Siglato il "patto sull'apprendistato" tra governo, regioni, associazioni padronali e sindacati, compresa la CGIL L'apprendistato come contratto d'ingresso al lavoro per tutti i giovani a meno salario e meno diritti Costituisce un ulteriore tassello non secondario della "riforma" liberista del "mercato del lavoro", per lo più già realizzata. Eppure è passato quasi inosservato il "patto sull'apprendistato" sottoscritto al Ministero del lavoro il 27 ottobre scorso tra governo, regioni, associazioni delle imprese e sindacati, compresa la CGIL che ha come scopo di rilanciarlo in grande nelle tre tipologie previste dalla legge, per farne il principale, se non l'unico, contratto d'ingresso al lavoro dei giovani. Un patto, questo, che segue di poco l'approvazione definitiva in parlamento del "Collegato-lavoro" che, tra l'altro, prevedeva la possibilità di svolgere l'ultimo anno della scuola dell'obbligo (che va dai 15 ai 16 anni) in un impiego di apprendistato nelle aziende. Un patto voluto fortemente dal ministro berlusconiano del Welfare, Maurizio Sacconi, ispirato dalle teorizzazioni liberiste e filopadronali di Marco Biagi e dalla legge 30/2003 di "riforma" del mercato del lavoro. Ciò in applicazione di un'intesa raggiunta tra gli stessi soggetti il 17 febbraio scorso contenente le linee guida per la formazione e il rilancio dell'apprendistato. In premessa l'intesa siglata a fine ottobre lamenta la drastica contrazione del numero dei contratti di apprendistato attivati nello scorso anno (dai 645.958 del 2008 si è passati ai 567.843 del 2009 con una riduzione di ben 78.144 unità) unitamente a un preoccupante incremento dei tassi di disoccupazione giovanile che risultano tra i più alti in Europa, ed evidenzia che sono poco meno del 20 per cento gli apprendisti che ricevono una qualche formazione. Ciò è dovuto, afferma, da un lato alla crisi economica e finanziaria ancora in atto e, dall'altro, alla complessità della normativa, alla mancanza di chiarezza sulle competenze ripartite tra Stato, regioni e "parti sociali" ed anche "per la concorrenza di strumenti non sempre correttamente utilizzati", come gli stage, i tirocini, i contratti di collaborazione a progetto. Come si supera la forte carenza formativa riscontrata nell'apprendistato praticato sin qui? Con "una maggiore valorizzazione della componente della formazione aziendale - è scritto nel patto - e un maggiore coinvolgimento delle parti sociali e della bilateralità". Come rilanciare e sviluppare l'utilizzo dell'apprendistato? Proseguire il confronto, è la risposta, in questo tavolo tripartito (governo, regioni "parti sociali") per definire la "riforma" dell'apprendistato sulla base delle linee guida suddette. Nella fase di transizione, le parti hanno concordato di confermare, in applicazione dell'art. 49 del decreto legislativo 276/03 (cosiddetta legge Biagi) la funzione surrogatoria dei contratti collettivi nazionali di lavoro e degli accordi interconfederali là dove la regione non abbia regolamentato la materia. Ricapitolando. I sottoscrittori del patto si impegnano a rilanciare l'apprendistato in modo da farne il contratto tipico d'ingresso al lavoro per i giovani, con meno salario e meno diritti, in cambio, sulla carta, di formazione professionale. Una sorta di "Contratto di primo impiego" proposto tempo fa in Francia e respinto a seguito di una dura lotta di massa. Nei 12 mesi di transizione sarà applicato quanto stabilito dalla legge 30, poi tramutata in decreto legislativo 276/03, e dalla legge 133 che tra le altre cose hanno ampliato l'età dei giovani ai quali può essere applicato il contratto dell'apprendistato che può arrivare fino 29 anni, e la durata di esso che può arrivare fino a ben sei anni. Mentre la "riforma" da realizzare viaggia su due capisaldi che sono: la prevalenza, se non la totalità, della formazione professionale da fare nell'azienda dove il giovane è "assunto", che comporta il disimpegno delle istituzioni in questo importante settore della formazione; e la bilateralità nella gestione dell'istituto tra imprese e sindacati. È un percorso, questo, tutto a favore delle aziende. E si configura come un contratto di supersfruttamento, sottoinquadrato, sottopagato senza nemmeno la garanzia dell'assunzione a tempo indeterminato. Un contratto che non garantirà i diritti sindacali: difficilmente, infatti un apprendista si azzarderà a candidarsi per essere eletto come delegato, oppure parteciperà agli scioperi senza esporsi alla rappresaglia padronale. Quanto alla formazione professionale è da vedere se le aziende la faranno davvero e con quale qualità, data l'estrema difficoltà di effettuare controlli nel concreto. Scontati i pareri positivi dei rappresentanti dei sindacati complici, CISL e UIL, che ormai non fanno più notizia. Da sottolineare negativamente è invece l'appoggio dato dalla CGIL, sia pure con qualche distinguo più formale che reale, che rappresenta un cedimento oggettivo all'impostazione neocorporativa e filopadronale del ministro Sacconi. 24 novembre 2010 |