In nome dell'indipendenza nazionale e del riformismo La "sinistra" borghese al potere in America latina L'imperialismo americano perde il "cortile di casa" Il "socialismo del XXI secolo" non è socialismo e potere del proletariato Il 3 dicembre, non appena il Consiglio nazionale elettorale venezuelano aveva fornito i primi dati che sancivano la sua vittoria sul candidato del centro-destra Manuel Rosales e quindi la riconferma nella carica presidenziale, Hugo Chavez Frias salutava i suoi sostenitori accorsi al palazzo di Miraflores e annunciava l'avvento di "una nuova era, una nuova epoca che avrà come linea strategica l'espansione della rivoluzione bolivariana e della democrazia popolare verso il socialismo venezuelano, bolivariano". Dedicava la vittoria "al presidente Fidel (Castro, ndr) e al valoroso popolo cubano", sottolineava che "questa è una sconfitta per Mister Danger e per El Diablo (George Bush, ndr) che pretende di dominare il mondo". Il Venezuela, proseguiva, "non sarà mai una colonia nordamericana" e chiudeva con "abbasso l'imperialismo!". La rielezione di Chavez seguiva di poco la vittoria in Ecuador dell'economista Rafael Correa, che a capo del movimento Alianza País aveva battuto al ballottaggio per le presidenziali il candidato conservatore e magnate delle banane Rafael Noboa, e chiudeva l'anno 2006 con l'ultima di una serie di affermazioni della "sinistra" borghese in America Latina. Il 22 gennaio scorso in Bolivia diventava presidente l'indio Evo Morales sostenuto dal Mas, Movimiento al Socialismo; l'11 marzo la socialista cilena Michelle Bachelet, battuto l'imprenditore Sebastian Pinera, sostituiva il presidente uscente Ricardo Lagos, nel cui governo aveva ricoperto la carica di ministro della sanità e della difesa; il 29 ottobre il presidente brasiliano Lula vinceva il ballottaggio sul candidato dell'Opus Dei, Geraldo Alkim, ed era riconfermato nella carica. Nel corso dell'anno si registrava anche la vittoria in Perù del candidato del partito APRA Alan Garcia, già presidente dal 1985 al 1990, sul candidato dell'Unione per il Perù Ollanta Humala che era stato appoggiato da Chavez; una vittoria al ballottaggio del 4 giugno dopo che la candidata del centrodestra Lourdes Flores era stata eliminata al primo turno. Infine a novembre in Nicaragua Daniel Ortega del Fronte sandinista di liberazione nazionale batteva il liberale Eduardo Montealegre e ritornava sulla poltrona presidenziale perduta nelle elezioni del 1991 e ora ripresa grazie al patto stretto con l'estrema destra del Partito liberale costituzionalista dell'ex presidente Arnoldo Aleman e dopo aver scelto come vicepresidente Morales Carazo, uno dei leader della Contra, la guerriglia controrivoluzionaria costruita dagli Usa contro il governo sandinista e responsabile di massacri contro il popolo nicaraguense. L'Ortega del 2006 ha garantito che "non ci saranno cambi radicali nella base dell'economia" e garantito la validità degli accordi sottoscritti col Fondo monetario internazionale e con il Bid, la Banca interamericana di sviluppo. L'inversione di tendenza nel continente dominato dall'imperialismo americano, tanto da essere definito il "cortile di casa" degli Usa, era iniziata alla fine degli anni '90 in un continente con economie vicine al tracollo e sommerse dai debiti, con larghi strati delle masse popolari ridotte in povertà; con i governi sottomessi alle politiche neoliberiste dettate dal Fondo monetario e dalla Banca mondiale, segnate da privatizzazioni selvagge, licenziamenti di massa, tagli alle spese sociali. Inizia col successo di Chavez alle elezioni presidenziali del 6 dicembre 1998, col consolidamento del governo della socialista Bachelet in Cile segnato dall'elezione di Lagos l'11 marzo 2000, con la prima elezione di Lula in Brasile il 27 ottobre 2002; con la vittoria di Néstor Carlos Kirchner in Argentina insediatosi il 25 maggio 2003, il primo dopo tre presidenti ad interim bruciati in poco più di due anni dalla rivolta popolare in seguito alla devastante crisi finanziaria della fine del 2001. Per registrare un'altra novità occorrerà arrivare all'1 marzo 2005 con la vittoria alle presidenziali uruguaiane del candidato della coalizione di "sinistra" Tabaré Vasquez. Gli Usa perdono il "cortile di casa" Il "cortile di casa" degli Usa, tenuto compatto anche dal giogo calato sul continente da Washington attraverso le dittature militari e successivamente dall'imposizione della politica neoliberista sotto il controllo di Fondo monetario e Banca mondiale, aveva perso i pezzi principali, i paesi economicamente più forti come Brasile, Venezuela e Argentina; l'imperialismo americano sul piano economico cercava di mantenere l'egemonia a tutela degli interessi delle proprie multinazionali sottoposti agli attacchi dei concorrenti, da quelli della superpotenza europea a quelli più recenti dell'emergente Cina, cercando di blindare il mercato latinoamericano attorno a accordi quali l'Area di libero commercio (Alca); l'Alca era stata pensata sotto la presidenza del vecchio Bush, lanciata nel 1994 dalla presidenza Clinton e alimentata dall'ultimo presidente Bush. Un progetto che al momento resta solo sulla carta. Le prime consistenti difficoltà erano emerse al vertice di Miami del novembre 2003 quando l'amministrazione Bush era costretta a prendere atto che per "garantire alle imprese nazionali il controllo del territorio che si estende dal polo Artico all'Antartide, senza nessun ostacolo e difficoltà per il libero accesso dei capitali, dei prodotti, dei servizi e della tecnologia statunitense in tutto l'emisfero'', come ebbe a dire l'allora segretario di Stato Colin Powell, poteva ricorrere solo alla stipula di accordi commerciali bilaterali; la definizione di un'intesa globale era rimandata. Gli accordi bilaterali con gli Usa saranno sottoscritti dalla Colombia del fedele alleato e reazionario Uribe, dal Cile e dal presidente peruviano Toledo quale ultimo atto prima della fine del suo mandato, accettato dal successore Alan Garcia secondo il quale sarebbe sufficiente rinegoziarne alcune parti. Il vertice del 2005 a Mar del Plata, in Argentina, per il rilancio dell'Alca si chiuderà con un completo fallimento con il padrone di casa Kirckner che attaccava direttamente gli Usa e il Fondo monetario internazionale anche per la loro responsabilità "ineludibile e imperdonabile" nel disastro sociale dell'America Latina. Dopo la lunga stagione delle privatizzazioni i nuovi governi della "sinistra" borghese, sotto la pressione delle mobilitazioni delle masse popolari, viravano verso le nazionalizzazioni; o meglio verso la ridefinizione delle concessioni di sfruttamento delle risorse nazionali alle società straniere in modo che almeno una parte degli introiti resti a disposizione del bilancio statale. La vittoria dell'uruguaiano Vazquez a fine 2004, la prima della "sinistra" borghese nei 174 anni di storia moderna del paese, era accompagnata dalla vittoria nei referendum sul mantenimento sotto lo stato del controllo delle risorse energetiche e delle risorse idriche. Controllo statale delle risorse naturali, nazionalizzazione del gas e dell'acqua saranno le principali richieste nella rivolta del popolo boliviano iniziata nel 2000, che porterà al successo di Morales nel 2006. E l'1 Maggio scorso Morales decretava la nazionalizzazione dei giacimenti di idrocarburi del paese, come promesso in campagna elettorale, con lo scorno delle compagnie petrolifere occidentali e della Petrobras di Lula che dovevano "accontentarsi" di nuovi contratti con imposte superiori al 50%. Il successo dell'ecuadoregno Correa è maturato su un programma che prevede rapporti più stretti con il Venezuela di Hugo Chavez, niente rinnovo dell'accordo sulla base di Manta usata dalle truppe Usa che scade nel novembre 2009. Correa ha inoltre assicurato che non firmerà il trattato di libero commercio con gli Usa perché danneggerebbe il suo paese e farà domanda per l'ingresso nel Mercosur. Da notare che già il presidente uscente Alfredo Palacios nel giugno scorso aveva cancellato il contratto della compagnia americana Occidental Petroleum, accusata di vendite irregolari, e il parlamento di Quito aveva deciso di elevare le imposte per le compagnie straniere dal 20% al 50%, come già fatto da Bolivia e Venezuela. Un altro segnale della caduta di consensi da parte dell'imperialismo americano nel continente si era registrato nell'aprile del 2005 allorché il socialista cileno José Miguel Insulsa veniva eletto segretario generale dell'Organizzazione degli Stati americani sconfiggendo il candidato Usa, che era l'ex presidente salvadoregno Francisco Flores; era la prima volta che gli Usa non riuscivano a eleggere un loro uomo alla guida dell'organizzazione. L'alleanza economica tra i principali paesi sudamericani si è consolidata il 4 luglio 2006 col Venezuela che è entrato nel Mercosur, il mercato comune del cono sud formato da Brasile, Argentina, Paraguay e Uruguay, con Cile e Bolivia membri associati. Tre mesi prima, Chavez aveva lasciato il Patto Andino, con Perù e Colombia, dopo la firma da parte dei due paesi degli accordi bilaterali con gli Usa. In alternativa all'Alca Venezuela e Cuba già nel 2004 avevano dato vita all'Alternativa Bolivariana per le Americhe (ALBA, in spagnolo Alternativa Bolivariana para América Latina y el Caribe), un progetto di cooperazione politica, sociale ed economica tra i paesi dell'America Latina e i paesi caraibici che sviluppava quello in atto tra i due paesi e che tra l'altro aveva rotto l'embargo petrolifero decretato dagli Usa contro il governo cubano; all'accordo ha aderito anche la Bolivia. Il legame di Chavez con Cuba e Fidel Castro era nato nel 1994 non appena l'ex tenente colonnello venezuelano era uscito di prigione per il golpe, fallito, di due anni prima e era stato invitato all'Avana a tenere una lezione su Simon Bolivar. Durante la recente malattia del leader cubano, Chavez è l'unico presidente straniero che lo ha potuto incontrare due volte; un segnale che potrebbe esser letto come un'investitura di Castro al suo possibile "erede" in America Latina. Certo è che il presidente venezuelano ambisce a tale ruolo; preso il controllo della società statale petrolifera (Pvdsa) e rinegoziati i contratti capestro con le società petrolifere straniere stipulati dai suoi predecessori, Chavez usa il petrolio e i suoi proventi per finanziare i programmi sociali del governo e per stringere alleanze. Ha tra l'altro firmato accordi per forniture di petrolio a prezzi preferenziali con paesi dell'America centrale e dei Caraibi per conquistare alleati in seno all'Organizzazione degli Stati americani e all'Onu, anche se ciò non gli è stato sufficiente per conquistarsi il posto in Consiglio di sicurezza nello scontro col candidato degli Usa, il Guatemala. Anche gli Usa però si sono dovuti arrendere e cedere alla candidatura di compromesso di Panama. Il "socialismo del XXI secolo" Chavez aveva vinto le presidenziali del 6 dicembre 1998 col 56% dei voti al termine di una campagna elettorale basata sul progetto di una nuova costituzione che potesse permettere una rifondazione del paese. In un Venezuela dove oltre l'87% della popolazione viveva in condizioni di povertà e circa il 47% di estrema povertà si conquistava il consenso della parte più povera della popolazione con la redistribuzione di una parte delle terre ai contadini, la destinazione di una parte dei proventi del petrolio per istruire e curare i poveri. Con la creazione di comitati di quartiere ai quali affidare la scelta delle priorità da realizzare con i fondi dei progetti sociali finanziati dal governo. Una politica indicata come modello di "democrazia partecipativa", già sperimentata in altre città del Brasile, dell'Argentina e dell'Uruguay, che al massimo arriva appunto all'obiettivo di una "redistribuzione della ricchezza nella società". Fra il 2004 e il 2005 Chavez dichiara che la "rivoluzione bolivariana" ha un carattere "socialista e antimperialista". Sul carattere antimperialista, in particolare contro l'imperialismo americano, parlano le iniziative internazionali del Venezuela. Anche se gli Usa restano il mercato di vendita che assorbe oltre i due terzi delle esportazioni di greggio del Venezuela e Chavez a un giornalista che gli chiedeva come andavano i rapporti con Bush rispondeva: "io non approvo il suo impero, lui non approva la mia rivoluzione cristiana ma siamo due petrolieri e gli affari non ne risentono". Quanto al carattere socialista, anzi al modello di "socialismo del XXI secolo" fioccano gli aggettivi che accompagnati alla parola socialismo alla fine stemperano nel riformismo sia pure presentato da "rivoluzionario". Nell'intervento al Social forum di Porto Alegre nel gennaio 2005 Chavez si era dichiarato favorevole a un "socialismo patriottico e democratico" che "deve essere umanista e deve mettere gli esseri umani e non le macchine in condizioni di superiorità nei confronti di tutto e di tutti", che è una visione interclassista della società. Nel saluto ai suoi sostenitori il 3 dicembre scorso ha ripetuto che il nostro sarà "un socialismo originale, indigeno, cristiano e bolivariano" di cui "nessuno deve avere paura". Tanto che gli obiettivi principali del suo secondo mandato presidenziale saranno la battaglia contro la corruzione e contro la burocrazia nella pubblica amministrazione. D'altra parte già in una intervista del 2004 aveva precisato che "non credo ai dogmi della rivoluzione marxista. Non penso affatto che stiamo vivendo in un'epoca di rivoluzioni proletarie. Tutto questo deve essere ripensato. (...) Stiamo andando verso l'abolizione della proprietà privata e della società di classe in Venezuela? Non credo". Infatti il governo di Chavez non mette in discussione la proprietà privata e lascia sostanzialmente libera negli affari la classe borghese nazionale. Il "socialismo del XXI secolo" non è socialismo e potere del proletariato. Considerando le numerose invocazioni religiose, "Dio sta con la rivoluzione", e le citazioni della Bibbia nei discorsi di Chavez forse sarebbe più appropriato parlare di "socialismo cristiano del secolo XXI". Quindi socialismo a parole e capitalismo, riformismo e cristianesimo nei fatti. 4 dicembre 2007 |