Tributata dalla Confindustria al capo della ThyssenKrupp, giustamente condannato per la morte dei 7 operai nel rogo di Torino Un'agghiacciante ovazione Scuse tardive e riduttive respinte dai parenti delle vittime operaie che si dicono "indignati e offesi dalle dichiarazioni di Marcegaglia" "Abbiamo bisogno di garanzie per il nostro futuro. Confindustria deve reagire a questa sentenza. Dagli industriali italiani ci aspettiamo passi ufficiali": così il 17 aprile scorso il presidente della ThyssenKrupp in Italia, Klaus Schmitz, aveva invocato una presa di posizione di Confindustria contro la sentenza di condanna a 16 anni per omicidio volontario a carico dell'amministratore delegato dell'azienda, Herald Espenhahn, per il rogo di Torino in cui morirono 7 operai la notte del 6 dicembre 2007. E la risposta degli industriali italiani è subito arrivata con l'assemblea di Confindustria che si è tenuta a porte chiuse a Bergamo il 7 maggio, che non solo ha offerto la tribuna al condannato per attaccare la sentenza del tribunale di Torino, ma gli ha addirittura tributato un'agghiacciante ovazione, quasi fosse lui la vera e unica vittima della tragica vicenda e la morte atroce dei 7 operai solo uno dei tanti "incidenti" mortali sul lavoro dovuti alla "fatalità". La stessa presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha voluto ribadire che "la condanna a 16 anni per omicidio volontario di Harald Espenhahn, è un unicum in Europa ed è un tema che va guardato con molta attenzione", perché "se dovesse prevalere, potrebbe allontanare gli investimenti esteri dall'Italia e mettere a repentaglio la sopravvivenza del tessuto industriale". In prima fila, ad applaudire l'amministratore delegato della Thyssen, c'erano anche gli ex presidenti di Confindustria, Luigi Abete e Luca Cordero di Montezemolo, a sottolineare che questa grave scelta non è dovuta al caso o ad un "errore" dell'attuale presidenza, come poi si è parzialmente cercato di far credere, ma di una ben premeditata e unanime decisione di tutta l'associazione padronale. Tant'è vero che solo dopo alcuni giorni, e solo dopo le reazioni indignate che sono subito arrivate dai familiari delle vittime e rimbalzate sulla stampa, i vertici dell'associazione hanno sentito il bisogno di fornire precisazioni e giustificazioni per cercare di attenuare la portata e il significato dello scandaloso episodio. "Anziché prendere le distanze dagli assassini della ThyssenKrupp, che non hanno esitato a lucrare ignobilmente sulla pelle dei lavoratori - aveva stigmatizzato infatti un comunicato stampa dell'Associazione Legami d'Acciaio che riunisce familiari e operai della Thyssen - Confindustria esprime loro solidarietà e vicinanza, dimenticando il terribile calvario patito dalle vittime e dai loro familiari e parenti, dimostrando un cinico disprezzo verso la vita dei lavoratori". Il comunicato denunciava poi che "le parole della Marcegaglia lasciano intendere che sarebbe più conveniente investire laddove norme e controlli in fatto di sicurezza sul lavoro siano meno vincolanti per le imprese. Queste le orribili aspettative che i vari Marcegaglia, Espenhahn, Marchionne, Carbonato, Di Girolamo e Cicchitto vorrebbero vedere avverarsi in questo Paese. La scelta sembra essere: impunità o delocalizzare dove si può uccidere senza subire processi?". E nel dichiararsi "profondamente indignati e offesi da tali dichiarazioni" i familiari ribadivano giustamente che "la sicurezza nei luoghi di lavoro è un obbligo delle imprese e delle istituzioni e non può essere delegata in alcun modo ai lavoratori e chi non rispetta le norme e uccide in nome del profitto deve pagare!". Durissime anche le reazioni di alcuni sindacalisti: "Con chi applaude gli omicidi di condannati non c'è nulla da discutere, nulla da dialogare", dichiarava Giorgio Cremaschi interpretando la posizione di tutti gli iscritti della FIOM, mai come in questo momento sottoposti al ricatto padronale (e non solo) per rinunciare ai diritti in cambio di occupazione. I sindacalisti collaborazionisti hanno preferito invece smussare le polemiche: come si è precipitato a dichiarare infatti compiacentemente il ministro del Lavoro Sacconi, "il caso è chiuso. La CISL e la UIL hanno sottolineato quanto Confindustria e i sindacati stanno collaborando sui temi della sicurezza". Perfino la Lega, con un occhio rivolto all'imminente consultazione elettorale a Torino e in altre città del Nord, prendeva le distanze dalla sfida di Confindustria. Mentre il PD, invece, "stranamente" taceva del tutto sull'imbarazzante vicenda: forse per il partito liberale di Bersani i consensi della borghesia torinese per Fassino pesavano di più della rabbia degli operai? "Scuse" sporche e pretestuose Alla fine Confindustria ha dovuto fare qualche goffo passo indietro per coprirsi. Prima ha mandato avanti il suo responsabile del Comitato per la sicurezza, Salomone Gattegno, che nel tentativo di sminuire l'importanza dell'episodio ha messo una pezza peggiore del buco, arrivando a dichiarare di non conoscere "la dinamica dell'incidente" (cioè del rogo della Thyssen) e nemmeno "le motivazioni della sentenza", ma che di certo "quando tutti noi comuni mortali parliamo di omicidio volontario pensiamo a qualcuno che tira fuori una pistola e ti spara". Poi la stessa Marcegaglia ha fatto telefonare all'unico superstite del rogo, Antonio Boccuzzi, per chiedere un incontro privato con i familiari delle vittime. Mentre si è ben guardata però dal chiedere pubblicamente scusa per l'offesa loro arrecata. Infine, a chiudere frettolosamente il caso, a distanza di quattro giorni, è intervenuto in una trasmissione tv il direttore di Confindustria, Gianpaolo Galli, che ha definito un "errore" e un comportamento "inopportuno e sbagliato" quello dell'assemblea di Bergamo, chiedendo scusa "a nome di Confindustria ai familiari delle vittime e all'opinione pubblica che si è sentita colpita ed offesa". Ma subito dopo ha anche voluto aggiungere che "quel gesto va capito", perché "le imprese sono preoccupate per l'estrema incertezza del diritto in Italia". Ma si tratta solo di una "scusa" sporca e pretestuosa perché, come ha sottolineato anche Boccuzzi, "Confindustria fa riferimento ad un vuoto di leggi, ma quel vuoto non c'è". Lo conferma lo stesso procuratore di Torino Raffaele Guariniello, Pubblico ministero al processo Thyssen, uno dei massimi esperti in Italia in materia di sicurezza sul lavoro, che in un'intervista a La Repubblica del 12 maggio smentisce la Marcegaglia chiarendo che "l'Italia non è un unicum, le leggi sul lavoro derivano da direttive europee. La novità è semmai nel fatto che abbiamo deciso di svolgere le indagini con metodi nuovi". Metodi che in questo caso hanno compreso "le perquisizioni e l'analisi degli hard-disk dei computer utilizzati per le comunicazioni interne dell'azienda". Ed è grazie ad esse che si è dimostrato che l'azienda aveva omesso scientemente di installare le protezioni antincendio automatiche per risparmiare sulle spese, ben sapendo dei rischi che correvano gli operai, il che configurava il reato di omicidio volontario: "Non è così quando ci si accontenta di un sopralluogo, una perizia e l'ascolto dei testimoni, quella che per anni è stata la routine. Succede ancora spesso", osservava in proposito Guariniello. Pretesa di impunità come per il neoduce Berlusconi In altre parole la sentenza esemplare di Torino è "storica" solo in quanto fino ad ora tutti i casi di "omicidi bianchi" sono sempre stati trattati superficialmente dalla giustizia borghese, senza mai andare a fondo delle responsabilità e partendo dall'assunto che si tratti per definizione e al massimo di omicidi colposi. Il fatto che per la prima volta questo muro protettivo all'irresponsabilità dei capitalisti sia stato infranto da una sentenza ha toccato un nervo sensibile facendo venire allo scoperto tutta la sorpresa e la rabbia della classe dei padroni del vapore, comportandosi in questo caso in modo non molto dissimile dal loro degno campione, il neoduce Berlusconi, la cui eterna crociata contro la magistratura e per l'impunità ha fatto evidentemente breccia anche fra molti di loro. Non a caso Il Giornale della famiglia Berlusconi, nel prendere le difese dell'applauso confindustriale, non rinunciava però all'occasione per una chiamata di correo di tutta la classe imprenditoriale intorno al nuovo Mussolini, osservando ironicamente: "Verrebbe da chiedersi che differenza ci sia tra una grande organizzazione sindacale come la Confindustria e un grande partito politico come il PDL, che nelle sue manifestazioni pubbliche ha deciso di mettere nel proprio mirino i magistrati. Con la piccola differenza che in un caso, quello Thyssen, c'è una sentenza, mentre in quello Berlusconi, ancora no. Ma insomma, sembra di capire che ognuno è bravo, corretto, politicamente rispettoso sempre e solo quando il giudice non è il suo". Esemplare, al contrario, il commento di Magistratura democratica, che nel definire "sconcertanti" gli applausi di Bergamo ha sottolineato: "Leggere questioni complesse, come quelle affrontate dalla sentenza torinese, solo in termini di colpo alla libertà di impresa e alla possibilità di investimenti futuri rappresenta una forte regressione culturale nel modo di concepire le relazioni industriali". Specialmente - aggiungiamo noi - quando si vuol imporre a tutta la classe operaia le nuove relazioni industriali mussoliniane secondo il modello di Marchionne, per il quale la sicurezza, come tutti gli altri diritti dei lavoratori, deve essere subordinata al profitto aziendale sovrano. 18 maggio 2011 |