Tenendo ferma la linea e la strategia sindacali del PMLI Aderire alla nuova area "La Cgil che vogliamo, opposizione organizzata" "I sottoscritti e le sottoscritte comunicano alla presidenza del Comitato Direttivo Nazionale della Cgil la costituzione dell'Area 'La Cgil che vogliamo, opposizione organizzata'". Comincia così una lunga lettera inviata da Fabrizio Burattini, Giorgio Cremaschi, Francesco De Simone, Eva Mamini e Annamaria Zavaglia (tutti membri del Direttivo) il 2 luglio scorso agli organi dirigenti e alle strutture della CGIL. Dove sono sintetizzati i motivi di tale decisione maturata nella riunione degli aderenti de "La Cgil che vogliamo" tenutasi il 30 giugno a Firenze, nella sala del Dopolavoro ferroviario di via Alamanni. Nel corso della quale i partecipanti "una sessantina di compagne e compagni di diverse regioni e categorie", hanno preso atto della crisi della minoranza congressuale esistente da tempo. "Tranne poche eccezioni - si legge nel report della riunione - la minoranza è esistita solo nei voti contrari al direttivo, non volendo mai portare davvero questo dissenso nelle categorie e nei territori". Da qui la decisione di costituire questa nuova area di opposizione sindacale, sia pure all'interno de "La Cgil che vogliamo" che non significa ritornare a "Rete 28 Aprile", sostengono i promotori, ma di organizzare le forze frantumate e disperse "che vogliono opporsi alla deriva della Cgil", trovare pratiche democratiche più di quelle di area, sia nelle decisioni sia nella diffusione delle esperienze. Motivi e scopi della nuova area sindacale Nella lettera inviata agli organi dirigenti della CGIL sono esplicitati motivi e scopi. In cima quello di organizzare nella Confederazione l'opposizione alle politiche del gruppo dirigente "che hanno portato la Cgil alla più grande sconfitta del dopoguerra" con la controriforma del lavoro e la conseguente cancellazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori; sconfitta che ha fatto seguito a quella sulle pensioni. Una delle ragioni di questa sconfitta è la subalternità del gruppo dirigente della Cgil - si legge - al governo Monti e al quadro politico che lo sostiene. Tale subalternità ha impedito di dispiegare tutte le forze dell'organizzazione per contrastare un governo che pratica politiche economiche ultraliberiste e antisociali. "l'opposizione ferma e rigorosa al governo Monti - è detto - è invece condizione per qualsiasi tenuta e ripresa dell'iniziativa sindacale a tutela del lavoro". Altro motivo, la non condivisione della "politica unitaria con Cisl e Uil intrapresa dal gruppo dirigente". Visto che i gruppi dirigenti di queste due organizzazioni sono responsabili del fiancheggiamento al governo Berlusconi, e hanno condiviso la politica antisindacale e distruttrice dei diritti della Fiat. L'unità deve partire dai luoghi di lavoro e la democrazia sindacale piena deve diventare pregiudiziale rispetto ai rapporti unitari. C'è anche l'avversione alla progressiva burocratizzazione della vita interna dell'organizzazione, con l'affermarsi di una logica di comando che colpisce il dissenso, la partecipazione democratica e la creatività dei militanti e delle lavoratrici e dei lavoratori. La lettera termina con l'impegno di presentare un proprio documento programmatico, in una riunione del settembre prossimo. La crisi de "La Cgil che vogliamo" La costituzione di quest'area non è un atto improvviso ma lo sbocco politico organizzativo di una crisi di idee e di iniziative presente da tempo all'interno de "La Cgil che vogliamo" di cui Gianni Rinaldini è il coordinatore nazionale; esplosa in modo evidente, per esempio, nell'Assemblea nazionale del 30 marzo 2011 dove si confrontarono ben tre posizioni differenti per tentare di rilanciare la sinistra della Cgil. Il più esplicito fu Giorgio Cremaschi, allora presidente del CC della FIOM ed esponente di punta della suddetta area, che affermò: "La Cgil che vogliamo così com'è oggi non ha peso e una funzione corrispondete al senso e alla dimensione della battaglia congressuale. La nostra area è in evidente crisi politica e organizzativa". La nostra "area programmatica - proseguiva - non ha sinora dato il segno di essere una forza in grado di esercitare una vera opposizione". La sua proposta per uscire da questa crisi si fondava su questi punti: radicalizzare il conflitto sociale nei confronti di Confindustria e delle controparti pubbliche, prendere atto dell'impossibilità di ripristinare l'unità con CISL e UIL per lottare contro il modello Marchionne, definire una nuova piattaforma sindacale, inoltre, rifondazione democratica dell'organizzazione basata sul potere e la partecipazione dei lavoratori, degli iscritti e dei rappresentanti sindacali aziendali. Una spinta, forse decisiva, a compiere questo passo è venuta dall'assemblea nazionale autoconvocata tenutasi al Teatro Ambra Jovinelli di Roma il 26 maggio di quest'anno, cui hanno partecipato centinaia di lavoratori, delegati, precari e disoccupati, pezzi importanti della Cgil, la "Rete 28 aprile" soprattutto, e dei "sindacati di base", l'USB in particolare, "per decidere insieme come agire" nella presente situazione. Nell'appello si denuncia la "devastazione sociale senza precedenti" portata avanti dal governo Monti con il sostegno delle banche e della Confindustria. A seguito anche della "debolezza e dei cedimenti del sindacalismo confederale". Nemmeno le reazioni generose ma parziali di categorie, organizzazioni, Rsu e delegati "sia del sindacalismo confederale sia di quello di base" sono riuscite a fermare gli attacchi di governo e padronato. Di qui l'idea dell'assemblea autoconvocata "per costruire una risposta all'offensiva che stiamo subendo" fondata su una piattaforma rivendicativa diversa da quella delle di CGIL, CISL e UIL e sulla mobilitazione dei lavoratori. La posizione del PMLI Non possiamo non cogliere e valutare attentamente questa novità intervenuta in campo sindacale per decidere il da farsi. Sin qui i lavoratori e i pensionati militanti e simpatizzanti del PMLI hanno aderito a "La Cgil che vogliamo". Una scelta questa, che facemmo all'ultimo congresso CGIL. Ora si tratta di aderire alla nuova area "La Cgil che vogliamo, opposizione organizzata" costituitasi a sinistra della precedente, con posizioni sindacali più condivisibili da parte nostra anche se non ci sentiamo interamente rappresentati da essa. La nostra è un'adesione che deve avvenire senza rinunciare alla linea e alla strategia sindacali del PMLI che, anzi, vanno portate dentro quest'area come contributo specifico. La nostra è una scelta tattica "e rientra - come è scritto nelle Tesi del 5° Congresso nazionale del PMLI - nella politica di fronte unito. Ha lo scopo di portare avanti la linea e la proposta sindacato del PMLI". Ovvero costruire dal basso un grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale e contrattuale alle Assemblee generali dei lavoratori e dei pensionati. "Ha lo scopo di creare le condizioni per dare vita concretamente alla Corrente sindacale di classe. Partendo dai luoghi di lavoro, dalle zone, dalle categorie dove queste condizioni sono più avanzate". Sulla base delle indicazioni del 5° Congresso nazionale del PMLI, e prendendo esempio dai compagni che lavorano assiduamente sul fronte operaio e sindacale, dobbiamo fare quanto ci è possibile per migliorare e sviluppare il nostro lavoro su questo fronte nevralgico per difendere gli interessi immediati della classe operaia, dei lavoratori e dei pensionati e per spingere il movimento operaio e sindacale su posizioni sempre più avanzate nella lotta contro il capitalismo e il governo Monti che ne cura gli affari. Sul campo di battaglia, lavorando all'interno della Cgil, nella nuova area dell'"opposizione organizzata", nei luoghi di lavoro e tra i pensionati, dobbiamo conquistare il consenso delle lavoratrici, dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati fino a diventare la loro guida. 25 luglio 2012 |