L'accordo Confindustria-Crui sottomette l'università alle imprese Battiamoci per l'università pubblica, gratuita e governata dalle studentesse e dagli studenti Sottomissione totale dell'università classista, aziendalista e "meritocratica" di stampo mussoliniano alle necessità economiche della borghesia: questa è la sintesi più efficace dello scellerato accordo siglato il 7 novembre fra Confindustria e CRUI (Conferenza dei Rettori dell'Università Italiane), presieduta da Marco Mancini (vicino al PD), dal titolo: "Otto azioni misurabili per l'università, la ricerca e l'innovazione". Un accordo che va incontro solo e soltanto a quello che chiedono (o meglio: impongono) il Fondo monetario internazionale, strumento dell'oligarchia finanziaria che sta gettando sul lastrico le masse lavoratrici e popolari, e la Commissione europea, come quest'ultima ha chiarito nella lettera a Tremonti del 4 novembre, nella quale invita sostanzialmente il governo italiano a riorganizzare i programmi di studio e la competizione fra università. Un accordo che gode anche dell'appoggio di un PD sempre più genuflesso all'Europa capitalista e imperialista: è bene ricordare che a maggio erano stati proprio alcuni senatori piddini a presentare un'interrogazione chiedendo che l'Italia prendesse esempio dalla politica universitaria classista di lacrime e sangue del governo Cameron in Gran Bretagna, interrogazione sostenuta dallo stesso Mancini. L'Unità dell'8 novembre, non a caso, esalta senza vergogna il protocollo. Vediamo nel merito che cosa prevede l'accordo, orientato, come dice la premessa stessa, a favorire "un rapporto virtuoso tra imprese e università". Percorsi universitari, ricerca e criteri di valutazione stabiliti dalle imprese Viene stabilito arbitrariamente che d'ora in avanti l'università dovrà orientarsi su lauree tecnico-scientifiche: lo scopo non detto, ma ben evidente, è quello di formare i futuri quadri del sistema economico capitalista competenti in materie che rispondono alle esigenze delle imprese, mediante anche l'istituzione di "network locali università-associazioni industriali che supportino le lauree triennali collegate con la domanda delle imprese e con sbocchi diretti sul mercato del lavoro". Stesso discorso per la ricerca, che andrà stabilita unicamente in base a quello che chiedono i padroni, in quanto si istituisce un "monitoraggio" per quelle "linee di ricerca accademica che trovano maggiore rispondenza nel mondo delle imprese", che andranno naturalmente valorizzate rispetto a quelle giudicate "inutili" ai fini del profitto economico. Basti solo pensare alle conseguenze su campi di ricerca, per esempio farmaceutica o ambientale, attorno ai quali gravitano enormi interessi e già fortemente debilitati. Confindustria e CRUI inoltre sposano del tutto la "riforma" Gelmini e, lamentandosi della lentezza della sua attuazione (non è stata pubblicata neanche la metà dei decreti attuativi e appena 8 atenei, di cui 4 privati, hanno riformato gli statuti di conseguenza), si propongono di monitorarne l'applicazione, con "particolare attenzione", manco a dirlo, "alla partecipazione agli organi di governo da parte dei membri esterni". Ricordiamo che la "riforma" Gelmini attribuisce enormi poteri al presidente del consiglio d'amministrazione, che può anche essere un "esterno", e di conseguenza aggrava il condizionamento dell'università da parte dei privati mentre fiacca la già debole e minoritaria rappresentanza studentesca. A condire il tutto c'è l'accordo che prevede la "definizione di criteri per la valutazione della qualità di ricercatori e docenti da proporre all'ANVUR" (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca). In altre parole saranno le imprese a stabilire in base a quali criteri dovrà avvenire questa valutazione, mettendo una pietra tombale sulla libertà d'insegnamento garantita dalla Costituzione del '48 ormai a brandelli. Studenti tassati, ricercatori precarizzati Altrettanto pesanti sono le conseguenze che attendono gli studenti e i ricercatori. Se già di per sé la gestione aziendalistica dell'università non promette nulla di buono per le masse popolari, l'accordo mette nero su bianco la volontà di "decentramento e valorizzazione delle autonomie", che significa inasprimento della cosiddetta "autonomia universitaria", tanto amata dal baronato, cioè del fatto che ciascun ateneo può gestire autonomamente la didattica, le attività finanziarie e gli affari con soggetti privati e banche, facendo pesare i costi sugli studenti e sul personale tecnico-amministrativo. Possiamo quindi aspettarci un aumento degli oneri economici, in primo luogo delle tasse universitarie, che peseranno sulle larghe masse studentesche e popolari, precludendogli sempre di più l'accesso all'università riservandolo ai figli della borghesia, come era del resto un obiettivo contenuto nella lettera del neoduce Berlusconi all'Unione europea e approvato da BCE e FMI. Per quel che riguarda i ricercatori, invece, è prevista la trasformazione del dottorato di ricerca in un contratto di apprendistato all'interno delle imprese, metodo ideale per massimizzare il profitto in quanto permette ai padroni di sfruttare lavoro sottopagato e, al contempo, condurre progetti di ricerca con tornaconti economici. I ricercatori resteranno comunque precari e soggetti al lavoro a chiamata, come è sancito nella "riforma" Gelmini. Per l'università pubblica, gratuita e governata dalle studentesse e dagli studenti Naturalmente l'accordo incontra l'appoggio entusiasta della borghesia, già con l'acquolina in bocca, ma anche del nuovo Vittorio Emanuele III Napolitano, che più della Costituzione, è garante dell'applicazione delle politiche di macelleria sociale di Berlusconi e BCE. Contro l'accordo si è schierata la FLC-CGIL che scrive in una nota: "Delle due l'una, o l'accordo è il frutto di una politica spettacolista finalizzata a rassicurare parti politiche e assetti di potere sulla 'buona volontà' dei rettori italiani e delle imprese, oppure esso rappresenta un gravissimo attacco all'autonomia dell'università italiana e alla libertà di ricerca e di didattica nonché alla pluralità e alla multidisciplinarietà del sapere, della ricerca, della formazione". In definitiva, si tratta invece dell'ennesimo e pesantissimo attacco all'università pubblica, trasformata in tutto e per tutto in centro di formazione delle leve del capitalismo, a direzione manageriale. Proprio a questo puntavano i vari Zecchino, Moratti e Gelmini. Ciò dimostra più chiaramente che mai che, sotto il capitalismo, l'istruzione non è libera e universale ma sottomessa e funzionale alle esigenze culturali ed economiche della classe dominante borghese. Misure aziendaliste e classiste come quelle contenute nell'accordo non fanno che palesare e aggravare questo stato di cose. Ecco perché, come ha affermato il Comitato centrale del PMLI nel documento sui giovani del 3 aprile scorso: "per conquistare vittorie sempre più avanzate e per cambiare radicalmente il modello d'istruzione - per quanto sia possibile nel capitalismo - il movimento studentesco deve comprendere il carattere di classe dell'istruzione e della cultura e quindi fare dell'anticapitalismo il suo valore fondante, prendendo esempio dall'esperienza delle Grandi Rivolte del Sessantotto e del Settantasette". Fin da subito comunque occorre che le studentesse e gli studenti, i ricercatori, il personale tecnico-amministrativo, i docenti per la libertà d'insegnamento, finanche le masse lavoratrici e popolari, si battano contro l'asservimento dell'università al profitto borghese e per proteggere il diritto all'istruzione dei figli del popolo, e diano vita ad una grande mobilitazione nazionale per l'università pubblica, gratuita e governata dalle studentesse e dagli studenti. 16 novembre 2011 |