L'ex presidente Mussari accusato, insieme a una decina di ex dirigenti, di truffa, aggiotaggio e turbativa PD dentro fino al collo nello scandalo dei derivati del Montepaschi Il governo e Bankitalia hanno chiuso gli occhi. L'ex presidente di MPS ha donato a DS e PD 673 mila euro. Sospetto di mazzette per 2 miliardi dell'acquisto di Antonveneta Le banche vanno nazionalizzate Lo scandalo del Monte dei Paschi di Siena, che ha portato la "banca più antica del mondo" sull'orlo del disastro, sta assumendo dimensioni sempre più enormi, man mano che viene alla luce il groviglio di elementi finanziari, politici e penali che lo ha generato. Un groviglio per nulla "armonioso", come lo aveva definito il "venerabile" massone Stefano Bisi, capo del Corriere di Siena, ma fatto invece di operazioni finanziarie tanto faraoniche quanto temerarie, coperte malamente con altre operazioni fraudolente e rovinose, di sospette mega tangenti, di malagestione da parte di una dirigenza incapace e corrotta, preoccupata solo di salvare poltrone, bonus milionari e privilegi vari, e coperta a sua volta da cricche politiche, economiche e massoniche, locali e nazionali, che ne ricevevano in cambio lauti finanziamenti a pioggia. Tutte cose che hanno dissipato in meno di un decennio il patrimonio dell'istituto di Rocca Salimbeni, che ora si trova nel pieno di una bufera finanziaria, giudiziaria e politica della quale si fatica a distinguere i contorni. Anche se si trascinava ed era noto da anni, fin dall'acquisto della banca Antonveneta nel 2008 da cui tutto è partito, lo scandalo del MPS è esploso in tutta la sua forza il 22 gennaio, con le dimissioni dalla presidenza dell'Associazione bancaria italiana (ABI) dell'ex presidente della banca senese, dal 2006 al 2012, Giuseppe Mussari, colpito da un'indagine della procura di Siena per "ostacolo all'attività della vigilanza" (pena da 1 a 4 anni di reclusione, condanne raddoppiate se si tratta di società quotate) e sospetto aggiotaggio; e dopo pochi giorni, insieme ad una decina di altri ex dirigenti della banca, anche dall'ancor più grave ipotesi di reato di "truffa nei confronti degli azionisti". I pubblici ministeri senesi titolari dell'inchiesta, Antonio Nastasi, Giuseppe Grosso e Aldo Natalini, vogliono infatti appurare se nell'affare Antonveneta, comprata a prezzo esorbitante da MPS dalla banca spagnola Santander, furono pagate e a chi delle tangenti, e vogliono chiarire inoltre le responsabilità di chi nei mesi e negli anni successivi, ai vertici di MPS, mise in atto operazioni finanziarie con prodotti derivati ad alto rischio per coprire il dissesto patrimoniale che ne derivò, nascondendole al consiglio di amministrazione, ai soci e alle autorità di vigilanza (Banca d'Italia, Tesoro e Consob), e che hanno finito per portare l'istituto senese sull'orlo della bancarotta. All'esplosione dello scandalo il titolo MPS è crollato in Borsa per diversi giorni (-20% nelle prime tre sedute) e ha iniziato a recuperare un po' di terreno solo dopo la notizia del nulla osta di Bankitalia alla concessione dei Monti-bond per 3,9 miliardi di euro (al tasso oneroso del 9% e comprensivi di 1,9 miliardi per il pagamento dei Tremonti-bond già ricevuti dal precedente governo e giunti ormai a scadenza), giudicati sufficienti "al momento" per tamponare la precaria situazione patrimoniale della banca e scongiurare il fallimento. La vicenda Antonveneta Da tempo i pm senesi indagavano sulla vicenda MPS-Antonveneta, tanto che a maggio dell'anno scorso avevano ordinato un clamoroso blitz nella sede centrale dell'istituto di Rocca Salimbeni, che si era concluso con l'iscrizione nel registro degli indagati per "ostacolo all'autorità di vigilanza" di quattro persone: l'ex direttore generale Antonio Vigni e tre componenti del collegio sindacale. La vicenda Antonveneta inizia nel 2007, in piena stagione di fusioni bancarie. MPS ha molta liquidità ma è troppo piccola per competere con i colossi bancari appena costituiti come Unicredit e Intesa Sanpaolo. Con l'acquisizione di Antonveneta, da cui conta di ricavare 700 milioni l'anno di utile e quindi di rientrare velocemente dall'investimento, sarebbe diventata la terza banca nazionale. L'Antoneveneta era stata nel 2005 al centro del fallito tentativo fraudolento di scalata dei "furbetti del quartierino" aiutati dall'allora governatore di Bankitalia, Fazio, ed era stata poi acquisita dalla olandese Abn Amro, comprata a sua volta per 6,3 miliardi di euro dalla spagnola Banco Santander, controllata dall'Opus Dei. Gli spagnoli la rivendono a MPS dopo solo due mesi a oltre 10 miliardi, e MPS si accolla anche i debiti della banca padovana, per un totale che sfiora i 17 miliardi. Una cifra enorme, che MPS non ha, anche dando fondo a tutta la sua liquidità. Per questo ricorre ad operazioni finanziarie ad alto rischio, truccando i conti per nascondere i rischi e rinviare nel tempo i loro effetti, tra cui un prestito da 1 miliardo a condizioni capestro dalla americana JP Morgan, mascherato però da aumento di capitale per ottenere l'autorizzazione della vigilanza. La Banca d'Italia dell'allora governatore Draghi aveva chiesto chiarimenti in proposito, ma poi si era accontentata delle rassicurazioni formali della dirigenza e del loro finto aumento di capitale: evidentemente l'acquisto di Antonveneta, ancorché palesemente spericolato, faceva comodo a tutti, e tutti chiudevano un occhio perché era un'operazione "di sistema". In particolare i pm senesi, insieme al nucleo di polizia valutaria di Roma, indagano sull'ipotesi che nell'operazione Antonveneta ci sia stata una tangente di 2 miliardi, ricavata appunto dall'ingente sovrapprezzo pagato da MPS per l'Antonveneta, soldi che sarebbero finiti prima in una banca londinese nella disponibilità del Santander, ma che poi, secondo indagini delle fiamme gialle, sarebbero rientrati in parte in Italia (1,2 miliardi), via Svizzera attraverso lo scudo fiscale di Tremonti, per finire presumibilmente nelle tasche di Mussari e di altri amministratori di allora, degli intermediari dell'operazione e dei loro esponenti politici di riferimento: uno scandalo talmente grosso che i pm avrebbero deciso di farlo scoppiare solo dopo le elezioni. L'operazione "Alexandria" I pm senesi hanno acquisito inoltre, in attesa di decidere su altre ipotesi di reato, tutta la documentazione riguardante i fondi derivati che sono stati sottoscritti dalla vecchia dirigenza MPS per coprire la voragine patrimoniale creata dall'affare Antonveneta. Per truccare i conti disastrosi dell'acquisto della banca padovana, Mussari, Vigni e il responsabile finanza Gianluca Baldassarri, ricorrono a speculazioni su prodotti derivati ad alto rischio, come quelli denominati "Santorini" (con Deutsche Bank Londra), "Alexandria" (con la giapponese Nomura) e "Nota Italia" (con JP Morgan): l'obiettivo è quello di far risultare a bilancio delle entrate immediate spalmando il debito negli anni avvenire, in modo che nessuno si accorga del trucco contabile. Dei fraudolenti maneggi di Mussari e soci, invece, tutti sapevano, come dimostrano per esempio i circostanziati esposti, acquisiti all'inchiesta e che hanno fatto scattare il reato di truffa, che un dirigente della banca e membro dell'Associazione azionisti per il buon governo Montepaschi, aveva inviato nel 2008 e nel 2011 alla Banca d'Italia, diretta allora da Draghi, e alla Consob. Numerose erano state anche le ispezioni di Bankitalia a Rocca Salimbeni, conclusesi tutte però con un nulla di fatto. Pur avendo chiuso gli occhi Bankitalia si autoassolve proclamando di essere stata ingannata dai falsi conti presentati dalla dirigenza. E si è andati avanti così finché non si è più potuto ignorare la gravità della situazione, prima con la nomina ad amministratore delegato di Fabrizio Viola al posto di Vigni, e poi con l'arrivo ad aprile 2012 di Alessandro Profumo, chiamato alla presidenza al posto di Mussari per "risanare" l'istituto. Mussari fu punito? Nient'affatto, fu ricompensato col rinnovo della presidenza dell'ABI, a cui era stato eletto (per acclamazione) già nel 2010, con la sponsorizzazione dello stesso Profumo (ex Unicredit, vicino al PD), del banchiere di Intesa Sanpaolo, Passera, e con il placet dell'allora ministro Tremonti. Il bubbone viene a galla in tutta la sua virulenza quando Viola e Profumo "scoprono" in una cassaforte custodita da Vigni un contratto-capestro segreto risalente al settembre 2009, accettato senza battere ciglio da Mussari e firmato da Vigni e Baldassarri, tra MPS e la banca giapponese d'affari Nomura, già legata a Lehman Brothers, in cui in cambio dell'acquisto del fondo "Alexandria" da parte dei giapponesi, MPS si impegnava a comprare da Nomura titoli ad altissimo rischio finanziario che la impegnavano per trent'anni. L'operazione sarebbe stata attuata dai dirigenti di allora all'insaputa del consiglio di amministrazione del Monte e dell'istituto di revisione contabile Kpmg, ma a Nomura era stato detto il contrario, come risulta dalla registrazione della conferenza telefonica, presente Mussari, in cui fu perfezionato l'accordo esibita dai giapponesi alla richiesta di spiegazioni di Profumo e Viola. Grazie all'operazione vendita di "Alexandria" ai giapponesi, con cui Mussari e soci fanno sparire dai conti le perdite dell'ingombrante fondo spazzatura, il bilancio 2009 può essere chiuso con un attivo di 220 milioni, che la banca può distribuire nel 2010 ai suoi dirigenti e a quelli della Fondazione. Quanto all'acquisto in cambio dei tre onerosissimi prodotti strutturati Nomura, i loro costi disastrosi si faranno sentire solo negli anni successivi. E infatti la loro scoperta impone oggi a Profumo e Viola, oltre alla ricapitalizzazione per 4,5 miliardi già votata dall'assemblea dei soci, una immediata correzione di bilancio in negativo a valere sul bilancio 2009 di 220 milioni, ma che potrebbe risultare in realtà di oltre 700 milioni. Profumo e Viola sono stati costretti perciò ad aumentare di 500 milioni, da 3,4 a 3,9 miliardi, l'importo dei Monti-bond chiesti al ministero dell'Economia per coprire la voragine nei conti patrimoniali dell'azienda. Il "sistema Siena" Del "sistema Siena" con al centro MPS beneficiavano tutti: non solo i partiti, a cominciare naturalmente dal PD, che ha sempre avuto una posizione predominante nella Fondazione che controlla la banca, ma anche le istituzioni cittadine, il Comune, la Provincia, la Curia, l'Opus Dei, la massoneria, la borghesia industriale, l'Università e le contrade per finanziare il Palio. Il solo Mussari aveva elargito personalmente 673 mila euro in 10 anni di attività al PDS-DS-PD. I referenti toscani del PD in questo sistema sono Franco Bassanini (Presidente Cassa depositi e prestiti, suo figlio è nel Cda di Antonveneta), Luigi Berlinguer (è stato rettore dell'Università) e Rosy Bindi, originaria di Sinalunga, amica della moglie di Profumo, che fanno a gara ad accusarsi reciprocamente di aver pilotato la Fondazione MPS. Mussari, di origine calabrese, ex FGCI, avvocato delle contrade, ha fatto la sua carriera a Siena sotto l'egida di D'Alema, ed è stato portato alla presidenza della Fondazione nel 2001 da Luigi Berlinguer e Franco Bassanini, e spinto da Roma da D'Alema e Amato, ma vanta anche l'amicizia di Tremonti e Geronzi. Nel 2007 sembra che Mussari si spostasse su Veltroni e Prodi, tanto che i due non si opposero all'acquisto di Antonveneta, come avvenne invece per la scalata di Unipol a BNL. Ma MPS non ha finanziato solo il PD: ha finanziato anche il bancarottiere, ex craxiano ora di area berlusconiana, Salvatore Ligresti (salvataggio della Imco), azionista della banca fino alla fine del 2004. Francesco Gaetano Caltagirone, suocero di Casini (UDC) è stato vicepresidente del Monte fino alla fine del 2011, sotto il cui ombrello ha fatto lucrosi affari immobiliari a Siena. Dennis Verdini, con il suo Credito fiorentino, poi è di casa a Rocca Salimbeni, dove il suo referente diretto è Andrea Pisaneschi, sistemato alla presidenza dell'Antonveneta (prestito di 60 milioni di MPS al gruppo Fusi). Alfredo Monaci, ex PDL, ex Margherita, ora transfuga nelle liste di Monti, è stato nel Cda della banca con Mussari dal 2009 e fino al 2012. Poi c'è la P4 di Bisignani, rappresentata da Alessandro Daffina (Banca Rotschild), che fu advisor per un prestito per coprire l'acquisto di Antonveneta. È spuntato anche il nome dell'ex presidente dello Ior vaticano, Gotti Tedeschi, che ha partecipato all'affare Antonveneta come plenipotenziario in Italia per il Banco Santander. Mussari era già, tra l'altro, sotto processo assieme ad altre dieci persone per turbativa d'asta per la speculazione sulla costruzione dell'aeroporto internazionale di Ampugnano alle porte di Siena, presidente il tesoriere del Grande Oriente d'Italia Enzo Viani, nominato dal sindaco PD Ceccuzzi. Coinvolti nell'affare tutti i partiti, compreso il senatore PDL Franco Mugnai, molto amico dell'allora ministro dei Trasporti Altero Matteoli, il gruppo La Nazione, ecc. ll bel risultato di questo sistema è che ora MPS denuncia esuberi nel personale per oltre 4 mila lavoratori e perdite in bilancio per 6,2 miliardi, più della metà del suo patrimonio netto. In sei anni, tra il 2006 e il 2011, MPS ha distrutto valore azionario dei risparmiatori per 15 miliardi. Il titolo MPS, che nel 2007, prima dell'acquisizione di Antonveneta, valeva 4,64 euro, oscilla attualmente intorno a 0,25 euro. Le reazioni del PD e degli altri partiti Quelle del PD sono state imbarazzate e balbettanti, come di chi è preso in castagna nel bel mezzo della campagna elettorale. "Nessuna responsabilità del PD, per l'amor di Dio... il PD fa il PD e le banche fanno le banche", ha farfugliato Bersani. Poi ha minaccia di "sbranare" PDL e Lega rinfacciando loro le vicende Credieuronord e Credito cooperativo fiorentino, e se la cava proponendo di "affidare poteri commissariali" a Profumo e Viola. Invece non solo Grillo accusa il PD di non essere più un partito politico ma una banca, non solo anche Ingroia dice di sentire "profumo di tangenti", ma anche Monti ne approfitta elettoralmente dichiarando che "il PD c'entra in questa vicenda perché ha avuto sempre grande influenza sulla banca". Per non parlare della Lega e del PDL, che ormai fanno la loro campagna elettorale praticamente su questo solo argomento. Non però Berlusconi, che qualche scheletro nell'armadio MPS ce l'ha anche lui, visto che sotto la presidenza del massone Cresti (suo "fratello" nella loggia P2), la banca senese gli prestò i soldi per iniziare la sua fulminante carriera di "imprenditore di successo". E così il neoduce ha cercato di tenere un profilo basso sulla vicenda, tanto che ha dichiarato: "Io ho un legame particolare con Monte dei Paschi. È un'istituzione a cui voglio bene: grazie a loro ho potuto costruire Milano 2 e Milano 3". E ha lasciato ad Alfano e al Giornale di famiglia il compito di maramaldeggiare sui legami PD-MPS per sfruttare elettoralmente lo scandalo. Però non ha resistito alla tentazione di aggiungere: "Se la sinistra non è in grado di gestire una banca, figuriamoci il Paese". Dopo essere già stato beccato con le mani nella marmellata nel 2005 con la disastrosa operazione Unipol-BNL, il PD ci ricasca in pieno pagando caro lo scotto del fallimento della "finanza di sinistra" che aveva tentato di costruire intorno a MPS affidandosi ad avventurieri come Mussari e la sua banda di finanzieri d'assalto di provincia. Ora c'è chi piange e fa autocritica, come il governatore PD della Toscana, Rossi, che ha ammesso: "La grande sirena della finanza internazionale ha incantato anche noi della sinistra... questo è stato l'errore. Innamorarsi della completa liberalizzazione senza percepirne il pericolo, pensare che le banche potessero staccarsi dall'economia reale e lanciarsi in speculazioni finanziarie". E c'è chi invece, molto più cinicamente, come il rinnegato D'Alema, aspetta che passi la nottata consolandosi così: "Non credo che questa storia ci nuocerà dal punto di vista elettorale: ormai l'opinione pubblica è mitridatizzata, è abituata a scandali che nascono e muoiono". Tutti insieme costoro si affidano a Profumo come a un salvatore, ma il banchiere già licenziato da Unicredit e inseguito da un rinvio a giudizio per frode fiscale per l'evasione fiscale di centinaia di milioni di euro con l'operazione Brontos, fosse stato per lui, avrebbe voluto agire con i guanti di velluto, senza scoperchiare il verminaio. Ma è stato costretto dall'incalzare delle inchieste della magistratura, che prima o poi ci sarebbe arrivata lo stesso, a prendere l'iniziativa inviando il dossier "Alexandria" a Bankitalia e alla procura, per non essere travolto insieme alla vecchia dirigenza. Questa vicenda conferma che niente di sostanziale distingue la "sinistra" dal centro e dalla destra borghesi: una volta arrivata al governo di una banca o di qualsiasi amministrazione locale o centrale è obbligata a servire il capitalismo e a sottostare alle sue leggi che lo rendono, come spiega Lenin, nell'attuale fase imperialista parassitario, putrescente e agonizzante. La situazione delle banche italiane Se Bankitalia si tira fuori dalle responsabilità con una lettera in cui sostiene di aver appreso "la vera natura" delle operazioni di MPS solo "a seguito del rinvenimento di documenti tenuti celati all'autorità di vigilanza e portati alla luce dalla nuova dirigenza", e il governatore Ignazio Visco se la cava dichiarando che: "facciamo vigilanza, non lotta al crimine", da parte sua il ministro del Tesoro Grilli ribatte che i controlli non spettavano al suo ministero ma alla Banca d'Italia. E assicura che non ci sono altre banche nelle condizioni di MPS. È in atto insomma un vergognoso scaricabarile tra Bankitalia (della gestione Visco e della precedente Draghi), Tesoro (sia con l'attuale gestione Grilli che con quella precedente Tremonti) e Consob (diretta da Vegas, nominato da Berlusconi), per negare le indubbie responsabilità che tutte e tre queste istituzioni hanno nell'aver chiuso tutti e due gli occhi su quel che andava bollendo nella pentola maleodorante di Rocca Salimbeni. Grave anche l'intervento ipocrita di Napolitano, accorso a difenderle dichiarando: "se la questione è grave bisogna occuparsene, ma ho piena fiducia nell'operato di Bankitalia" Nulla invece autorizza a pensare che quello del MPS sia un caso isolato, una mela marcia in un cesto per la gran parte sano. Le prime dieci banche italiane hanno in pancia 218 miliardi di derivati, pari al Pil di tutta la Grecia. E continuano a crescere. Nel 2009 erano 158 miliardi. La sola Unicredit, la prima banca italiana, ne ha in cassa 118. La seconda, Intesa Sanpaolo, ne ha 59 e la terza, il Monte dei Paschi, ne ha 18,3, il doppio rispetto a tre anni fa. I derivati di Unicredit e Intesa Sanpaolo da soli equivalgono al 10% del nostro Pil. Basti pensare che nel 2010 il MPS aveva superato lo "stress test" del comitato europeo di supervisione sulle banche (CEBS), che certificava la sua solidità patrimoniale. Quanto tempo passerà prima che un altro caso Montepaschi venga alla luce in qualche altra parte del marcio sistema bancario capitalistico? "Tenere la politica fuori dalle banche", come ora invocano i partiti della destra e della "sinistra" borghese, che invece ci stanno dentro fino al collo, è solo un proponimento elettorale ipocrita e fuorviante, e in ogni caso non sarebbe sufficiente. Fermo restando che solo con l'abbattimento del sistema capitalista e il socialismo sarà possibile risolvere alla radice il problema, l'unica soluzione immediata per salvaguardare i soldi dei risparmiatori e far sì che vadano ad aiutare le famiglie e l'economia reale anziché ingrassare gli speculatori e i corrotti politicanti borghesi, è la nazionalizzazione delle banche, cominciando dal MPS e a seguire tutte quelle più importanti del Paese. Occorre fermare immediatamente e invertire il processo di privatizzazione delle banche iniziato da Amato e proseguito in tutti questi anni tanto dalla destra che dalla "sinistra" borghesi che ci hanno lucrato sopra. Intanto puniamole entrambe sommergendole sotto una valanga di astensionismo rosso. 30 gennaio 2013 |