La procura di Palmi manda alla sbarra i nuovi schiavisti Arrestati gli sfruttatori dei migranti di Rosarno 21 imprenditori e 9 caporali in manette, accusati di associazione a delinquere per lo sfruttamento della manodopera Il 26 aprile, a tre mesi dalla barbarie di Rosarno fomentata dalla 'ndrangheta e terminata con la disperata fuga degli immigrati dal paese calabrese al culmine di una feroce caccia all'africano durata due giorni, la procura di Palmi ha ordinato l'arresto di 21 imprenditori agricoli di Rosarno e 9 caporali di origine straniera che agivano nella Piana di Gioia Tauro tutti accusati di associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento della manodopera clandestina e alla truffa. Nel corso dell'operazione denominata "Migrantes" sono state sequestrate anche 20 aziende e 200 terreni, per un valore complessivo di circa dieci milioni di euro, e sono state scoperte anche numerose truffe nei confronti degli enti previdenziali. Tutto ciò grazie alle coraggiose testimonianze rese dai migranti di Rosarno che, dopo la rivolta del 7 gennaio scorso, hanno cominciato a denunciare agli inquirenti le bestiali condizioni di sfruttamento a cui venivano sottoposti, la procura di Palmi ha riempito 421 pagine di verbali che ricostruiscono le storie agghiaccianti di migliaia di giovani africani ridotti in schiavitù, sfruttati come bestie da soma dall'alba al tramonto in cambio di 20 miserabili euro al giorno; taglieggiati e vessati dai caporali, costretti a vivere in condizioni igienico sanitarie a dir poco bestiali, senza acqua corrente, luce, gas né servizi igienici; ammassati in capannoni fatiscenti di ex fabbriche dismesse, aggrediti, minacciati, intimiditi, picchiati e derubati dai boss della criminalità organizzata. A dare il via all'inchiesta una quindicina di immigrati che, in cambio della loro preziosa collaborazione hanno ottenuto un permesso di soggiorno per motivi di giustizia, soprattutto perché hanno contribuito a ricostruire nei tre mesi di indagini il criminale sistema di sfruttamento a cui venivano sottoposti almeno 500-600 lavoratori. Ogni caporale, si legge nell'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari (Gip) Silvia Capone: "gestisce dai 20 ai 30 immigrati" messi a lavorare in circa 20 aziende di agrumeti: "Sono gli intermediari a prelevare ed a pagare i lavoratori. I caporali si presentano come dei veri e propri padroni senza legge dietro i quali vi sono imprenditori dell'agricoltura di piccoli e grandi appezzamenti terrieri che, dovendo assumere personale stagionale per la raccolta nei campi, preferiscono scegliere la 'scorciatoia' del caporale che, spesso, è un soggetto di nazionalità straniera che proviene dalla stessa area geografica delle persone sfruttate". In questo caso: 4 marocchini, un sudanese, due egiziani e due algerini. Coinvolte anche due donne: Rokawska, una bulgara di 54 anni che ogni mattina guidava il camion per i trasferimenti, e Maria Mangano detta Pia, vicepresidente della cooperativa Citrus. La giornata lavorativa inizia alle prime luci dell'alba e termina al tramonto. "La paga - si legge ancora nell'ordinanza del Gip - varia in base alle imposizioni dell'intermediario ed oscilla intorno ai 25 euro al giorno, 1 euro a cassetta per i mandarini e 50 centesimi a cassetta per le arance. Dalla cifra complessiva bisognava detrarre 3 euro per il trasferimento trattenute dal caporale". Il titolare dell'azienda agricola paga 30-35 euro al giorno. La differenza, circa dieci euro, va ai caporali. I quali, a volte, "neppure volevano pagare e sottraevano le cassette di prodotto raccolto in modo da dover pagare molto meno". Bulgari e rumeni "sfruttano anche i minori". E comunque "tutti i caporali si conoscono tra di loro e fanno blocco quando qualche lavoratore crea problemi assoggettandoli totalmente al loro potere". A carico degli arrestati ci sono anche le intercettazioni di numerose telefonate. Fra queste, molto significativa è quella fatta dalla Mangano al caporale Mohammed Fethani il 10 febbraio scorso, pochi giorni dopo l'inferno di Rosarno, in cui la vicepresidente della cooperativa Citrus ordina: "A mezzogiorno mi servono due ragazzi. Portami i più bravi, portali tu perché il camion arriva dopo. Però stai attento ai controlli. E non li lasciare mai soli". Di fronte a ciò risulta a dir poco incredibile pensare che schiavisti e caporali possano aver messo in piedi una simile organizzazione senza il via libera dei capobastone 'ndrangehtisti. Anche se, come pare, nessuno degli arrestati, pur vantando altri precedenti penali, è riconducibile al clan dei Bellocco-Pesce, le due famiglie legate alla 'ndrangheta che controllano questo comune calabrese. A crederlo è solo il ministro fascio-leghista Maroni che all'indomani degli incidenti disse che "quanto accaduto a Rosarno è solo il frutto della troppa tolleranza verso gli immigrati" mentre oggi, nonostante il suo infame giudizio sia stato ampiamente smentito dai risultati dell'inchiesta dalla procura di Palmi che tra l'altro ha accertato che: "dopo i giorni della rivolta, a Rosarno gli imprenditori indagati avevano ricominciato a sfruttare gli immigrati come se nulla fosse accaduto" egli, con perfetta faccia di bronzo, ha cambiato leggermente versione attribuendo la responsabilità di quei fatti ai soli caporali stranieri, tralasciando il ruolo avuto nello sfruttamento degli immigrati dagli imprenditori locali e dalla 'ndrangehta. Insomma si fa finta di non vedere che gli arresti di Rosarno sono solo la punta di un iceberg e colpiscono la grande criminalità organizzata calabrese solo in piccola parte. Del resto basta pensare che, secondo le stime dell'Istituto Demoskopika, nell'ultimo decennio gli immigrati sbarcati sulle coste della piana di Gioia Tauro sono stati oltre 19mila. Questa manodopera a basso costo è stata regolarmente sfruttata dalla 'ndrangheta calabrese e ha prodotto un giro d'affari di circa 290 milioni di euro. 5 maggio 2010 |