120° anniversario del secondo partito mondiale del proletariato La II Internazionale terreno di scontro tra marxisti e revisionisti L'attività della II Internazionale si inaugura con il Congresso internazionale socialista di Parigi del 14 luglio 1889. Vi presero parte delegati dei Partiti di Germania, Russia, Francia, Belgio, Austria, Italia, Spagna, Olanda, Svezia, Romania, Norvegia, Danimarca, Polonia, Cechi, Ungheria, Bulgaria, America del nord. In precedenza era esistita l'Associazione internazionale degli operai, la I Internazionale, sulla base della costituzione delle sezioni sviluppatesi in Germania, Francia, Belgio e Svizzera tra il 1864 ed il 1867. L'attività della I Internazionale (1866-1872) si era sviluppata attraverso lo svolgimento di cinque congressi: Ginevra 1866, Losanna 1867, Bruxelles 1868, Basilea 1869, e l'Aia 1872. I fondatori del socialismo scientifico, Marx ed Engels, lottarono con energia e perseveranza per creare e rendere solida l'unità della classe operaia in ciascun paese e l'alleanza internazionale del proletariato, indicando ad esso, attraverso il "Manifesto del Partito Comunista", la strada del suo riscatto, della sua emancipazione e del ruolo storico che ad esso compete. Il proletariato con la sua ideologia, il socialismo scientifico, entrava prepotentemente nella storia; ponendosi come il principale antagonista della borghesia e come classe dirigente fautrice del nuovo ordine sociale ed economico che segnerà lo sviluppo più importante nella storia dell'umanità. Fu una battaglia ardua che sconfisse in maniera definitiva le vecchie concezioni del "socialismo utopico", ma che dovette scontrarsi anche con nuove "teorie" che tentarono di osteggiare il marxismo all'interno stesso dell'organizzazione internazionale socialista, cercando di minare i principi e gli obiettivi che l'Internazionale si era data. Bakunin, allora principale esponente dell'anarchismo, con ogni mezzo tentò di dividere la classe operaia e di portare alla scissione l'Internazionale attaccando pesantemente Marx, anche sul piano personale, uscendo sconfitto in modo definitivo e senza appello nello scontro politico che lo oppose all'Internazionale che lo espulse dalle sue file del congresso dell'Aia del 1872. L'esperienza più importante a cui portò l'attività dell'Internazionale di Marx ed Engels fu la "Comune di Parigi", attraverso cui si concretizzò il primo tentativo di dare vita ad uno Stato della classe operaia e dei lavoratori. La II Internazionale agì all'interno di una situazione in costante e significativo mutamento sia sul piano economico che su quello politico, caratterizzato soprattutto dallo sviluppo della tecnologia industriale e delle tecniche di produzione, dall'estendersi dell'industrializzazione accompagnata dalla comparsa di nuove figure professionali operaie legate a questo sviluppo (si pensi alle industrie meccaniche, dei trasporti, dell'estrazione e della lavorazione delle vecchie e nuove fonti energetiche); dalla progressiva concentrazione capitalistica e dall'inizio dell'espansione imperialistica. La II Internazionale fu diretta da Engels fino alla sua scomparsa nel 1895. Engels nella II Internazionale svolse un'opera insostituibile e meritoria di orientamento ideologico e politico, ma anche un'attività organizzativa costante e infaticabile volta alla costruzione, nei singoli paesi, delle organizzazioni e dei partiti socialisti della classe operaia. La sua influenza fu determinante per la formazione di radicati partiti socialdemocratici (come si chiamavano allora i partiti comunisti) in Germania, in Francia, in Inghilterra, in Russia, in Olanda e Belgio oltre che in Spagna, Italia e Austria. Così come la sua influenza fu decisiva e chiarificatrice sia per quanto riguardava le alleanze di classe del proletariato, prima fra tutte quella con i contadini, che nella difesa del marxismo contro le tendenze che si presentavano nel contesto socialdemocratico e che puntavano al codismo e al collaborazionismo con la borghesia. Engels era anche il Segretario per l'Italia. Il marxismo è sempre stato duramente combattuto dalla borghesia. Ciò non è solo comprensibile, ma è del tutto naturale, dato che la teoria scientifica rivoluzionaria creata da Marx ed Engels e poi sviluppata da Lenin, Stalin e Mao è l'unico strumento realmente necessario ed indispensabile alla classe operaia per giungere a costituire, in virtù dello sviluppo economico, il suo nuovo ordine sociale in sostituzione del regime borghese. Fin da quando è nato il socialismo scientifico (oggi marxismo-leninismo-pensiero di Mao) è stato sempre definito dalla filosofia, dalla scienza e dall'ideologia borghesi come una teoria ed una pratica morta e sepolta. Ma, come affermato da Lenin, "anche fra le dottrine legate alla lotta della classe operaia, e diffuse prevalentemente in seno al proletariato, il marxismo non ha affatto conquistato di colpo le sue posizioni" e, come dimostra la storia passata e presente, esso ha bisogna per la sua affermazione di una lotta costante, quanto ferma e decisa, a difesa dei suoi principi e delle sue specifiche peculiarità, contro il revisionismo. Revisionismo che proprio nella II internazionale ha visto i suoi albori, tramite le teorie riformiste e parlamentariste di Bernstein e Kautsky. Lenin e la II Internazionale Dopo la morte di Engels, Lenin è stato, all'interno della II Internazionale, colui il quale, più di ogni altro, ha difeso in maniera strenua, ferma e vittoriosa il marxismo dalle manipolazioni, dalle pseudo interpretazioni e dagli attacchi portati contro di esso dall'opportunismo e dal revisionismo, arricchendolo e sviluppandolo nella nuova epoca dell'imperialismo e della rivoluzione proletaria. Scrive Lenin in "Marxismo e Revisionismo": "La rinnovata organizzazione internazionale del movimento operaio - sotto la forma di congressi internazionali periodici - si è posta subito e quasi senza lotta sul terreno del marxismo in tutte le questioni essenziali. Ma, non appena il marxismo ha soppiantato tutte le dottrine a esso ostili, dotate di qualche consistenza, le tendenze che trovavano espressione in queste dottrine hanno preso a ricercare altre strade. Le forme e i pretesti della lotta sono cambiati, ma la lotta è continuata. E il secondo cinquantennio di vita del marxismo ha avuto inizio (negli anni novanta) con la lotta di una corrente ostile al marxismo in seno al marxismo stesso. L'ex marxista ortodosso Bernstein ha dato il nome a questa corrente, perché ha fatto più rumore e formulato più organicamente le correzioni da apportare a Marx, la revisione di Marx, il revisionismo. (...) Il socialismo premarxista è sconfitto. Esso prosegue la lotta non più sul suo proprio terreno, ma sul terreno generale del marxismo, come revisionismo. Vediamo dunque quale sia il contenuto ideale del revisionismo. Nel campo della filosofia il revisionismo si è messo a rimorchio della 'scienza' professorale borghese. I professori 'ritornano a Kant', e il revisionismo si trascina sulle orme dei neokantiani; i professori ripetono le trivialità pretesche, rimasticate mille volte, contro il materialismo filosofico, e i revisionisti, sorridendo in tono di condiscendenza, borbottano (...) che il materialismo è stato già 'confutato' da un pezzo; i professori trattano Hegel come un 'cane morto' e, predicando essi stessi l'idealismo, ma un idealismo mille volte più meschino e triviale di quello hegeliano, stringono le spalle con disprezzo davanti alla dialettica, e i revisionisti strisciano sulle loro orme nel pantano dell'involgarimento filosofico della scienza, sostituendo alla dialettica 'sottile' (e rivoluzionaria) la 'semplice' (e pacifica) 'evoluzione'; (...) Nel passare all'economia politica bisogna anzitutto osservare che in questo campo le 'correzioni' dei revisionisti sono state assai più varie e circostanziate. Ci si è sforzati di influire sul pubblico con i 'nuovi dati dello sviluppo economico'. Si è detto che la concentrazione della produzione e la sostituzione della grande alla piccola produzione non avvengono affatto nel campo dell'agricoltura e avvengono con estrema lentezza nel campo del commercio e dell'industria. Si è detto che le crisi sono oggi divenute più rare, meno acute, e che con molta probabilità i trusts e i cartelli daranno al capitale la possibilità di eliminarle del tutto. Si è detto che la 'teoria del crollo' verso cui marcia il capitalismo è una teoria inconsistente, perché le contraddizioni di classe tendono ad attenuarsi, ad attutirsi. (...) Le argomentazioni dei revisionisti sono state analizzate con i fatti e le cifre alla mano. Si è dimostrato che i revisionisti idealizzano sistematicamente la piccola produzione moderna. Il fatto della superiorità tecnica e commerciale della grande produzione sulla piccola, non solo nell'industria ma anche nell'agricoltura, è attestato da dati inconfutabili. Ma nell'agricoltura la produzione di merci è sviluppata molto più debolmente, e i moderni economisti e statistici non sanno in genere mettere in evidenza quei settori (e talora persino quelle operazioni) speciali dell'economia agricola da cui risulta che l'agricoltura viene attratta progressivamente nell'orbita degli scambi economici mondiali. (...) Ogni progresso della scienza e della tecnica scalza in modo inevitabile e inesorabile le fondamenta della piccola produzione nella società capitalistica, e l'economia politica socialista ha il compito di analizzare questo processo in tutte le sue forme, spesso intricate e confuse, ha il compito di dimostrare al piccolo produttore che gli è impossibile resistere in regime capitalistico, che l'economia contadina non ha sbocchi in questo regime e che il contadino deve porsi di necessità sulle posizioni del proletario. In questa questione i revisionisti peccano sotto il profilo scientifico, perché generalizzano superficialmente dei fatti isolati, avulsi dalla connessione con tutto il regime capitalistico, e peccano sul piano politico, perché incitano inevitabilmente, lo vogliano o no, il contadino o lo spingono a fare proprie le posizioni del proprietario (cioè della borghesia), invece di spingerlo verso le posizioni del proletariato rivoluzionario. Le cose sono andate anche peggio per i revisionisti riguardo alla teoria delle crisi e alla teoria del crollo (...) La realtà ha mostrato ben presto ai revisionisti che le crisi non avevano fatto il loro tempo: alla prosperità è subentrata la crisi. Sono cambiate le forme, l'ordine di successione, la fisionomia delle singole crisi, ma le crisi continuano ad essere parte integrante del regime capitalistico. I cartelli e i trusts, mentre hanno unificato la produzione, ne hanno accentuato al tempo stesso, e sotto gli occhi di tutti, l'anarchia, aggravando l'insicurezza del proletariato e l'oppressione del capitale e inasprendo così oltre ogni limite le contraddizioni di classe. Che il capitalismo proceda verso il crollo - sia nel senso delle singole crisi politiche ed economiche che nel senso della catastrofe completa di tutto il regime capitalistico - l'hanno dimostrato con singolare evidenza e in dimensioni particolarmente ampie i giganteschi trusts contemporanei. La recente crisi finanziaria in America, il terribile aggravarsi della disoccupazione in tutt'Europa, per non parlare dell'imminente crisi industriale, annunciata da molti sintomi, tutto questo ha fatto sì che le recenti 'teorie' dei revisionisti venissero dimenticate da tutti e, a quanto sembra, persino da molti revisionisti. L'importante è di non dimenticare gli insegnamenti che questa instabilità propria degli intellettuali ha dato alla classe operaia (...) Sul piano politico il revisionismo ha tentato di rivedere il fondamento reale del marxismo, la dottrina della lotta di classe. La libertà politica, la democrazia, il suffragio universale, ci è stato detto, distruggono le basi stesse della lotta di classe e confutano la vecchia tesi del Manifesto comunista secondo cui gli operai non hanno patria. In regime di democrazia, dove domina la 'volontà della maggioranza', non si può più considerare lo Stato come un organo del dominio di classe e non ci si può più sottrarre all'alleanza con la borghesia progressista, propugnatrice di riforme sociali, contro i reazionari. È incontestabile che queste obiezioni dei revisionisti danno vita a un sistema abbastanza organico di idee, cioè al sistema già noto da un pezzo delle concezioni liberali borghesi. I liberali hanno sempre sostenuto che il parlamentarismo borghese distrugge le classi e la divisione in classi, perché tutti i cittadini senza distinzione hanno diritto al voto, hanno diritto di partecipare agli affari dello Stato". "Concezioni assurde" afferma Lenin! E, continua: "Con la libertà del capitalismo 'democratico' le differenze economiche non si attenuano, ma si accentuano e si inaspriscono. Il parlamentarismo non elimina ma mette a nudo l'essenza delle repubbliche borghesi più democratiche come organi dell'oppressione di classe. (...) Chi non comprende l'inevitabile dialettica interna del parlamentarismo e della democrazia borghese, che porta a risolvere i conflitti ricorrendo a forme sempre più aspre di violenza di massa, non saprà mai condurre nemmeno sul terreno del parlamentarismo un'agitazione e una propaganda di principio, che preparino realmente le masse operaie a partecipare vittoriosamente a questi 'conflitti'. L'esperienza delle alleanze, degli accordi e dei blocchi con il liberalismo socialriformistico in Occidente e con il riformismo liberale (cadetti) nella rivoluzione russa ha dimostrato persuasivamente che questi accordi possono solo annebbiare la coscienza delle masse, non accentuando ma attenuando il significato reale della loro lotta, legando i combattenti agli elementi più inetti alla lotta, più instabili e inclini al tradimento. (...) Il naturale coronamento delle tendenze economiche e politiche del revisionismo è stato il suo atteggiamento verso l'obiettivo ultimo del movimento socialista. 'Il fine è nulla, il movimento è tutto': queste alate parole di Bernstein esprimono meglio di tante lunghe disquisizioni l'essenza del revisionismo. Determinare la propria linea di condotta caso per caso; adattarsi ai fatti del giorno e alle svolte dei piccoli fatti politici; dimenticare gli interessi fondamentali del proletariato e i tratti essenziali di tutto il regime capitalistico, di tutta l'evoluzione del capitalismo; sacrificare questi interessi fondamentali ai reali o presunti vantaggi del momento; ecco la politica revisionistica. Dalla sostanza stessa di questa politica risulta chiaramente che essa può assumere forme infinitamente varie e che ogni problema in qualche misura 'nuovo', ogni svolta più o meno inattesa e imprevista, pur se modifica in misura infima e per un periodo assai breve il corso fondamentale degli eventi, deve suscitare inevitabilmente questa o quella variante del revisionismo. Il revisionismo è reso inevitabile dalle sue radici di classe nella società moderna. Il revisionismo è un fenomeno internazionale. (...) La 'divisione' in seno al socialismo internazionale del nostro tempo già oggi si produce in sostanza secondo una linea unica nei diversi paesi, attestando così l'immenso progresso realizzato rispetto a trenta o quarant'anni fa, quando nei diversi paesi lottavano tra loro in seno al socialismo internazionale unico tendenze eterogenee. Anche il 'revisionismo di sinistra', che si è delineato oggi nei paesi latini come 'sindacalismo rivoluzionario', si adatta al marxismo 'correggendolo': (Arturo, ndr) Labriola in Italia, Lagardelle in Francia si richiamano senza tregua a un Marx ben compreso contro un Marx male inteso. Non possiamo indugiare qui sull'analisi del contenuto ideale di questo revisionismo, che è ancora ben lontano dall'essersi sviluppato come il revisionismo opportunistico, che non è ancora diventato un fenomeno internazionale, che non ha ancora affrontato nessuna battaglia pratica importante con il partito socialista in nessun paese. Ci limiteremo quindi a parlare del 'revisionismo di destra' che abbiamo descritto sopra. Che cosa rende inevitabile il revisionismo nella società capitalistica? Perché esso è più profondo delle particolarità nazionali e dei gradi di sviluppo del capitalismo? Perché in ogni paese capitalistico, accanto al proletariato, esistono sempre larghi strati di piccola borghesia, di piccoli proprietari. Il capitalismo è nato e nasce continuamente dalla piccola produzione. Tutta una serie di 'strati intermedi' viene creato immancabilmente dal capitalismo (appendici della fabbrica, lavoro a domicilio, piccoli laboratori che sorgono in tutto il paese per sovvenire alle necessità della grande industria, di quella automobilistica e delle biciclette, per esempio). Questi nuovi piccoli produttori vengono inevitabilmente respinti nelle file del proletariato. È quindi assolutamente naturale che le concezioni piccolo-borghesi penetrino di nuovo nelle file dei grandi partiti operai. È assolutamente naturale che così debba avvenire e avvenga sino allo sviluppo della rivoluzione proletaria, perché sarebbe un grave errore pensare che per compiere questa rivoluzione sia necessaria la 'completa' proletarizzazione della maggioranza della popolazione. Ciò che noi sperimentiamo oggi soltanto sul piano ideale, le polemiche contro gli emendamenti teorici a Marx, ciò che si manifesta oggi nella pratica solo a proposito di certi problemi particolari del movimento operaio, le divergenze tattiche con i revisionisti e le scissioni che si producono su questo terreno, tutto questo la classe operaia dovrà subirlo immancabilmente e in proporzioni infinitamente più grandi quando la rivoluzione proletaria avrà acuito tutte le questioni controverse, concentrato tutte le divergenze sui punti che assumono un significato nel determinare la linea di condotta delle masse e imposto, nel fuoco della lotta, di discernere i nemici dagli amici, di respingere i cattivi alleati per vibrare al nemico colpi decisivi. La lotta ideale del marxismo rivoluzionario contro il revisionismo alla fine del secolo XIX è soltanto il preludio delle grandi battaglie rivoluzionarie del proletariato, che avanza verso la vittoria completa della sua causa, nonostante tutti i tentennamenti e le debolezze della piccola borghesia". (Lenin: Marxismo e Revisionismo - Opere complete, vol. XV, pagg. 26-33) Lo scoppio della prima guerra mondiale porterà le contraddizioni tra marxisti e revisionisti ad un livello insanabile. La scelta interventista dei revisionisti e opportunisti, a difesa degli interessi nazionali borghesi delle rispettive alleanze imperialistiche, farà cadere definitivamente la maschera al revisionismo che si dimostrerà per quello che in realtà è: parte integrante del sistema borghese imperialistico e suo strumento principale di divisione e di scissione del proletariato. La prima guerra mondiale e la scelta di campo dei revisionisti portarono al crollo vergognoso della II Internazionale. Nonostante ciò l'azione di Lenin, l'affermarsi della Grande Rivoluzione socialista d'Ottobre in Russia e l'affermarsi del marxismo-leninismo in seno al proletariato internazionale, permisero ad esso di continuare sulla strada gloriosa tracciata da Marx ed Engels, dando vita alla III Internazionale, l'Internazionale comunista. 29 luglio 2009 |