Inciucio tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil per favorire il governo e gli imprenditori L'accordo sulla rappresentanza è un freno alla lotta sindacale e al diritto di sciopero La Cgil a rimorchio di Cisl e Uil. Emarginati i sindacati minori. Attuato di fatto l'articolo 39 della Costituzione. Napolitano e Letta si spellano le mani per il risultato L'accordo va rigettato Il 31 maggio è stato firmato l'accordo sulla rappresentanza sindacale tra Cgil-Cisl-Uil e Confindustria. Camusso, Bonanni e Angeletti per i confederali e Squinzi per gli industriali hanno siglato ufficialmente un'intesa che di fatto era già stata raggiunta e che stravolge completamente da destra le relazioni industriali nel nostro Paese. Nella sostanza si tratta dell'applicazione, in materia di rappresentanza, dell'accordo del 28 giugno 2011 che a sua volta riprendeva quello separato del 2009 che tra le altre cose prevedeva i "patti in deroga", ossia la possibilità di modificare a favore delle esigenze aziendali quasi tutta la materia contenuta nel Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) che veniva disarticolato e ridimensionato fino a diventare una "scatola vuota". Sindacato delle larghe intese L'intesa sulla rappresentanza non ha niente a che vedere con la democrazia sindacale, anzi ne è la sua negazione, è bene chiarirlo subito. Questo accordo nasce con il chiaro intento di eliminare o quantomeno limitare e prevenire le lotte dei lavoratori delle fabbriche più combattive che non si piegano di fronte ai padroni e di quei sindacati che non accettano le logiche collaborazioniste e cogestionarie di Cgil, Cisl e Uil. Il tutto per assicurare agli industriali un clima di pace sociale quando invece le conseguenze della crisi capitalistica spingono i lavoratori alla ribellione e permettono ai padroni di affrontare la competizione con i capitalisti delle altre nazioni senza avere i conflitti nelle proprie fabbriche. È questo l'indirizzo di fondo che sta alla base del patto che non a caso è stato raggiunto in questo preciso momento, durante il governo delle larghe intese, che vede le maggiori fazioni della borghesia, rappresentate da PD e PDL, assieme al governo. Come abbiamo detto la sostanza di questo accordo era già scritta in quelli del 2009, non firmato dalla Cgil nel suo insieme, e del 2011 osteggiato dalla Fiom. Ma la presenza di Berlusconi e del PDL alla guida dell'esecutivo non aiutavano certo l'unità dei sindacati confederali; la politica del neoduce è sempre stata improntata all'emarginazione della Cgil privilegiando accordi con Cisl, Uil e Ugl. L'avvento del Governo Letta-Berlusconi, con i suoi richiami al "patto tra i produttori", ovvero l'alleanza innaturale tra padroni e lavoratori, le esternazioni e i diktat del nuovo Vittorio Emanuele III, vero promotore, regista e garante di questo governo, Giorgio Napolitano, all'unità nazionale e al "bene comune" hanno cambiato le carte in tavola e creato un clima favorevole a una nuova unità tra i confederali e in special modo al riavvicinamento della Cgil a Cisl e Uil, puntualmente avvenuto. Fermo restando la politica governativa fatta di lacrime e sangue per i lavoratori e la linea collaborazionista di Cisl e Uil che non sono certo cambiate, piuttosto è avvenuta la capitolazione della Cgil, Fiom compresa. Le definizione "sindacato delle larghe intese", usata da alcuni osservatori per definire la ritrovata unità appare quindi perfettamente appropriata. Uno stop al conflitto sociale Questo accordo sancisce il monopolio sindacale di Cgil, Cisl e Uil ed è fatto per allineare categorie che si ribellano come ad esempio i metalmeccanici della Fiom che con queste nuove regole a Pomigliano avrebbero dovuto ubbidire a Marchionne e non avrebbero potuto nemmeno scioperare contro la Fiat. Se ci addentriamo nel protocollo d'intesa lo possiamo capire bene. Anzitutto ai sindacati viene misurata la rappresentatività, da calcolare per il 50% con le deleghe delle quote versate dai lavoratori e per l'altro 50% con i voti ottenuti nelle elezioni delle Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU). E già qui c'è una discriminazione perché i "sindacati di base" non possono contare sulle trattenute sindacali in busta paga. Poi, fatta la media si dovrà raggiungere almeno il 5% per essere ammessi al tavolo dove si decidono i contratti nazionali. Ma questo 5% è solo fittizio perché occorre prima dare il proprio assenso a queste regole. Difatti nel documento si ricorda continuamente che sono ammesse al tavolo delle trattative solo le "organizzazioni sindacali firmatarie della presente intesa". Quindi prima bisogna sottostare alle regole scritte da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria, dopodiché, se si raggiungono i requisiti, si potrà sedere al tavolo, ovviamente in posizione minoritaria e da semplice spettatore. La stessa regola della firma preventiva vale per la misurazione dei voti nelle elezioni delle Rsu quindi, rimanendo ancora al caso Pomigliano, la Fiom non avrebbe il diritto ad essere rappresentata in Fiat. Ai sindacati che vogliono presentare liste alle elezioni delle Rsu si chiede una sottomissione, un'abiura preventiva della difesa degli interessi dei lavoratori, un'accettazione a priori e comunque degli accordi svendita. Questa è la certificazione della dottrina mussoliniana di Marchionne. Di sicuro non è la "consultazione certificata dei lavoratori", come ha affermato Landini che con il suo assenso all'intesa si è rimangiato tutte le lotte che proprio sul tema della democrazia sindacale hanno visto la Fiom in prima fila. Il segretario dei metalmeccanici si ripara dietro il paravento della consultazione dei lavoratori necessaria per approvare a maggioranza i contratti nazionali le cui modalità "saranno stabilite dalle categorie per ogni singolo contratto". Quindi non è nemmeno vero che ad ogni firma seguirà un referendum. Insomma, il consenso finale dei lavoratori è solo una foglia di fico. Esistono invece altre clausole come quella che prevede che potranno presentare la piattaforma contrattuale solo le organizzazione che da sole o unitariamente supereranno il 50% e solo queste potranno trattare con la controparte. Ma la parte forse peggiore è quella che riguarda la limitazione del diritto di sciopero. Difatti, dopo tutte queste clausole antidemocratiche, quando l'accordo viene firmato ha "piena esigibilità", cioè tutti devono rispettarlo e s'impegnano a "non promuovere iniziative di contrasto agli accordi così definiti", cioè non devono scioperare e tutti devono stare zitti. Ma addirittura i contratti firmati con questa modalità "dovranno stabilire clausole e/o procedure di raffreddamento": tradotto dal linguaggio burocratico vuol dire che ci saranno penali per i sindacati (e anche per i singoli lavoratori?) che si azzardano a metterlo in discussione. Capitolazione della Cgil Basterebbero le dichiarazioni che ci sono state a seguito della firma per capire bene a chi giova e a chi nuoce l'accordo sulla rappresentanza. Quella del capo del governo, il PD di area democristiana Enrico Letta: "bravi, bravi, veramente bravi", oppure quelle di Napolitano che continuamente bacchetta e incita i partiti alle controriforme presidenzialiste stavolta è soddisfatto perché per lui l'accordo susciterà "l'apprezzamento anche delle istituzioni europee" e si augura "che lo spirito e il contenuto dell'accordo trovino la più larga adesione in tutti gli ambienti imprenditoriali e sindacali". Più espliciti e diretti gli industriali come il capo di Confindustria Giorgio Squinzi: "dopo 60 anni definiamo le regole per la rappresentanza, che ci permette di avere contratti nazionali pienamente esigibili" o il suo vice Stefano Dolcetta: "l'accordo è una riforma strutturale del sistema di contrattazione per rendere più solida anche l'impresa", un "sistema vicino al modello dell'articolo 39 della Costituzione". Questo richiamo alla Costituzione apre anche un altro capitolo, quello della trasformazione del nostro Paese da repubblica unitaria parlamentare e, almeno sulla carta, antifascista, a regime presidenzialista, neofascista e federalista. Non si può prescindere dall'inquadrare l'accordo in questione dal processo di fascistizzazione in atto nel Paese, sancito anche dall'apposito disegno di legge di questo governo, pressato da Napolitano, per arrivare in tempi rapidi alla controriforma presidenzialista della Costituzione del 1948. In questo caso non si tratta di riscrivere un articolo ma d'interpretarlo da destra; l'articolo 39 della Costituzione riferendosi ai sindacati dice: "....possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce". Una norma che stabilisce un diritto ma non le regole. Anzi, finora questo articolo veniva impugnato per pretendere che tutti i lavoratori beneficiassero dei miglioramenti contrattuali, invece in questo accordo se ne dà una lettura punitiva, e cioè che la maggioranza dei sindacati (non dei lavoratori, ndr) decide per tutti e chi non è d'accordo si deve per forza adeguare. C'è la pretesa di cancellare il conflitto sociale, di prevenire gli accordi separati che lasciano come strascico gli scioperi e la mobilitazione dei lavoratori, si vuole un sindacato che non sia rivendicativo ma collaborativo e succube dei padroni. Sono eloquenti le parole del crumiro Bonanni che dalla tribuna del congresso nazionale della Cisl, svoltosi in questi giorni a Roma, ha detto: "un accordo che valorizza tutte le scelte di fondo compiute con coerenza dalla Cisl in questi anni, contribuendo al superamento delle cultura antagonistica" Non c'è stato nessun smacco alla Fiat, come ha detto la Camusso nè tanto meno la Cgil è riuscita a far cambiare idea a Cisl e Uil, come ha detto Landini. Queste sono dichiarazioni fatte per buttare fumo negli occhi ai lavoratori; semmai c'è stata la completa omologazione della Cgil, Fiom compresa, al governo Letta-Berlusconi, a Napolitano, Squinzi e Confindustria, ai sindacati cogestionari e collaborazionisti Cisl e Uil e l'emarginazione dei sindacati minori, a sinistra dei tre principali. Nello stesso tempo, la Cgil di Camusso e la Fiom di Landini con questo vogliono rientrare in pieno nelle grazie del padronato, da cui hanno rischiato di essere emarginati. Un accordo da rigettare Nonostante quasi tutti i mass-media abbiano santificato l'accordo come un toccasana per uscire dalla crisi, ovviamente sulle spalle dei lavoratori, si allarga e si manifesta il dissenso. L'area della Cgil che si riconosce nella Rete 28 Aprile ha fin da subito condannato l'accordo. Cremaschi ha dichiarato: "È un accordo 'storico', ma in senso negativo. Questo accordo infatti risolve alla radice il problema per i padroni di scegliere con chi trattare, perché, con le regole firmate, Cgil Cisl e Uil accettano la limitazione e l'attacco al diritto di sciopero, in pratica il modello Fiat viene esteso a tutti i lavoratori". L'altro esponente dalla Rete 28 Aprile Bellavita ha dichiarato che tale accordo comporta: "l'affermazione delle politiche d'austerità sul terreno contrattuale" che cancella "il diritto dei lavoratori alla libera rappresentanza, colpiscono il diritto di sciopero e il potere dei lavoratori di migliorare la loro condizione". Per l'Unione Sindacale di Base (USB) questo è l'accordo della vergogna "utile solo a garantire pace sociale di fronte ai sempre più avanzati processi di riorganizzazione produttiva". Per i Cobas ( Confederazione dei Comitati di Base) "è la logica conseguenza dell'insulso inciucio che ha costruito il governo Letta, finalizzato alla logica corporativa della pace sociale" La Camusso è stata contestata da una parte della platea a un convegno a Milano al grido di "lo sciopero non si tocca" mentre si alzano grida di protesta da diverse fabbriche, specialmente metalmeccaniche. Segnaliamo le voci contrarie delle RSU-Fiom della Piaggio di Pontedera (Pisa), Same di Treviglio (Bergamo), Oerlikon Graziano di Rivoli (Torino), Insiel di Trieste. La parte più avanzata della classe operaia con le sue lotte dovrà far capire a tutti i lavoratori che in buona parte ne sono ancora all'oscuro, la necessità di rigettare questo accordo, che non a caso, per la sua gravità e la sua portata, aggiungiamo noi, capo del governo, presidente della Repubblica e rappresentante degli industriali hanno definito "storico". Dal loro punto di vista non hanno torto, poiché si tratta della consacrazione delle relazioni industriali mussoliniane introdotte da Marchionne alla FIAT, che vanno ostacolate in ogni modo, usando qualsiasi metodo di lotta di massa ritenuto necessario. 19 giugno 2013 |