La banda del famigerato banchiere, pupillo di Fazio, finanziava tra l'altro i suoi amici politici Arrestato Fiorani per associazione a delinquere In carcere anche alti dirigenti della Bpi. Avevano costruito una società occulta con clienti "speciali" Calderoli, Tarolli, Grillo, Romani e Brancher tra i beneficiari. Coinvolti Consorte e Bonsignore europarlamentare UDC Le inchieste giudiziarie sulla cosiddetta "tangentopoli bancaria" aperte a maggio scorso dalle procure di Milano e Roma in seguito all'inasprimento della sotterranea ma incessante guerra fra le varie fazioni della classe dominante borghese per il controllo del potere economico, finanziario, industriale, mediatico e politico, tanto più cruciale alla vigilia delle prossime elezioni politiche di primavera, nelle ultime settimane si sono arricchite di altri inquietanti capitoli. Il 13 dicembre è finito in manette Giampiero Fiorani, ex amministratore delegato della Banca Popolare Italiana Bpi (già Banca Popolare di Lodi Bpl) nonché "fraterno amico" e pupillo del dimissionario governatore di Bankitalia Antonio Fazio. Fiorani, già indagato nei mesi scorsi, è accusato di reati gravi e infamanti che vanno dall'associazione per delinquere, aggiotaggio e insider trading, all'appropriazione indebita, infedeltà patrimoniale e riciclaggio. Insieme al famigerato banchiere lodigiano è finita in manette anche la sua banda di sodali delinquenti ai vertici dirigenziali della Bpi, tutti accusati dei medesimi reati in quanto complici delle oscure manovre societarie e finanziarie, "benedette" da Fazio e viste con "soddisfazione e contentezza" dal neoduce Berlusconi, e messe in campo dalla Bpi per lanciare l'Opa sull'Antonveneta. Si tratta di Gianfranco Boni, braccio destro di Fiorani e direttore finanziario della Bpi; Silvano Spinelli, dirigente di Bpl era l'uomo di fiducia di Fiorani e, secondo l'ex dirigente di Bpl Suisse Egidio Menclossi, ("supertestimone" dell'inchiesta), "era da anni impiegato da Fiorani per operazioni di carattere riservato per conto di alcuni importanti clienti della banca"; Fabio Massimo Conti e Paolo Marmont, erano i due gestori del fondo Victoria&Eagle Strategic Fund S.A. registrato alle isole Cayman dove venivano accantonati i profitti illeciti di Fiorani e dei suoi "clienti privilegiati". Tutti nomi ormai noti alle cronache giudiziarie come i capi della banda dei "concertisti", o meglio, quelli che lo stesso Stefano Ricucci chiamò nelle telefonate intercettate dalla Procura di Milano "i furbetti del quartierino", proprio perché avevano preferito operare nell'ombra e agirono appunto di concerto, rastrellando di nascosto buona parte del pacchetto azionario di Antonveneta prima di darne la scalata e tagliare fuori dalla corsa gli olandesi della Abn Ambro. Ma questa pare sia solo la punta dell'iceberg. Molti altri sono i nomi che ricorrono a vario titolo nell'inchiesta: da Emilio Gnutti della Hopa al presidente della Confcommercio Sergio Billé, indagato per appropriazione indebita, agli immobiliaristi Danilo Coppola e Ettore Lonati. E poi l'affarista più vicino al neoduce Berlusconi, Ubaldo Livolsi. E ancora i palazzinari Ignazio Bellavista Caltagirone e Luigi Zunino. Tutti, pare, "soci ombra" negli affari sporchi di Fiorani e Ricucci. A confermarlo è lo stesso Fiorani che nel corso dei due interrogatori avvenuti il 31 agosto e il 13 settembre scorsi, davanti ai magistrati milanesi, quando ancora era inquisito a piede libero, nel tentativo di giustificare la sua criminale condotta, ha riferito, scrive il giudice Clementina Forleo nell'ordine di custodia cautelare, di un "concerto criminoso'', ovvero di un'organizzazione bancaria occulta che teneva assieme interessi privati e "clienti super privilegiati" che potevano permettersi il "lusso" di guadagnare a colpo sicuro. Mentre "noi" cioè Fiorani e la sua banda, "ci dividevamo gli utili" e ci arricchivamo accumulando "patrimoni personali enormi" anche grazie alle scalate illecite. A farne le spese era la massa dei risparmiatori: clienti onesti della banca che subivano tanti piccoli ammanchi. "Spese" e "commissioni" inventate dai vertici della Popolare di Lodi per coprire le perdite in Borsa, ripianate in via provvisoria perfino con prelievi abusivi dal caveau. Con casi limite di furti dall'eredità dei clienti morti. I soldi, si tratta di decine se non centinaia di milioni di euro, guadagnati illecitamente finivano su conti esteri e società offshore, che li reinvestivano in Italia, soprattutto in speculazioni immobiliari finanziate dalla stessa Lodi, moltiplicando così i patrimoni illeciti. Ma chi sono i "clienti privilegiati"? Sono la fitta rete di protettori collocati ai più alti livelli politici e istituzionali che hanno coperto e aiutato Fiorani e la sua banda riferendogli non solo notizie sensibili al mercato ma anche notizie riservate sugli sviluppi dell'inchiesta giudiziaria come il caso delle intercettazioni telefoniche effettuate dagli inquirenti. Infatti la "spia", di cui Fiorani nel corso dei due interrogatori fiume di sabato 17 e domenica 18 dicembre davanti al giudice Clementina Forleo e ai Pm Eugenio Fusco e Giulia Pernotti e al procuratore aggiunto Francesco Greco, ha fatto anche il nome, però subito secretato dagli inquirenti, è un uomo politico romano che avvertì Stefano Ricucci (indagato a Roma per la scalata al "Corriere della Sera") e i "furbetti del quartierino" che i loro telefoni erano sotto controllo dei magistrati milanesi. Circostanza confermata da una telefonata di Fazio a sua moglie Cristina Rosati il 14 luglio in cui il governatore informa la donna di avere appreso che Fiorani è intercettato. La Rosati rimane a dir poco stupita della notizia visto che "un parlamentare vicino al forzista Grillo" gli aveva assicurato il contrario. In cima alla lista delle complicità politiche e istituzionale per il momento c'è ovviamente il dimissionario Fazio, che dal 2000 al 2003 ha ricevuto regali di ogni genere per sé e la sua famiglia fra cui diversi gioielli e un vassoio cesellato in argento per un ammontare complessivo di svariate decine di migliaia di euro. Antonio Fazio è indagato a Roma per abuso d'ufficio nell'inchiesta sul "via libera" che Bankitalia concesse alla Popolare di Lodi per acquistare Antonveneta. L'inchiesta si basa sul fatto che Fazio e il capo della vigilanza di Bankitalia Francesco Frasca hanno abusato del loro ruolo per aiutare Fiorani nonostante il parere contrario degli ispettori e dell'ufficio legale di Bankitalia che riscontrarono insufficienti garanzie patrimoniali della Lodi sull'Opa lanciata da Bpi all'istituto padovano. Un secondo avviso di garanzia gli è stato notificato dai giudici di Milano con l'accusa di insider trading, per aver cioè rivelato notizie riservate e sensibili per il mercato durante l'ormai famigerata telefonata intercorsa nella notte tra l'11 e il 12 luglio scorsi in cui Fazio anticipa a Fiorani il "via libera" all'opa di Bpi ad Antonveneta e quest'ultimo lo ringrazia calorosamente con un "bacio in fronte". Inoltre Fazio riferisce che lui e i suoi uomini "avrebbero provveduto ad avvisare anche il senatore Luigi Grillo". Pochi minuti dopo Fiorani chiama Gnutti, che era nel veronese a una cerimonia di Forza Italia insieme con Berlusconi, per avvisarlo della "bella notizia". Gnutti richiama Fiorani per dirgli che "il presidente è rimasto molto contento della riuscita dell'operazione". Pochi minuti ancora, e da Roma giunge notizia che anche Grillo e la moglie di Fazio erano stati informati cosiccome tutti gli uomini di Fiorani in Bpi. Insomma, Fazio doveva ancora firmare, ma il via libera all'Opa di Bpi su Antonveneta aveva già fatto il giro d'Italia. A ricostruire il losco intreccio del "sistema Fiorani" con il potere politico è stato Donato Patrini, regional manager della Bpi in Toscana, che da giorni sta collaborando con gli inquirenti. "Gli amici onorevoli", ha spiegato Patrini non venivano foraggiati con tangenti o buste piene di denaro: questi metodi da "mariuolo" della prima repubblica sono ormai superati; ma attraverso l'apertura di normalissimi conti correnti con fidi "più che generosi" e ovviamente senza alcuna garanzia. "Fiorani indicava il nome del politico da beneficiare, i recapiti, l'importo del finanziamento o del fido che popolare di Lodi doveva erogare. Io - ha riferito in una intervista Patrini - compilavo i documenti, raccoglievo la firma del parlamentare, aprivo il conto, erogavo i denari. Ero l'ufficiale di collegamento con i politici. Per due anni siamo andati avanti così". Per il momento i nomi dei politici beneficiari dei "conti correnti per gli amici onorevoli" di Fiorani sono: il ministro fascio-leghista per le Riforme Roberto Calderoni, cui Fiorani concesse un fido di 350 milioni nel 2000 e questo spiega anche il perché Bossi e la Lega non hanno mai negato il loro appoggio al banchiere di Lodi e alla sua idea di creare una grande "Banca del Nord"; il deputato Ivo Tarolli dell'Udc che è stato "ringraziato" con analogo conto; il deputato forzista Paolo Romani, sottosegretario alle Comunicazioni che ha ottenuto un fido e una fideiussione per un totale di 400 mila euro senza garanzie; il senatore Luigi Grillo, Fi, che ha confermato nei giorni scorsi di avere un fido con l'attuale Bpi di 250 mila euro su un conto aperto presso la filiale 46 ovvero proprio sotto l'ex ufficio di Fiorani nella sede centrale di Lodi. Su questo conto tra maggio e luglio 2005 c'è stato una forte movimentazione di titoli e assegni bancari per oltre 132 mila euro. Inoltre Grillo, secondo quanto riferito da Fiorani ha avuto un ruolo di sostegno e "di lobbysmo puro" nella partita Antonveneta "con frequentazioni politiche a un grande progetto industriale di importanza nazionale"; il sottosegretario alle Riforme, ex manager di Pubblitalia, Aldo Brancher (Fi) sempre nella filiale 46 a giugno 2002 aveva a disposizione un conto con 340 mila euro, sforato in poco tempo fino a 366 mila e successivamente rimpinguato da Fiorani fino a 450 mila euro a cui fa seguito nel marzo del 2005 l'apertura di un altro conto con fido fino a 1 milione di euro che però viene chiuso a ottobre proprio nei giorni in cui sul conto di sua moglie, anch'ella tra i "clienti privilegiati di Fiorani" compare un saldo positivo di, guarda caso, proprio 1 milione di euro. Tutti conti che, "stranamente", producevano sempre guadagni. Tra gli inquisiti figura anche l'europarlamentare dell'Udc e imprenditore, Vito Bonsignore, iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Milano con l'ipotesi di reato di concorso in aggiotaggio. Secondo quanto accertato dagli inquirenti, la Gefip facente capo a Bonsignore aveva acquistato nel mese di aprile 2005 (nel pieno della battaglia per Antonveneta) 2,7 milioni di azioni Antonveneta per poi cederle, attraverso un "travaso", alla Fingruppo di Emilio Gnutti che faceva parte del fronte guidato dalla Bpi. Da sottolineare che Bonsignore, gia' sottosegretario al bilancio nel 1992-1993, e' stato uno dei protagonisti del contro-patto di Bnl che ha ceduto poi nell'estate le proprie quote alla Unipol. Nell'inchiesta è coinvolto anche Giovanni Consorte, presidente e amministratore delegato Unipol, la potente società di assicurazioni controllata dalla Lega delle Cooperative in mano ai Ds. Consorte, oltre ad aver ricevuto un avviso di garanzia per aggiotaggio dai giudici romani in riferimento alla scalata dell'Unipol alla Bnl, è inquisito per il medesimo reato anche a Milano per aver rastrellato azioni Antonveneta ed essersi alleato di "nascosto" con la banda di Fiorani e dei "concertisti" della Bpi. A tal proposito, il giudice Clementina Forleo nell'ordinanza di arresto contro Fiorani scrive che Consorte "veniva indicato da Fiorani come soggetto che aveva partecipato alla loro iniziativa acquisendo ulteriori azioni Antonveneta. Si trattava di persona particolarmente fidata - continua il provvedimento - tant'è che ci si era rivolti a lui anche per la nota vicenda Earchimede". Consorte, secondo la ricostruzione del Gip Forleo, così come il suo vice Ivano Sacchetti (anch'egli inquisito), avrebbero ricevuto "ciascuno, con operazioni parallele e sovrapponibili, un affidamento per 4 milioni di euro senza alcuna garanzia, risultati utilizzati per operare, parallelamente e in maniera sovrapponibile, su opzioni "put" relative a titoli Stm, Alleanza Assicurazioni, Generali, Enel, Autostrade, che avevano loro consentito di conseguire nel corso del solo 2005 guadagni per 1,7 milioni di euro ciascuno". Insomma un intreccio perverso e ormai indissolubile tra le cordate capitaliste, le cosche parlamentari borghesi e le istituzioni dello Stato con al centro l'allora governatore Fazio che ha coperto oltre ogni legge e "regola morale" sia la scalata di Fiorani, gradita a Berlusconi, alla lobby finanziaria legata al carroccio, al Vaticano, ai palazzinari romani e alla Confcommercio, che la scalata di Consorte, ossia della "sinistra" del regime neofascista legata alla Lega delle Cooperative e alla Quercia. E certo per porre fine alla dilagante corruzione politica, ai conflitti di interesse e alle guerre economiche per il controllo dei poteri forti non basteranno gli accordi bipartisan tra governo e opposizione alla "riforma del credito bancario" e alle dimissioni di Fazio. 21 dicembre 2005 |