Sodalizio teso a condizionare gli organi costituzionali e l'amministrazione
(Biografia di Carboni) Arrestato Carboni per associazione a delinquere e segreta. Indagati Verdini, Dell'Utri e Cosentino In manette anche l'ex DC Lombardi e l'imprenditore Martino. Coinvolti il sottosegretario alla Giustizia Caliendo, il governatore della Lombardia Formigoni, il capo degli ispettori di Alfano, Miller, più tutta una serie di alte cariche della magistratura. Napolitano blocca la discussione in CSM sui magistrati coinvolti, tra cui forse lo stesso vicepresidente Mancino Berlusconi: "La P3? un polverone. sono solo quattro pensionati sfigati" Il 9 luglio, su disposizione della procura di Roma, i carabinieri hanno proceduto all'arresto del noto "faccendiere" piduista Flavio Carboni, del giudice tributarista, ex DC dell'allevamento di De Mita ed ex sindaco di Cervinara, Pasquale Lombardi, e dell'imprenditore napoletano Arcangelo Martino. Nell'ordinanza di 60 pagine firmata dal procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e dal pm Sabelli e convalidata dal Gip De Donato, si legge che i tre, già indagati dalla stessa procura anche per corruzione e abuso d'ufficio insieme al coordinatore nazionale del PDL Denis Verdini, al senatore Marcello Dell'Utri, al governatore della Sardegna Ugo Cappellacci ed altri in merito alle tangenti per l'affare dell'eolico in Sardegna, avevano costituito un'associazione a delinquere che con la corruzione, l'abuso d'ufficio, la diffamazione e la violenza privata mirava a condizionare "il funzionamento di organi costituzionali e di rilevanza costituzionale", oltreché di "apparati della pubblica amministrazione dello Stato e degli enti locali". In pratica, secondo la lunga indagine dei carabinieri che deriva da una costola di quella sull'eolico in Sardegna, e che si avvale di ben 1500 pagine di intercettazioni telefoniche, gli arrestati avevano costituito un'associazione segreta, a cui partecipavano anche uomini di governo e politici della maggioranza, nonché diversi alti magistrati, sul modello della loggia segreta P2 di Gelli, che per questo motivo è stata denominata dalla stampa "nuova P2" o anche "P3". Tant'è vero che dopo l'arresto dei tre sono finiti via via nel registro degli indagati per violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete anche tutti gli altri componenti della "loggia". Tra cui, oltre ai già menzionati Verdini, Dell'Utri e Cappellacci, anche il sottosegretario all'economia Nicola Cosentino, di cui la procura di Napoli aveva chiesto l'arresto (negato dal parlamento) per concorso esterno in associazione camorristica, poi costretto a dimettersi da sottosegretario (ma non da coordinatore del PDL per la Campania) per lo scandalo che rischiava di mettere in difficoltà il governo Berlusconi in parlamento. Vi sono poi altri componenti della banda la cui posizione è al vaglio della magistratura, come il sottosegretario alla Giustizia (in pratica il braccio destro di Angelino Alfano), Giacomo Caliendo (chiamato familiarmente "Giacomino" nelle intercettazioni); come il capo degli ispettori dello stesso ministero Arcibaldo Miller ("Arci"), già svolgente tale funzione chiave con l'ex ministro leghista Castelli e riconfermato anche durante il governo di "centro-sinistra" Prodi con Mastella alla Giustizia; e come l'ex assessore della giunta campana, Ernesto Sica, anche lui costretto a dimettersi. Tra gli alti magistrati affiliati alla banda, su cui pendono provvedimenti disciplinari da parte del CSM (Consiglio superiore della magistratura), ci sono il presidente della Corte di appello di Milano, Alfonso Marra (chiamato "Fofò", eletto in questa carica grazie alle pressioni della "loggia" su alcuni componenti del CSM, tra cui sembra lo stesso Mancino); il procuratore aggiunto Nicola Cerrato, n. 2 della procura milanese, già indagato per una tangente da 100 milioni di lire da parte del re delle cliniche private Poggi Longostrevi; l'avvocato generale della Cassazione, già presidente dell'Anm (Associazione nazionale dei magistrati) e presidente della "commissione Brunetta" per la pubblica amministrazione, Antonio Martone; l'ex primo presidente della Cassazione, in corsa per la presidenza della Consob come candidato di Berlusconi, Vincenzo Carbone, quello che chiedeva a Lombardi: "Io che faccio dopo la pensione?"; il presidente della Corte di appello di Salerno, Umberto Marconi, che forniva la sua consulenza alla banda per la fabbricazione del dossier diffamatorio preparato da Martino ai danni del candidato Caldoro per favorire il candidato Cosentino. Continuazione della loggia P2 In realtà il termine "nuova P2" o "P3" è improprio e riduttivo, dato che considerando la presenza di Carboni e Dell'Utri, nonché la funzione chiave di Verdini ("l'uomo verde", lo nominavano con scarsa fantasia al telefono i suoi soci), noto boss fiorentino in odore di massoneria, per non parlare di Berlusconi, tessera P2 n. 1816, il "Cesare" a cui tutti i componenti fanno deferente riferimento e per il quale lavorano alacremente, si presenta semmai come una continuazione vera e propria della P2 di Gelli, Craxi e dello stesso Berlusconi. Le attività di questa "loggia" segreta andavano dalla corruzione e affiliazione di alti magistrati, per pilotare sentenze e condizionare organi costituzionali come la Corte costituzionale (Lodo Alfano), la Cassazione (caso Cosentino), il CSM e le Corti di appello di Milano (elezione di Marra, lista Formigoni) e di Salerno (Marconi e la diffamazione di Caldoro), alla fabbricazione di dossier falsi per screditare avversari politici, al riciclaggio di denaro di sospetta provenienza mafiosa e camorristica e alla corruzione per lucrare sugli appalti pubblici (eolico, banca di Verdini, tentativo di avvicinare i giudici dell'inchiesta sul G8, ecc.). I personaggi più attivi e onnipresenti della banda sono Carboni, che con le sue relazioni e il suo passato sembra essere il tramite con le organizzazioni criminali, Dell'Utri e Verdini, nella cui lussuosa residenza romana si tengono le riunioni più importanti, e che insieme al senatore recentemente condannato in appello per mafia è il tramite diretto col capo dei capi, ossia con "Cesare" Berlusconi, e soprattutto Lombardi, una losca figura di "faccendiere" dai modi camorristici, che tratta con giudici di Cassazione e sottosegretari di governo come se fossero suoi sottoposti, e che riesce a penetrare dappertutto, anche nei "santuari" istituzionali più esclusivi come il CSM. A dimostrazione di come le istituzioni siano ormai inquinate fino al midollo dal malaffare e dalla penetrazione delle mafie. Il Lodo Alfano Nei mesi di settembre e ottobre 2009, Carboni, Martino e Lombardi si attivano per avvicinare i giudici della Corte Costituzionale che devono decidere sul Lodo Alfano e spostare voti a favore del neoduce Berlusconi. La sentenza è attesa per il 6 ottobre. Il 23 settembre si tiene una riunione quasi plenaria della banda in casa di Verdini per organizzare la tresca. Vi partecipano, oltre ai tre arrestati e il padrone di casa, anche Dell'Utri, Caliendo, Miller e il giudice Martone. Su mandato dei soci Lombardi arriva perfino a telefonare al presidente emerito della Corte Costituzionale Mirabelli per chiedergli come sono schierati i giudici sul Lodo Alfano e se può avvicinare uno di questi. Il giudice è imbarazzato e risponde in modo evasivo. Le manovre poi non avranno effetto perché il Lodo verrà bocciato, resta tuttavia il fatto grave che le pressioni ci sono state e nessuno allora, neanche Mirabelli, le ha denunciate. Il caso Cosentino-Caldoro Nel gennaio 2010 Lombardi chiede al presidente della Cassazione, Vincenzo Carbone, di intervenire per far accogliere il ricorso di Cosentino contro la richiesta d'arresto della procura di Napoli così da potersi candidare alla corsa per la presidenza della regione Campania. Lombardi arriva a promettere a Carbone un "interessamento" di Gianni Letta per la sua carriera futura. Il ricorso viene respinto, e allora la banda decide di passare alle maniere forti: screditare il candidato Caldoro, che ha scalzato Cosentino costretto a rinunciare perché inquisito per camorra, fabbricando e mettendo in giro su Internet un falso dossier su presunte frequentazioni di trans ("il Marrazzo della Campania") da parte del futuro presidente della Regione. In questa sporca operazione, anch'essa fallita miseramente, Cosentino e soci si servono dell'imprenditore Martino (che a sua volta si serve della consulenza del presidente della Corte di appello di Salerno, Marconi), e dell'ex demitiano passato al PDL, Ernesto Sica, poi premiato da Berlusconi con la carica di assessore nella giunta dell'ignaro Caldoro. Sica, che ora ha dovuto dimettersi dopo l'esplosione dello scandalo, si propose addirittura come candidato alternativo a Caldoro, arrivando a minacciare Verdini, se la sua richiesta non fosse stata accolta, di "mettere in piazza" tutto quello che sapeva di Berlusconi "a partire dall'estate del 2007"; perché, aggiunse, "io non sono come la puttana di Bari". Come dire, non mi faccio fregare come lei da qualche vaga promessa di Berlusconi. Effettivamente Sica aveva frequentato la villa di Berlusconi in Sardegna proprio quell'estate, passando di colpo dall'anonimato alla cerchia ristretta degli intimi del neoduce. Di quali loschi segreti del nuovo Mussolini è a conoscenza, per aver minacciato un ricatto del genere? L'elezione del giudice Marra e la lista Formigoni Nell'ottobre 2009 la banda si attiva per far eleggere "Fofò" Marra alla presidenza della Corte d'appello di Milano. Lombardi telefona a Caliendo invitandolo a "lavorarsi per bene" Carbone, prospettandogli come ricompensa una legge per elevare l'età pensionabile dei presidenti di Cassazione da 75 a 78 anni (cosa che effettivamente avverrà in parlamento). Lombardi cerca di premere anche sul CSM che dovrà decidere tra Marra e un altro candidato con più titoli, e dopo aver trescato con alcuni consiglieri riesce anche ad avvicinare per ben due volte Mancino. Con Caliendo si vanta al telefono di aver convinto "Nicola" alla loro causa, e a Marra riferirà tutto contento: "Ha detto: va bene, vediamo che si deve fare". Mancino, che pur ammettendo di conoscere Lombardi da decenni ha respinto infuriato ogni sospetto di cedimento, votò effettivamente a favore di Marra, che venne eletto. Anche lui comunque non denunciò all'epoca le pressioni di Lombardi. Com'è possibile che si sia limitato, come sostiene, a rispondere evasivamente per "levarselo di torno"? Qualcosa non torna, specie se si considera che egli si è anche opposto recisamente alla richiesta del consigliere togato Livio Pepino di convocare una riunione urgente del Plenum per fare "pulizia" dei magistrati fedifraghi, con la scusa che prima doveva informare il presidente del CSM, cioè Napolitano. Quest'ultimo, con un pronto 1-2 che puzza di volontà di abbuiare tutto lontano un miglio, ha poi deciso di non farne di nulla, con la scusa che l'attuale Consiglio è in scadenza e per "non turbare le indagini della magistratura". Appena eletto, la banda chiede a Marra di muoversi, "dietro mandato dello stesso Formigoni", per far riammettere la sua lista che era stata esclusa per numerose irregolarità. Intercettato al telefono con Martino, Formigoni gli chiede se "l'amico Lombardo, Lombardi è in grado di agire", e si sente rispondere: "sì, ha già fatto qualche passaggio". Martino chiede poi ad "Arci" Miller di mandare gli ispettori al tribunale di Milano che ha escluso la lista, e costui gli suggerisce a sua volta, per avere una pezza d'appoggio, di far presentare un esposto da Formigoni. Poiché l'ispezione non c'è ("sarebbe un boomerang", si giustifica Miller riferendo il pensiero di Alfano), Formigoni lamenta il mancato intervento del Guardasigilli, e a Martino confida di averlo rampognato dicendogli: "Ma guarda che è il nostro capo (Berlusconi, ndr) che ha bisogno di una cosa del genere". L'eolico in Sardegna Su questo filone dell'inchiesta siamo già intervenuti su Il Bolscevico n. 20 del 27/5/2010. C'è solo da aggiungere che secondo le accurate e documentate ricostruzioni dei carabinieri, anche sui giri di assegni per un milione di euro raccolti dalla banda per corrompere funzionari pubblici per ottenere l'appalto sulle pale eoliche in Sardegna, risulta confermato il ruolo chiave della banca di Verdini, il Credito cooperativo fiorentino di Campi Bisenzio, quale cassaforte della banda sospetta di riciclaggio. C'è poi un altro oscuro capitolo all'esame degli inquirenti che riguarda una valigia con 500 milioni di dollari consegnati da Carboni a misteriosi personaggi a Milano, con il sospetto che siano soldi della camorra interessata a investire in un giro di casinò e alberghi in tutta Italia, oltreché nel business dell'eolico. Sminuire e ridicolizzare Come al solito il neoduce Berlusconi ha reagito come una furia a questa nuova inchiesta, tuonando contro la "nuova deriva giacobina in cui si vuol far ripiombare il Paese" e facendo subito quadrato attorno ai suoi uomini inquisiti, anche se poi ha dovuto mollare Cosentino (il terzo dopo Scajola e Brancher) per annullare la mozione di sfiducia sul suo sottosegretario che rischiava di passare con i voti dei finiani. Poi ha cercato di sminuire e ridicolizzare la vicenda, sostenendo che si tratta di "un polverone" sollevato dai giornali e che la cosiddetta P3 non sarebbe altro che "quattro pensionati sfigati che si sarebbero messi insieme per cambiare l'Italia, ma se non ci riesco io...". Giudizio non certo lusinghiero per suoi fedelissimi come Dell'Utri, Cosentino, Verdini, Caliendo e compagnia bella, ma che queste facce di bronzo hanno subito colto al volo come un'indicazione difensiva da opporre ai magistrati inquirenti. E così tutti costoro, via via che vengono interrogati, recitano tutti invariabilmente la parte dei tonti, che avrebbero pasticciato per fare bella figura col capo a "sua insaputa". Insomma la stessa linea difensiva e omertosa dei vari Tarantini (che portava prostitute e forse cocaina alle feste del premier "a sua insaputa"), Balducci (che comprava casa a Scajola "a sua insaputa"), Mills (che prendeva soldi per dichiarare il falso e scagionare il neoduce "a sua insaputa"), e così via: "Ma quale associazione segreta, signor giudice! Semmai un'assemblea di figure e'mmerda. Le cose nelle carte sono poesia, fantasia", ha dichiarato Martino durante l'interrogatorio infischiandosene di negare l'evidenza. All'opinione pubblica ci pensava il direttore de "Il Giornale" della famiglia Berlusconi che ridicolizzava la banda Carboni-Verdini fin dal titolo del suo editoriale apparso il 18 luglio con questa definizione: "La P3 è un bidone". Invece, come emerge indiscutibilmente dalle intercettazioni, Berlusconi era al corrente eccome dell'esistenza della banda, e ne veniva costantemente informato delle mosse, non solo perché ne facevano parte i suoi più stretti sodali, come Verdini, Dell'Utri e Cosentino, ma perché il suo nome, sotto lo pseudonimo alquanto scoperto di "Cesare", ricorre per ben 23 volte nei verbali. E non incidentalmente, bensì come "utilizzatore finale" delle trame piduiste della banda Carboni & Co. Basti pensare anche al solo intervento sulla Consulta per far passare il Lodo Alfano. Senza le intercettazioni, come ha sottolineato anche il procuratore aggiunto Capaldo, questa inchiesta non avrebbe mai visto la luce. Da qui l'ansia e la fretta del nuovo Mussolini per far approvare subito la legge contro le intercettazioni e per mettere il bavaglio alla stampa. Chissà quali altri verminai si nascondono infatti sotto la crosta purulenta del sistema piduista, mafioso e corrotto che ha cresciuto in tutti questi anni di gestione incontrastata del potere nel ventre del regime neofascista. 21 luglio 2010 |