Nella sede della Procura generale militare Un secondo armadio della vergogna L'archivio nasconde i crimini compiuti dai fascisti nei balcani Fare piena luce e giustizia A Roma, palazzo Cesi, dove si trova la Procura generale militare, c'è un altro archivio che nasconde gli orrori delle camicie nere mussoliniane. Il primo, rinvenuto nel 1994, conteneva i fascicoli dei massacri commessi in Italia dai nazifascisti, tra l'8 settembre del 1943 e il 25 Aprile del 1945, dove venivano enumerati 2.274 crimini contro civili disarmati, perlopiù bambini donne e vecchi, di cui solo due (strage di Marzabotto e strage delle Fosse Ardeatine) sono arrivati a processo. A quanto pare il "secondo armadio della vergogna" documenta i crimini commessi nei Balcani ma sul grosso dei fascicoli c'è il timbro "segreto", "riservato", apposto su ogni pagina. Come si accertò, a suo tempo per il carteggio dei ministri Martino e Taviani che nel 1956 decisero di bloccare l'inchiesta sugli assassini di Cefalonia in quanto per "la costituzione dell'Alleanza atlantica", scrivono i deputati: "si ritenne politicamente inopportuno iniziare processi per crimini di guerra che avrebbero messo in crisi l'immagine della Germania". Allora, quando il Consiglio della magistratura militare (Cmm) condusse l'indagine sul ritrovamento di quei fascicoli, ci vollero ben tre anni di continue, reiterate e pressanti sollecitazioni per arrivare alla desecretazione. La scoperta del secondo armadio la si deve al procuratore militare di Padova Sergio Dini, in collaborazione col giornalista Franco Giustolisi, i quali portarono a un'inchiesta interna del Cmm che stabilì: è stato il potere politico a imporre ai magistrati militari, allora soggetti alle varie sfere governative, il silenzio della giustizia, della storia, della memoria. Oggi la parola passa al ministro fascista della difesa La Russa, che dovrà vedersela con le storie dei militari italiani, i comandanti specialmente, che obbedendo agli ordini di Mussolini, compirono in Grecia, Albania, Jugoslavia, Unione Sovietica, gli eccidi più efferati che si conoscano, tanto da "guadagnarsi" dai fascisti di allora il titolo di "campioni del mondo", primi addirittura rispetto ai nazisti e alle SS. Basti ricordare le circolari del generale Roatta, nei Balcani, che ordinava di ripagare "testa per dente", e del generale Geloso che in Grecia imponeva di dare fuoco ai villaggi da cui partivano gli attentati e di fucilare senza tanti distinguo gli ostaggi che capitavano a tiro. Gli archivi segretati potrebbero far luce sulle efferatezze compiute nei teatri di guerra aperti dal fascismo alla ricerca sciagurata di nuove terre, soprattutto potrebbero far luce laddove le commissioni parlamentari d'inchiesta come quella presieduta da Luigi Gasparotto non sono arrivate. Gasparotto, il cui figlio Leopoldo era stato assassinato insieme ad altri 71 antifascisti, da fascisti e nazisti nel lager di Fossoli, nei pressi di Carpi, oltre ai casi di Roatta e Geloso esaminò il comportamento del generale Robotti, quello che sbraitava con i suoi uomini: "qui se ne uccidono troppo pochi"; del generale Gambara che spiegava ai sottoposti "campo di concentramento non significa campo di ingrassamento"; del generale Pirzio Biroli che in Etiopia faceva buttare nel lago Tana i capi tribù con una pietra legata al collo. E ancora, altri generali: Magaldi, Caruso, Sorrentino, Piazzoni, Baistrocchi. Ma anche molti ufficiali di grado inferiore che andavano proclamando: "quelli", che fossero sloveni, greci, albanesi, eccetera, andavano "uccisi senza pietà". Fu l'infame "ragion di Stato", in nome del recupero della Germania all'alleanza occidentale nel quadro della "guerra fredda'' contro l'Unione Sovietica di Stalin, che portò all'occultamento di moltissimi processi. Uno di essi è però tornato ora di attualità: la strage di Cefalonia, nel settembre 1943, per cui morirono oltre 6.500 tra soldati ed ufficiali italiani. L'istruttoria fu compiuta nel 1945, ma il processo non venne mai celebrato. L'Italia, governata dalla DC, negli anni Cinquanta evitò di perseguire molti criminali nazisti per non danneggiare i rapporti politici con la Germania, alleata in seno alla Nato. I fascicoli più scottanti finirono nell'armadio con la dicitura, assolutamente inventata, di archiviazione provvisoria. Occorre battersi per fare piena luce sui nuovi fascicoli "ritrovati" per rendere giustizia e consegnare ai superstiti e ai parenti e vittime tutti i nomi e cognomi dei criminali in camicia nera, occorre altresì respingere risolutamente il nero disegno nazionalista, patriottardo, neofascista e interventista che mira a cancellare la memoria antifascista su quei fatti. 9 luglio 2008 |