Gli Usa aizzano i secessionisti fascisti dell'oriente per rovesciare il governo della Bolivia Morales e Chavez, per solidarietà, cacciano gli ambasciatori Usa dai rispettivi paesi Il vertice dell'America Latina sostiene la Bolivia contro i golpisti La spinta secessionsita dei dipartimenti orientali boliviani di Santa Cruz, Tarija, Beni, Chuquisaca e Pando si è trasformata in un attacco, aizzato dall'imperialismo americano per rovesciare il governo del presidente Evo Morales. Bande di paramilitari hanno occupato sedi ministeriali e infrastrutture statali, gasdotti e raffinerie e bloccato le frontiere con Brasile e Argentina. I movimenti contadini vicini al Movimento al socialismo, il partito di Morales, rispondevano con blocchi stradali che isolavano i capoluoghi controllati dai "fascisti dell'Oriente". Negli scontri si contavano decine di morti fra i sostenitori del presidente, in particolare nella provincia di Pando dove il governo ha proclamato lo stato d'assedio e arrestato il prefetto. Lo scorso 10 agosto una larga maggioranza di boliviani aveva confermato il sostegno al presidente Morales e in particolare alla sua politica volta a destinare una parte dei proventi della vendita di gas a programmi sociali. Uno smacco per la borghesia delle ricche province orientali che vorrebbe ampia autonomia economica e politica, che vedeva in pericolo l'auspicato federalismo fiscale, intensificava i rapporti con l'ambasciatore americano a La Paz e organizzava la protesta attraverso i Comitati civici e le bande paramilitari che entravano in azione ai primi di settembre. Il governo denunciava tra l'altro un attentato contro un gasdotto che causava la diminuzione del 10% dell'invio di gas in Brasile e per il quale accusava gruppi "paramilitari, fascisti e terroristi", strumenti di "un golpe civico" organizzato dall'opposizione e appoggiato dagli Usa. Il presidente Morales a fronte del massacro nella provincia di Pando decideva l'11 settembre di dichiarare l'ambasciatore americano Philip Goldberg "persona non gradita" con l'accusa di fomentare la secessione nel Paese e di promuovere, insieme all'opposizione, le proteste contro il suo governo. Il 12 settembre anche il presidente del Venezuela Ugo Chavez cacciava il rappresentante diplomatico di Washington a Caracas: "l'ho fatto per solidarietà con la Bolivia, Patrick Duddy se ne deve andare entro 72 ore". Chavez accusava Bush di non rispettare "la sovranità dei popoli e dei governi latino-americani" e affermava che gli Usa avevano organizzato un complotto per rovesciare lui e Morales. La televisione venezuelana trasmetteva la registrazione di intercettazioni di ufficiali che preparavano un golpe dopo quello fallito del 2002. Chavez rilanciava la sfida all'amministrazione americana annunciando manovre militari nelle acque caraibiche di fronte alle coste venezuelane con la marina russa il prossimo 10 novembre. Col rischio di cadere dalla padella di Bush alla brace di Putin e Medvedev. Una forte solidarietà alla Bolivia era espressa dai paesi dell'America Latina. Il vertice dell'Unione delle nazioni sudamericane (Unasur), riunitosi d'urgenza il 15 settembre a Santiago del Cile per esaminare la crisi in Bolivia, approvava la "Dichiarazione della Moneda" con la quale esprimeva l'appoggio al presidente Evo Morales contro i golpisti delle province occidentali. Il documento dei nove capi di Stato sudamericani condannava qualsiasi tentativo di golpe civile, qualsiasi iniziativa che possa compromettere "l'integrità territoriale" boliviana e garantiva "il pieno e deciso appoggio al governo costituzionale del presidente Evo Morales, il cui mandato è stato ratificato da una ampia maggioranza nel referendum" svoltosi lo scorso 10 agosto. Il pieno "sostegno al governo boliviano" e la riaffermazione del "principio dell'integrità territoriale degli stati" era espresso il 16 settembre anche dal Gruppo di Rio, l'organizzazione che comprende 22 paesi di America latina e Caraibi e attualmente presieduto dal Messico. 17 settembre 2008 |