossia mezzo orario e mezzo salario, mentre vedranno nella pratica aumentare l'età della loro pensione di vecchiaia.
Per non parlare della stangata della finanziaria 2007 e delle liberalizzazioni che proseguono a vele spiegate.
In politica estera la musica non cambia. Prodi non solo ha confermato e rafforzato la missione di guerra in Afghanistan, che come ha ribadito il rinnegato ministro degli Esteri D'Alema proseguirà "per un tempo non breve", ma ha inviato il nostro esercito in Libano in una missione di guerra il cui vero scopo è quello di assicurare l'esistenza di Israele, di normalizzare e asservire tutti i governi della regione, cancellare ogni movimento di liberazione nazionale, in primo luogo Hezbollah e Hamas, isolare e indebolire l'Iran e la Siria, mettere l'intero Medio Oriente sotto il controllo dei paesi imperialisti Usa, Ue, Israele con la copertura dell'Onu e saccheggiarne il petrolio.
In questo scenario il governo della "sinistra" borghese ha dato prova di continuità con la politica espansionista e interventista storica dell'imperialismo italiano nel bacino del Mediterraneo, che va da Crispi a Berlusconi, passando da Mussolini e Craxi. Anche Prodi, D'Alema e Parisi vogliono conquistare all'Italia un "posto al sole" tra le grandi potenze che si spartiscono la Terra. Berlusconi lo praticava stando rigidamente attaccato al carro di Bush e dei suoi agenti sionisti, mentre il governo della "sinistra" borghese copre la sua stessa politica dietro le bandiere dell'Onu e della Ue e quella arcobaleno sempre più sbiadita dei sedicenti pacifisti.
Ciò non significa che Prodi voglia trascurare e mettere in secondo piano l'alleanza con gli imperialisti americani. Lo dimostra la criminale concessione all'Hitler della Casa Bianca del raddoppio della base Usa di Vicenza, nonostante la ferma opposizione delle masse. In quest'ambito riteniamo una vera e propria provocazione che il governo abbia accolto con entusiasmo la scelta dell'isola della Maddalena come sede del G8 nel 2009.
Che il governo Prodi è una copia di "sinistra" del governo Berlusconi, come lo aveva bollato fin da subito l'Ufficio politico del PMLI, lo dimostra anche il rilancio del presidenzialismo mussoliniano e del federalismo bossiano attraverso la nuova legge elettorale e le proposte di controriforma costituzionale, facendosi beffa del risultato referendario sulla costituzione di Berlusconi che li ha bocciati senza appello. In questo pressato e supportato dal rinnegato capo dello Stato, Giorgio Napolitano.
Ciò non ci meraviglia affatto dal momento che fu proprio la bicamerale golpista, presieduta da D'Alema e con la partecipazione attiva dei falsi comunisti Bertinotti e Cossutta, a varare nel 1997 un progetto di legge di controriforma neofascista, presidenzialista e federalista della Costituzione. Così come furono i governi di "centro-sinistra" di Prodi, D'Alema e Amato che attuarono quel progetto concretamente per la parte riguardante il federalismo.
Oggi persino l'europarlamentare del PdCI, il falso comunista Marco Rizzo, ex dirigente di "Lotta continua", ci racconta che: "Si sta avverando quello che voleva Licio Gelli con la loggia Propaganda 2: un forte presidenzialismo, maggiori poteri alla figura del premier, controllo della politica nei confronti della magistratura, cancellazione della rappresentanza sindacale in termini di conflitti di classe. E il Partito democratico non sta contrastando tutto questo, anzi lo sta assecondando come fa il centrodestra".(5)
E bravo Rizzo: ha scoperto finalmente l'acqua calda. Ma dov'era quando il PMLI ha denunciato il pericolo del regime neofascista e del golpe istituzionale?
Noi marxisti-leninisti gli occhi li abbiamo aperti fin dal settembre 1979 quando Bettino Craxi, allora segretario del PSI, lanciò su "l'Avanti!" la "Grande Riforma" costituzionale e denunciammo alle masse quello che stava imbastendo sul piano istituzionale la destra borghese con alla testa la P2 di Gelli, Berlusconi e lo stesso Craxi. Nove anni dopo, esattamente il 20 febbraio 1988, attraverso un documento del Comitato centrale del PMLI lanciammo un forte allarme antifascista sulla restaurazione del fascismo in atto. Ma Rizzo e tutta la "sinistra" borghese fecero orecchie da mercante e l'hanno continuato a fare fin qui.
Ora, se le belle addormentate si svegliano, ne siamo felici. Ma, per favore, un po' di coerenza. Se il governo Prodi sta realizzando il progetto della P2, che ci fa ancora il PdCI in quel governo? Non è che si vuole semplicemente tentare di separare le proprie responsabilità, non perdere la faccia col proprio elettorato e nel contempo mantenere le proprie poltrone governative?
Il governo Prodi è giunto persino a far propria la classica politica antimmigrati e della "sicurezza" del neoduce Berlusconi pur di attirare il consenso e i voti della destra. Sette milioni e 577 mila poveri ha stimato in Italia l'Eurispes; 704 morti sul lavoro dal 1° gennaio nel nostro Paese; la mafia e la camorra dilagano nell'economia e nelle istituzioni borghesi. Ma per il governo del dittatore democristiano le priorità sono la "microcriminalità" e "l'illegalità diffusa" e si appresta a varare un pacchetto di misure fasciste sulla "sicurezza" che andranno a colpire gli immigrati, i piccoli ambulanti e venditori abusivi, i lavavetri, i graffitari.
A fare da apripista al governo sono stati i rinnegati capibastone diessini Domenici e Cioni che a Firenze hanno emanato per primi in Italia un'ordinanza fascista contro i lavavetri suscitando l'entusiastico consenso della destra e la giusta condanna dei marxisti-leninisti fiorentini e di tutti i democratici e antifascisti autentici della città. Domenici per difendere la sua ordinanza fascista ha avuto anche il coraggio di chiamare in causa Lenin, al quale, a suo dire, si sarebbe ispirato. La verità è che il suo modello reale non è altro che Mussolini.
Vista la sua politica estera, interna, economica e sociale, la sua arroganza e inaffidabilità sul terreno democratico-borghese, il governo del dittatore democristiano Prodi è tutt'altro che un governo amico dei lavoratori e delle masse popolari. È il classico lupo vestito da agnello che penetra negli ovili e compie la sua strage indisturbato. Va combattuto e cacciato via dalle masse il prima possibile.
Occorre innanzitutto una grande mobilitazione per il No al referendum sul protocollo Prodi e lo sciopero generale per respingerlo in toto.
Torniamo a chiedere l'abolizione della legge 30 e del "pacchetto Treu" e di tutte le forme di precariato e di flessibilità. Vogliamo un lavoro stabile per tutte le disoccupate e i disoccupati, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutalato. Vogliamo che il Sud abbia una struttura economica pari a quella del Centro e del Nord Italia. Vogliamo che le pensioni, la sanità, la scuola e l'università siano pubbliche. Vogliamo una casa per tutti gli operai, i disoccupati, i migranti, i poveri che non ce l'hanno. Vogliamo la stabilizzazione di tutti i precari pubblici. Vogliamo che vengano abolite la Bossi-Fini, il ddl Ferrero-Amato, la legge Moratti e quella 40, e l'anacronistico e inaccettabile concordato fra Stato e chiesa cattolica.
Vogliamo che l'Italia ritiri subito le truppe dall'Afghanistan, dal Libano e dal Kosovo e richiami i carabinieri dall'Iraq. Vogliamo che si blocchi subito il raddoppio della base Usa Dal Molin a Vicenza.
Il proletariato e le masse più coscienti e informate stanno gradualmente aprendo gli occhi sulla reale natura del governo Prodi. Lo testimoniano la batosta subita dal "centro-sinistra" alle ultime elezioni amministrative parziali, le ripetute contestazioni subite da Prodi e dai suoi ministri, il successo della grande e storica manifestazione di Roma contro Bush e Prodi e il contestuale fallimento di quella filogovernativa organizzata dalla "sinistra radicale".

Il Partito democratico e le sue coperture
Per far fronte al repentino precipitare dell'immagine, della credibilità e della fiducia delle masse nel governo di "centro-sinistra", provocata dalla sua politica antioperaia, antipopolare, neofascista e guerrafondaia, nonché dal riesplodere della questione morale che ha coinvolto il suo partito di maggioranza, i DS, nella sporca vicenda delle scalate bancarie, la "sinistra" borghese sta tentando di uscire dal pantano dando vita all'ennesimo mostriciattolo politico organizzativo del Partito democratico che dovrebbe andare a sostituire l'anatra zoppa Prodi e tentare di riguadagnare il terreno perduto nei confronti della destra borghese.
Allo scopo è sceso in campo il liberale borghese e anticomunista Walter Veltroni che, sostenuto da un fronte borghese vastissimo che va dalla Confindustria di Montezemolo alla "sinistra radicale" di Bertinotti e Mussi, da settori del Vaticano e della chiesa all'elettorato "laicista" del "centro-sinistra", si è presentato praticamente come unico futuro leader del nuovo partito.
A parte ogni considerazione sulla scelta di una scesa in campo sotto il segno della spettacolarizzazione mediatica all'americana della politica, il manifesto che Veltroni ha lanciato a Lingotto il 27 giugno scorso è tutto un programma liberale e presidenzialista. Veltroni condivide pienamente la controriforma costituzionale e ha recentemente rilanciato il presidenzialismo mussoliniano e il federalismo bossiano in un lungo articolo pubblicato su "l'Unità" del 31 agosto in cui espone il suo "Decalogo per cambiare questa politica in crisi". In esso si legge che "È un'urgenza assoluta" fra l'altro "rafforzare decisamente la figura del presidente del Consiglio, sul modello tipicamente europeo del governo del primo ministro" e "completare la riforma federale dello Stato".
Se queste sono le premesse, è evidente che il nuovo Partito democratico costituirà nient'altro che un ulteriore spostamento a destra del "centro-sinistra" e del suo governo.
Del resto la classe dominante borghese chiede perentoriamente ai suoi governi, siano essi di destra o di "sinistra" borghese, di portare a compimento anche su un piano formale la seconda repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista e interventista per garantire stabilità, decisionismo ed efficienza governative in politica interna ed estera.
Era stato proprio il presidente della Confindustria Luca Cordero di Montezemolo a dettare l'agenda dei temi e la linea politica da adottare nell'immediato futuro lanciando il "grande progetto paese" di destra il cui nocciolo centrale è appunto la controriforma neofascista, presidenzialista e federalista della Costituzione oltre al liberismo più sfrenato in campo economico e sociale. E in una lettera al "Corriere della Sera" del 29 agosto scorso è tornato a ribadire che "Bisogna ripristinare l'azione dello Stato avendo dei principi forti: lavoro, merito, autorità, ordine, rispetto, mercato, concorrenza, educations, spirito di sacrificio e ricompensa". Insomma, un vero e proprio proclama mussoliniano immediamente fatto proprio dalla casa del fascio, ma anche dal nascente Partito democratico di Veltroni.
A questa deriva neofascista del PD è destinata anche la cosiddetta "sinistra radicale" che nonostante tutto continua imperterrita a sostenere il governo qualsiasi sia la nefandezza che esso compie.
PRC e PdCI rischiano fortemente la morte elettorale, ma anche politica e organizzativa. Scollati dalla propria base e dai movimenti, minacciati da una "riforma" elettorale che potrebbe azzerarli del tutto, dilaniati da contraddizioni interne, incalzati dalla nascita del PD, questi partiti falsi comunisti stanno tentando disperatamente, ma assai vanamente, di venirne fuori. Qualsiasi sia il loro approdo politico e organizzativo, sia esso un nuovo partito, una federazione insieme alla SD di Mussi e ai Verdi, un cartello elettorale, l'unica cosa certa è che essi stanno ormai precipitando nel pantano socialdemocratico e tenteranno a tutti i costi di rimanere attaccati al carro governativo.

Il PMLI
A sinistra del Partito democratico si è aperto un ampio spazio che può e deve essere riempito dal PMLI.
La storia ha già dimostrato che mai in Italia c'è stato un autentico Partito comunista prima che nascesse il PMLI. La storia del PSI di Turati, Nenni e Craxi e quella del PCI di Bordiga, Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer avevano già dimostrato che senza un partito rivoluzionario, senza un partito fondato sul marxismo-leninismo-pensiero di Mao e dotato di una linea politica e organizzativa bolscevica è impossibile per il proletariato conquistare il potere politico e il socialismo. Adesso a questa esperienza si è aggiunta quella del PRC e del PdCI che appena sono stati fondati abbiamo smascherato come dei partiti revisionisti e trotzkisti destinati presto o tardi ad essere liquidati.
Molti fautori del socialismo hanno voluto fare anche l'esperienza di questi ultimi due partiti illudendosi che si trattasse di autentici partiti comunisti. Qualcuno si è pentito e li ha abbandonati, almeno sul piano elettorale, altri ancora stentano ad abbandonarli al loro destino. Pesa su di loro soprattutto l'influenza del parlamentarismo, dell'elettoralismo e del partecipazionismo borghesi inculcati per oltre un secolo dai partiti riformisti e revisionisti. Oggettivamente però devono riconoscere che hanno sprecato altri 16 anni della loro vita politica dietro partiti che non vogliono più il socialismo. Il "socialismo del XXI secolo" al quale si richiamano, infatti, non è altro che un progetto socialdemocratico e riformista tutto interno al capitalismo che non ha nulla a che vedere col vero socialismo realizzato da Lenin e da Stalin in Urss e da Mao in Cina.
Niente è comunque perduto. L'importante è prendere coscienza che non si può più stare sull'albero a cantare magari tifando per il PMLI senza scendere in campo in prima persona.
Vogliamo qui ricordare l'accorato appello ai fautori del socialismo lanciato un anno fa in occasione del 30° della scomparsa di Mao dal compagno Scuderi.
Egli ha detto: "'Se si vuol fare la rivoluzione, - sostiene Mao - ci deve essere un partito rivoluzionario. Senza un partito rivoluzionario, senza un partito che si basi sulla teoria rivoluzionaria marxista-leninista e sullo stile rivoluzionario marxista-leninista, è impossibile guidare la classe operaia e le larghe masse popolari a sconfiggere l'imperialismo e i suoi lacché'.
Questo tipo di Partito - che non può essere confuso con altri tipi di partito che si autodefiniscono abusivamente comunisti - in Italia fortunatamente c'è già, ed è il PMLI. Si tratta solo di farlo crescere e radicare in tutte le regioni del Paese. (...)
Il PMLI è l'unico partito italiano che, oltre a volere veramente il socialismo, è in grado di risvegliare il proletariato alla lotta rivoluzionaria per la conquista del potere politico e di fargli acquisire la sua coscienza di classe. (...)
Che lo si riconosca o no, l'esistenza del PMLI è un dato di fatto, dalla quale non si può prescindere e con la quale si devono misurare e confrontare tutti i rivoluzionari e fautori del socialismo.
Chi tra questi conosce già il PMLI non può far finta che non esista, e seguitare a militare nei partiti e in correnti di partito falsamente comunisti, e magari correre dietro ai trotzkisti dichiarati che si accingono a creare nuovi partiti a sinistra di Rifondazione, vista la poco gloriosa fine governativa che questa ha fatto. (...)
E allora perché perdere ancora altro tempo e tante energie preziose militando in tali partiti? Non si avverte che è l'ora di rompere definitivamente ogni legame con i revisionisti, anche sul piano organizzativo?
Da questa solenne tribuna, - sostiene Scuderi - in questa occasione memorabile, lanciamo un accorato appello a tutti coloro che vogliono seguire le orme di Mao e degli altri maestri a prendere rapidamente posto di combattimento nel PMLI. Ogni ritardo indebolisce il PMLI e la lotta di classe e rafforza la classe dominante borghese e i partiti ad essa asserviti.
In primo luogo ci rivolgiamo alle figlie e ai figli migliori, più avanzati e più combattivi della classe operaia, che devono costituire la testa e l'ossatura portante del PMLI, e alle ragazze e ai ragazzi che lottano per un mondo nuovo e che abbiano gli stessi sentimenti, la stessa determinazione e la stessa tempra dei coetanei che hanno fondato il PMLI e sono ancora fedeli alla causa.
Ci rivolgiamo anche agli intellettuali rivoluzionari, il cui ruolo sul piano culturale, ideologico e filosofico è insostituibile, e senza i quali è assai problematico combattere e sconfiggere la cultura e l'ideologia borghesi, far acquisire al proletariato la coscienza di essere classe per sé, educare il nostro amato popolo sulla base del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, sciogliere certi nodi storici, economici, scientifici, culturali, e nei vari campi in cui occorre essere specialisti. (...)
Chi vuol spendere la propria vita per la causa più nobile, più grande, più utile che un essere umano possa abbracciare, la causa dell'emancipazione del proletariato e dell'intera umanità, - concludeva Scuderi - non può non unirsi a noi nel PMLI. Chi invece vuol dare solo qualche contributo, o non può essere militante mancandogli le caratteristiche previste dallo Statuto, può benissimo unirsi al Partito come simpatizzante. Il suo contributo, piccolo o grande che sia, sarà utilissimo e apprezzato dal Partito".(6)
Come abbiamo sentito all'inizio dai rappresentanti delle istanze e dei simpatizzanti locali del Partito, che ringraziamo di tutto cuore, ogni istanza, militante e simpatizzante attivo, farà la sua parte per costruire un grande, forte e radicato PMLI in grado di sostenere, dirigere e portare alla vittoria le battaglie immediate e a lungo termine che attendono il proletariato e le masse italiane.
Lo faranno ponendo soprattutto l'attenzione sul radicamento del Partito che resta la questione principale per costruire un grande, forte e radicato PMLI sulla base della parola d'ordine "Studiare, concentrarsi sulle priorità, radicarsi; radicarsi, concentrarsi sulle priorità, studiare". Come ha sottolineato il compagno Scuderi: "È comprovato dalla pratica che senza lo studio si naviga a vista; senza concentrarsi sulle priorità non si sa dove andare e si gira a vuoto; senza radicarsi è come se fossimo degli apolidi, della gente estranea al proprio ambiente".(7)
Per raggiungere questo obiettivo occorre tenere presenti e agire di conseguenza, i tre elementi chiave e le quattro indicazioni per radicare il PMLI. Più in generale per avere successo dobbiamo impugnare con forza le Coordinate del lavoro politico e di massa del PMLI. Esse sono il frutto dello studio del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, della sua applicazione alla realtà concreta del nostro Paese e della nostra rivoluzione e dell'esperienza quarantennale maturata dal nostro Partito e analizzata in senso critico e autocritico. Si tratta di uno sforzo ciclopico che forse non appare a prima vista data la semplicità e la sinteticità delle indicazioni contenute nelle Coordinate. Eppure esse sono la chiave, insieme al nostro Programma generale, al nostro Statuto e al nostro Programma d'azione, per condurre il nostro Partito alla vittoria. Sottovalutarle, studiarle con superficialità o sufficienza, non sforzarsi di applicarle alla realtà concreta in cui si vive e si opera politicamente può significare perdere completamente la bussola del nostro lavoro politico se non della nostra militanza.
Allo studio e all'applicazione delle Coordinate del lavoro politico e di massa deve necessariamente aggiungersi lo studio del magistrale discorso del compagno Scuderi sulle classi e il fronte unito che contiene l'analisi e le indicazioni più aggiornate per quanto riguarda questo fondamentale campo di lavoro politico.
Nel settembre di quaranta anni fa, era il 1967, i primi quattro pionieri del PMLI, Giovanni Scuderi, Mino Pasca, Patrizia Pierattini e l'indimenticabile e cara compagna Nerina "Lucia" Paoletti, diedero inizio alla nostra Lunga Marcia politica e organizzativa. Da allora, come ci ha ricordato il compagno Scuderi alla storica manifestazione in piazza per il 30° anniversario della fondazione del PMLI "siamo andati controcorrente per essere coerenti con l'identità comunista', ossia marxista-leninista, che vuol dire tenere alte le bandiere dei Maestri e del socialismo, difendere gli interessi immediati e a lungo tempo del proletariato e delle masse e non deflettere dalla via della rivoluzione socialista".(8)
Impugnare con forza le Coordinate del lavoro politico e di massa significa appunto difendere questa identità marxista-leninista e tramandarla alle future generazioni di militanti e simpatizzanti del Partito.
Il prossimo anno sarà l'anno del 5° Congresso nazionale del nostro amato Partito. Chi aspira al socialismo e vuol esserne un fautore e ritiene di avere la stoffa dei pionieri rossi si affretti a unirsi al PMLI come militante o simpatizzante; non perda l'occasione irripetibile del 5° Congresso nazionale al quale potrà così dare un contributo diretto.
Prepariamoci bene, compagne e compagni, a questo storico appuntamento. Tenendo fermi gli insegnamenti di Mao e degli altri Maestri del proletariato lavoriamo sodo e con fiducia nel marxismo-leninismo-pensiero di Mao, nel socialismo, nel Partito, nelle masse e in noi stessi per portare più doni politici possibili al Congresso, ossia un Partito più sviluppato sul piano nazionale e più radicato sul piano locale, più Cellule, militanti, simpatizzanti e amici.
"All'inizio la verità - ci insegna Mao in un importante discorso del 1962 -non è nelle mani della maggioranza, ma tra quelle di una minoranza. Marx e Engels erano dalla parte della verità ma all'inizio essi erano in minoranza. Anche Lenin è stato a lungo in minoranza. Abbiamo avuto questo tipo di esperienza nel nostro Partito. Nella storia, le dottrine degli specialisti di scienze naturali come Copernico, Galileo e Darwin non furono riconosciute per molto tempo dalla maggioranza della gente, ma, anzi, considerate errate. Al loro tempo, erano nella minoranza. Quando fu fondato nel 1921, il nostro partito aveva solo poche decine di membri; erano quindi una minoranza, ma queste poche decine di persone incarnavano la verità e il destino della Cina".(9)
Il PMLI incarna la verità e il destino dell'Italia unita, rossa e socialista e il suo non può che essere un grande e vittorioso avvenire.
Gloria eterna a Mao!
Viva il marxismo-leninismo-pensiero di Mao!
Via Prodi che come Berlusconi fa solo gli interessi dei padroni!
Lavoriamo sodo per il successo del 5° Congresso nazionale del PMLI!
Avanti con forza e fiducia verso l'Italia unita, rossa e socialista!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!

 
NOTE
1) Giovanni Scuderi, Rapporto politico, in Documenti del Congresso di fondazione del PMLI, 9-11 Aprile 1977, pag. 4
2) Mao, Intervento alla riunione del Soviet Supremo dell'Urss per la celebrazione del 40° anniversario della Grande Rivoluzione socialista d'Ottobre, 6 novembre 1957
3) Mao, citato nell'articolo "Sotto la direzione del presidente Mao noi donne abbiamo preso la via dell'emancipazione", 12 ottobre 1977
4) Documento dell'UP del PMLI dal titolo: "Seguiamo e applichiamo gli insegnamenti di Engels sulla famiglia", 28 maggio 1994, in Documenti del PMLI, vol. 2, pag. 96
5) Marco Rizzo, intervista a "la Repubblica" del 28 agosto 2007
6) Giovanni Scuderi, "Applichiamo gli insegnamenti di Mao sulle classi e il fronte unito", Discorso per il 30° anniversario della scomparsa di Mao, 10 settembre 2006, pubblicato in opuscolo e su "Il Bolscevico" n. 33/2006
7) Giovanni Scuderi, Rapporto alla 6ª Riunione plenaria del 4° Ufficio politico del PMLI "Intensifichiamo gli sforzi per costruire un grande, forte e radicato PMLI", 15 settembre 2002, in "Il Bolscevico" n. 35/2002
8) Giovanni Scuderi, "Avanti con forza e fiducia verso l'Italia unita, rossa e socialista", Discorso tenuto per il 30° Anniversario della fondazione del PMLI, 15 aprile 2007, pubblicato in opuscolo e su "Il Bolscevico" n. 15/2007
9) Mao, Discorso a una Conferenza di lavoro allargata convocata dal Comitato centrale del Partito comunista cinese, 30 gennaio 1962

12 settembre 2007