Imposto da Napolitano che ha riaperto le porte al neoduce Berlusconi, come Vittorio Emanuele III le aprì a Mussolini Abbraccio governativo tra PD e PDL al servizio del capitalismo, contro il cambiamento e i lavoratori Solo il socialismo può cambiare l'Italia e dare il potere al proletariato Dopo due mesi dalle elezioni la classe dominante borghese in camicia nera è riuscita a formare un governo, superando lo stallo creato dai risultati elettorali e soffocando la domanda di cambiamento che essi comunque esprimevano. E lo ha fatto attraverso la soluzione che ha voluto fin dall'inizio, che volevano i mercati finanziari, la massoneria internazionale dei capitalisti e dei suoi adepti - di cui Enrico Letta è un esponente come il suo predecessore Monti - l'Unione europea imperialista, la Confindustria, il Vaticano, il nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano, e il nuovo Mussolini, Berlusconi: l'abbraccio governativo tra il principale partito della "sinistra" borghese e il nuovo partito fascista del neoduce di Arcore, nel tentativo di salvare il capitalismo italiano dalla bancarotta scaricando la crisi sui lavoratori e le masse popolari, e rafforzare il regime neofascista approvando insieme la controriforma presidenzialista della Costituzione. Un governo di cui Berlusconi ha in mano le chiavi e può far cadere quando vuole, presieduto da un ex democristiano mai stato ostile, anzi imparentato con il suo consigliere Gianni Letta, in ogni caso saldamente presidiato alla vicepresidenza dal suo primo gerarca, Alfano. E con i ministeri più importanti e di peso da lui direttamente controllati, a cominciare da quello dell'Interno affidato allo stesso Alfano: un ministero chiave per controllare partiti avversari e magistrati troppo zelanti e per reprimere il dissenso e le lotte sociali. E magari, visto che controlla anche i servizi segreti, per imbastire provocazioni per accusare di "fomentare la violenza" chi si oppone al governo dell'inciucio. Non per nulla, lui che solo pochi mesi fa veniva dato per finito dalla rimbambita e complice "sinistra" borghese, che ora lo riabilita e lo riporta al governo, ostenta arie da "statista" e parla e si comporta come fosse lui il vero capo dell'esecutivo, che considera non senza ragione una sua diretta creatura. E già si propone come futuro presidente della Convenzione che dovrà stendere la controriforma della giustizia e quella presidenzialista della Costituzione: una nuova Bicamerale golpista, già propostagli da Bersani, e che ora fa parte integrante degli accordi stretti con Letta. Ruolo decisivo del presidenzialista Napolitano A riaprirgli le porte del governo, prima imponendo lo stop ai suoi processi e poi spingendo il PD nelle sue braccia, è stato il rinnegato Napolitano, così come il Re Vittorio Emanuele III aprì le porte alla dittatura fascista di Mussolini. Per tutta la durata della crisi, e fino al giuramento del governo, infatti, il rinnegato del comunismo inquilino del Quirinale ha avuto in mente un'unica soluzione: il governo delle "larghe intese" tra PD, PDL e Scelta civica, isolando le "ali estreme" di SEL e del Movimento 5 Stelle, come aveva già auspicato Monti. Un obiettivo che ha fatto suo e perseguito con ostinazione e piglio presidenzialista, arrogandosi poteri di arbitraggio e di indirizzo che la Costituzione non gli consentiva, ma che egli ha usato come se si fosse già in una repubblica presidenziale. È solo una curiosa coincidenza che lo stesso giorno del suo discorso di insediamento siano stati distrutti i file con le intercettazioni secretate delle sue telefonate con Mancino? Tanto aveva voluto questo governo che Napolitano non aveva offerto nessuna sponda al tentativo di Bersani di cercare un accordo di governo coi grillini, facendo invece asse con la maggioranza inciucista del PD (dalemiani, ex DC, veltroniani, renziani) per costringere Bersani a invertire la rotta e spingerlo all'accordo col neoduce. Cosa che alla fine si è realizzata immediatamente dopo la sua rielezione a capo dello Stato, che è costata al PD una drammatica spaccatura e frantumazione, il siluramento di due candidati di peso come Marini e Prodi, la caduta della segreteria Bersani e la rivolta della base del partito insorta contro il ribaltamento della linea e l'inciucio con il PDL. Nel suo discorso di insediamento davanti al parlamento, sottolineato in ogni suo passaggio dagli applausi ostentatamente plateali di Berlusconi, che come un boss mafioso si atteggiava a vero vincitore di tutta l'operazione Quirinale, Napolitano non aveva esitato ad usare il ricatto delle sue dimissioni e delle urne anticipate per ricompattare il gregge sbandato del PD e spingerlo in bocca al lupo di Arcore, sedando ogni residuo dissenso o resistenza: "Se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al paese. Non si può più, in nessun campo, sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana", era stata la sua fosca minaccia. Rivolta a chi? Non certo al neoduce, il quale fin dall'inizio aveva recitato la parte del "responsabile" di fronte all'emergenza del paese proponendo le "larghe intese" col PD, oppure il ritorno immediato alle urne. Non per nulla avrebbe poi dichiarato raggiante e con studiata enfasi di aver sentito "un discorso straordinario, il migliore che ho sentito in parlamento in vent'anni di politica". Mentre con la coda tra le gambe Bersani si limitava a commentare che "Napolitano ha detto quello che doveva dire". È logico perciò dedurre che l'oggetto della rampogna di Napolitano era solo il PD, che difatti il giorno dopo correva a portargli al Quirinale la resa totale e incondizionata della Direzione nazionale, aprendo al strada al governo Letta-Berlusconi. Al servizio del capitalismo e del presidenzialismo Al di là dello specchietto per allodole dei "volti nuovi", del "ringiovanimento" della compagine e della "forte presenza femminile", il governo Letta-Berlusconi, per natura politica, composizione e programma, è un governo neofascista, antioperaio e antipopolare al servizio del capitalismo, nato in perfetta continuità con i precedenti governi Monti e Berlusconi, per affossare le speranze democratico borghesi di cambiamento espresse dal voto e sancire ufficialmente il regime neofascista e presidenzialista. Della sua natura politica, ossia la genesi che ha prodotto questo nuovo mostro nato dal vergognoso connubio tra la "sinistra" borghese rinnegata, liberale e democristiana, e il nuovo partito fascista del neoduce di Arcore, abbiamo già detto sopra. Per quanto riguarda la composizione è un riflesso perfetto di questo connubio: a cominciare dallo stesso Enrico Letta, nipote dell'eminenza grigia di Berlusconi, Gianni Letta; membro come Monti di tutte le tre logge massoniche internazionali, Bilderberg, Trilateral e Aspen, il che spiega anche il famoso biglietto con cui si metteva "a disposizione" che passò a Monti quando presentò il suo governo in parlamento; animatore da anni del think-tank trasversale e inciucista "VeDrò" tra i cui dirigenti c'è anche la neoministra berlusconiana alle Politiche agricole, Nunzia De Girolamo, moglie del suo braccio destro Francesco Boccia, quello che ha minacciato di espulsione dal PD i parlamentari che non votassero al fiducia al governo. Il marchio di fabbrica del neoduce Ma al di là delle biografie dei rispettivi titolari, che del resto cominciamo a pubblicare a parte, basterà dire che tra i ministeri più importanti, quelli con i portafogli più ricchi, o anche senza ma politicamente più di peso, gli uomini e le donne del neoduce fanno la parte del leone: Interni (Alfano, che ha anche la vicepresidenza del Consiglio), Infrastrutture (il ciellino Lupi), Salute (Lorenzin), Politiche agricole (De Girolamo), Riforme (l'ex "saggio" nominato da Napolitano, Quagliariello). A cui vanno aggiunti i montiani, ormai diventati loro satelliti, a cui sono stati dati la Giustizia (alla bastonatrice di operai Cancellieri, e, c'è da giurarci, futura bastonatrice di magistrati per conto di Berlusconi, incredibilmente lodata anche da Roberto Saviano), la Difesa (col ciellino ex PDL e altro ex "saggio" di Napolitano, Mario Mauro), gli Affari europei (Moavero) e la Semplificazione (all'UDC D'Alia, noto per essere stato estensore del ddl-bavaglio per Internet). Poi ci sono i cosiddetti "tecnici", come l'ex direttore di Bankitalia Saccomanni (Economia), lanciato a suo tempo da Berlusconi per la successione a Draghi, che garantisce la continuità della politica di "rigore" della UE e di Monti; il lettiano ex presidente Istat Giovannini (Lavoro) e la lettiana Carrozza all'Istruzione. Anche la liberista e filoimperialista Bonino agli Esteri non può certo essere ascritta alla "sinistra", sia pure di regime. A quest'ultima, come benservito per aver donato il sangue, restano solo le briciole. Il PD infatti si spartisce col manuale Cencelli solo ministeri senza portafoglio e di secondo piano: ai dalemiani vanno i Beni culturali (Bray) e la Coesione territoriale (Trigilia); ai bersaniani lo Sviluppo economico (Zanonato), lo Sport (Idem) e l'Integrazione (Kyenge); al renziano e federalista Delrio va il ministero degli Affari regionali, all'ex DC Franceschini i Rapporti col parlamento, e al "giovane turco" Orlando va il ministero dell'Ambiente. Per ironia della storia tra tutti i 21 ministri la stragrande maggioranza sono di provenienza DC, in tutte le sue varie sfumature, dalla "sinistra" fino a CL. Di provenienza dal PCI revisionista c'è solo l'ex neopodestà federalista di Padova, Zanonato. Alla fine della loro interminabile "espiazione" i traditori e i rinnegati del comunismo si ritrovano con un pugno di mosche in mano, mentre i democristiani sono sempre sulla breccia! Governo politico per cambiare la Costituzione Quanto al programma, così come Letta lo ha esposto in parlamento, e su cui torneremo più specificamente in un prossimo articolo, a un primo sguardo balzano in evidenza due cose: la prima è che sembra calato di peso da quello elettorale di Berlusconi, pieno di promesse mirabolanti di riduzioni fiscali, interventi per l'occupazione, i giovani, le famiglie in difficoltà, ecc., senza indicare peraltro dove verranno reperite le risorse necessarie. Si presume come al solito da altri tagli alla spesa, come sanità, pensioni, scuola, servizi sociali, Regioni e Comuni, dato che non si fa cenno di tagli alle spese militari, alle grandi opere inutili e devastanti come Tav e ponte sullo Stretto, e men che meno a uno straccio di patrimoniale. Di certo c'è solo la sospensione della rata Imu di giugno, in attesa di una sua "rimodulazione", affinché il neoduce possa cantar vittoria e mostrare ai suoi elettori che mantiene le promesse. La seconda è che questo è tutt'altro che un governo "di scopo", creato per fare solo due o tre cose essenziali, come la legge elettorale e i provvedimenti più urgenti per l'economia e l'occupazione, e poi tornare il più rapidamente possibile alle urne, come era stato spacciato dal PD per giustificare l'inciucio: questo è un governo politico, come del resto hanno sottolineato gli stessi Napolitano, Berlusconi e Letta, nato per durare nel tempo, almeno nelle intenzioni, e per ridisegnare radicalmente in senso presidenzialista l'"architettura costituzionale", tanto che il premier ha assegnato alla Convenzione che dovrà occuparsene (e che Berlusconi vuole presiedere) un orizzonte temporale di 18 mesi. Non a caso Alfano ha salutato il discorso di Letta come "musica per le nostre orecchie". E non ci sarebbe neanche bisogno di aggiungere che non si parlerà più di conflitto di interessi, né di leggi contro la corruzione, né tanto meno di ineleggibilità di chi detiene concessioni statali, come il padrone di Mediaset, per esempio. Anzi, questo governo nasce per arrivare alla "pacificazione nazionale", o più specificamente alla "pacificazione giudiziaria" (per l'imputato Berlusconi, s'intende), come ha svelato e chiesto sfacciatamente il capogruppo dei deputati PDL, Brunetta. Non dare tregua al governo Letta-Berlusconi A questo governo non va dato perciò il minimo credito né la minima tregua. E neanche un'opposizione "responsabile e costruttiva", come hanno annunciato sia Vendola che il M5S, perché ciò rappresenta solo una sua opportunistica copertura parlamentare, che servirà solo a concedergli tregua e tempo per attuare i suoi obiettivi antioperai, neofascisti e presidenzialisti. L'opposizione al governo Letta-Berlusconi non può che essere un'opposizione di classe, di massa fuori dal Palazzo, nelle fabbriche, nelle scuole, nelle università e nelle piazze. Un'opposizione dura, totale e di lotta, per farlo cadere il più presto possibile e riaprire la strada al vero cambiamento che vuol dire abbattere il capitalismo, rovesciare dal potere la classe dominante borghese e conquistare una nuova società governata finalmente dal proletariato, il socialismo. Altrimenti, come anche questa vicenda dimostra in maniera lampante, il capitalismo riuscirà sempre a rimpiazzare ogni suo governo caduto con un altro al suo servizio, e non sarà possibile cambiare veramente l'Italia e dare il potere al proletariato. 2 maggio 2013 |