Sostenuto dai fascisti doc e dalla "sinistra" borghese L'ambizioso gerarca Fini vuole contare di più nel Pdl e nel governo Da qualche tempo il fascista Fini ha ricominciato ad agitarsi e a rivendicare uno spazio e un ruolo maggiori per sé stesso e la sua corrente all'interno del Pdl saldamente egemonizzato da Berlusconi. Ora Fini sembra di nuovo in urto con lui, quasi come nel 2007 ai tempi del "discorso del predellino", e deciso a tenergli testa per arrivare a un riassetto degli equilibri interni al Pdl. Mentre il neoduce sembra tutt'altro che disposto a concederglielo, almeno non con la facilità con cui concede alla Lega di Bossi sempre più ascolto e spazio nella coalizione nero-verde che sostiene il suo governo neofascista. Nelle scorse settimane si sono infittite le prese di posizione di Fini in contrasto con linea di maggioranza del suo stesso partito, come sul testamento biologico, ma soprattutto nei casi in cui è stata la Lega a influenzarla e determinarla di più: per esempio sul tema della sicurezza e dei diritti di cittadinanza e di voto agli immigrati regolari, sui quali le pur caute aperture del presidente della Camera si sono attirate gli strali di Bossi, che gli ha dato del "matto" e del "suicida". Ma non è stato solo il leader neofascista e razzista della Lega ad attaccarlo per le sue posizioni vagamente eterodosse. Anche il neoduce Berlusconi ha cominciato a manifestare tutta la sua insofferenza, scatenandogli contro il mastino Feltri dalle colonne de "Il Giornale". Il quale, dopo aver "sistemato" il direttore di "Avvenire" Boffo, il 7 settembre si è dedicato a lui rivolgendogli una domanda perentoria insieme a un minaccioso avvertimento: "Sei ancora di destra? Rientra nei ranghi". E se formalmente Berlusconi fingeva anche stavolta di cascare dalle nuvole "dissociandosi" dall'editoriale del direttore del suo giornale di famiglia, alla festa annuale dei giovani fascisti di "Atreju", ora ribattezzata "Festa dei giovani del PdL", non ha fatto mistero del suo disprezzo nei confronti delle posizioni dell'ex leader di AN e di puntare a scalzarlo nel cuore dei pronipotini di Mussolini, che difatti lo hanno accolto e acclamato come fosse la reincarnazione del duce. Da parte sua Fini gli ha risposto per le rime con un intervento al seminario del Pdl a Gubbio in cui si è lamentato di "uno stillicidio indegno del partito" diretto contro la sua persona, e gli ha assestato un colpo basso col bocciare le sue tesi complottiste circa la riapertura di vecchie inchieste di mafia in cui sarebbe coinvolto, e delle quali ha detto invece che "se ci sono fatti nuovi è giusto che siano riaperte". E non senza fare una enigmatica allusione alle relazioni piduiste del neoduce e di altri dirigenti del Pdl, quando ha detto che "a differenza di altri io non mi diletto con compassi e grembiulini". Dopo una breve tregua e il fallimento di una cena di "riconciliazione" tra i due, svoltasi in un'atmosfera di gelido silenzio a Villa Madama, il neoduce ha riaperto in pieno le ostilità scatenando di nuovo il mastino Feltri, e stavolta senza risparmiare i colpi proibiti e senza neanche "dissociarsi". Su "Il Giornale" del 15 settembre, in un editoriale dal titolo "Il presidente Fini e la strategia del suicidio lento", sottotitolo "Ultima chiamata per Fini: o cambia rotta o lascia il PdL", Feltri così minacciava il bersaglio del suo intervento: "Fini ricordi che delegare i magistrati a far giustizia politica è un rischio. Specialmente se le inchieste giudiziarie si basano su teoremi. Perché oggi tocca al premier, domani potrebbe toccare al presidente della Camera. È sufficiente ripescare un fascicolo del 2000 su faccende a luci rosse riguardanti personaggi di Alleanza nazionale per montare uno scandalo. Meglio non svegliare il can che dorme". E se poi Fini, allo scopo di subentrargli alla guida del Pdl e/o di un "governo istituzionale" o quant'altro, si facesse illusioni su una caduta prematura del premier per effetto della bocciatura del lodo Alfano da parte della Consulta, "si ricordi - aggiungeva Feltri - che bocciato un lodo Alfano se ne approva un altro, modificato, e lo si manda immediatamente in vigore". Avvertimenti, questi del direttore del "Giornale", bollati immediatamente con l'appellativo di "messaggi mafiosi" dal destinatario attraverso la penna di Flavia Perina, direttrice del "Secolo d'Italia", e consegnati alle carte bollate dall'avvocato Giulia Bongiorno, legale di Fini e presidente della commissione Giustizia della Camera, che ha annunciato querela a Feltri. Di affermazioni "offensive e calunniose" a Fini si parla anche nella lettera a Berlusconi con la quale il vice capogruppo finiano del Pdl, Italo Bocchino, ha raccolto una cinquantina di firme di deputati ex AN (ma non solo) per chiedere un "patto di consultazione" tra i cofondatori del partito (Berlusconi e Fini) e di ridimensionare il peso della Lega nella maggioranza. Un'iniziativa accolta con freddezza dai gerarchi ex AN più vicini al neoduce, come Gasparri, La Russa, Alemanno, Mantovano, Matteoli e Landolfi, e con strafottenza da Berlusconi, che a "Porta a porta" ribadiva che "non ci sono problemi da parte mia ma solo di Fini. Abbiamo due concezioni diverse del partito. Lui è un professionista della politica...". Questo era lo stato dell'arte nei rapporti tra il nuovo Mussolini e il gerarca Fini, fino alla vigilia dell'ennesimo "incontro chiarificatore" tra i due che si è svolto il 21 settembre a casa di Gianni Letta. Incontro dal quale il neoduce è uscito raggiante sbandierando una rinnovata e perfetta intesa con il suo alleato-rivale. Salvo poi finire quella stessa settimana col becero e grottesco comizio di chiusura della festa del Pdl a Milano, in cui fra l'altro si è fatto beffe anche lui delle aperture di Fini sui diritti di cittadinanza agli immigrati, davanti allo stesso pubblico in delirio che prima aveva accolto freddamente il presidente della Camera e invece come un eroe il mestatore di professione Feltri tributandogli una vera ovazione. Quale che sia l'esito della diatriba tra i due banditi è chiara la posta in gioco: il neoduce non tollera rivali dentro quello che considera il suo partito, una cosa di sua proprietà e al suo esclusivo servizio. In ogni caso Fini è stato depennato da tempo dalla lista dei suoi successori, ammesso che questa esista. Da parte sua l'ambizioso gerarca fascista mira da una parte a coltivare la sua immagine di statista affidabile e imparziale, di leader di una destra "moderata" e "moderna" gradito anche alla "sinistra" borghese - che difatti lo esalta come nessun altro - con un occhio rivolto magari anche al Quirinale. Dall'altra punta a ridimensionare il peso della Lega nella destra borghese e a far valere di più quello suo e dei suoi uomini, cercando di dimostrare a Berlusconi di non essere un generale senza esercito e che senza di lui e la forza del suo ex partito radicata nel territorio la durata del suo potere e del Pdl non sono garantite. Di certo allo stato attuale non ci sono i presupposti per illudersi, come fa la "sinistra" borghese sempre più confusa e intontita, che egli sia quella sorta di "anti-Berlusconi" di destra capace di rappresentare un'alternativa più "presentabile" o almeno un contrappeso allo strapotere del nuovo Mussolini che venga a cavarle le castagne dal fuoco. Tutt'al più è da considerare tra i suoi gerarchi quello che più smania e che pensa di avere i numeri per uscire dal suo cono d'ombra e poter brillare un giorno di luce propria. 30 settembre 2009 |