La norma più importante non si applica a “Mafia Capitale”
L’Associazione dei magistrati: “debole” e “controproducente” la legge anticorruzione di Renzi
il nuovo berlusconi cerca di zittire il presidente dell’anm che lo paragona al ministro della giustizia di mussolini
Il 12 dicembre scorso con un disegno di legge preparato dal governo del Berlusconi democristiano Renzi, sono cominciati i lavori relativamente alla riforma del reato di corruzione e l’istituto della prescrizione nel diritto penale. Il testo è composto da una trentina di articoli incentrati soprattutto sul delitto contro la Pubblica Amministrazione che subirà un aumento nella parte della pena: la corruzione passerà ad una pena edittale (attualmente compresa tra un minimo di uno e un massimo di cinque anni) il cui taglio sarà da 6 a 10 anni. A ciò si aggiunge una modellazione del patteggiamento per questo tipo di reato soltanto per coloro che avranno restituito il maltolto. In ultimo il progetto legislativo dovrebbe prevedere anche l’allungamento dei tempi di prescrizione (il doppio per la corruzione) giustificato dall’esecutivo renziano con il fatto che i precedenti corrotti e corruttori la facevano franca con un tempo prescrittivo oggi fissato, per questo tipo di delitti, a sei anni; trascorsi i quali il giudice emetteva sentenza secondo la formulazione di rito “non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato”.
L’Associazione Nazionale Magistrati, che già aveva bocciato la prima riformulazione del delitto di corruzione attuata dal governo Monti, parla di riforma “debole e controproducente” e lo spiega attraverso le parole di Rodolfo Maria Sabelli, presidente del sindacato delle toghe. Secondo Sabelli non ci sarebbe uno sconto per i collaboratori, e ciò non incoraggerebbe coloro che decidano di desistere dal compimento di questi reati. Inoltre, per i magistrati risulterebbe inadeguata la parte sulla prescrizione che va bloccata in primo grado e non soltanto sospesa, per poi “correre” ancora. Alle prime critiche subito hanno risposto con il piglio ducesco il nuovo Berlusconi e i suoi gerarchi: “I magistrati parlino con le sentenze, devono scrivere le sentenze e non devono fare comunicati stampa”, è stata l’arrogante replica di Renzi che ha invitato al silenzio i giudici. Replica secca di Sabelli che ha affermato che Renzi sta sullo stesso piano del Ministro di Giustizia del fascismo Vittorio Emanuele Orlando che, già prima dell’avvento di Mussolini, aveva espresso il suo disprezzo per le toghe diramando, nel 1907, una circolare diretta ai responsabili delle Corti territoriali nella quale rilevava con rammarico la diffusione tra i magistrati del “costume di pubblicamente interloquire intorno a questioni attinenti l’esercizio dell’ufficio loro, sia sotto forma di interviste, sia con lettere o con articoli” e concludeva minacciando sanzioni in caso di abusi. Prima di mettere il bavaglio definitivamente ai magistrati, lo stesso Orlando esprimeva “dubbi gravissimi” persino sull’associazionismo delle toghe ribadendo, in un intervento sul Corriere della Sera del 23 agosto 1909, il fatto che l’allora Agmi (oggi Anm) svolgesse un ruolo utile. Il suo omonimo, attuale Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, architetto del disegno di legge, ha commentato in maniera provocatoria: “Sembra che i giudizi siano stati molto condizionati dal clima che si è venuto a creare in seguito alla rottura su alcuni punti specifici. Per esempio, sul civile l’Anm aveva collaborato ampiamente alla redazione del decreto, ma l’introduzione della norma sulle ferie l’ha portata a dare un giudizio molto negativo sull’intera riforma”. E conclude il suo intervento minimizzando sull’inchiesta “Mafia Capitale”: “è qualcosa di diverso e non necessariamente di meno grave: mentre ai tempi di Tangentopoli era la politica che vessava l’economia, in questa caso abbiamo a che fare con una politica così debole che è preda di interessi economici e criminali di ogni sorta”. L'intervento-fotocopia della Ministro per le Riforme Costituzionali e per i Rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, rappresenta un ennesimo esempio dell’arroganza espressa in questi giorni dall’esecutivo Renzi in funzione antigiudici: “i magistrati applichino le leggi anziché commentarle: le leggi le scrive il Parlamento”.
I giudici annunciano nuove iniziative e agitazioni, ritenendo la manovra contro la corruzione dilagante del tutto irrisoria, frutto di “una politica che sembra accorgersi improvvisamente dei guasti che i magistrati segnalano da anni: uno scandalo la riforma sulla prescrizione che disperde lavoro e risorse che andrebbe bloccata se non dopo l’esercizio dell’azione penale, come pure sarebbe ragionevole, quanto meno dopo la sentenza di primo grado”. L’art. 5 del disegno di legge parla di prescrizione sospesa dopo il primo grado, finché non riprende l’appello che dura più di due anni e la Cassazione più di uno. Con il pugno nello stomaco dell’impunità per i gravissimi delitti di “Mafia Capitale” contenuti nella norma transitoria: “le disposizioni si applicano ai fatti commessi successivamente all’entrata in vigore della presente legge”.
In ultimo la stretta sulle intercettazioni ambientali e telefoniche, contenuta nell’articolo 25 del ddl Orlando che il viceministro Enrico Costa lo ritiene fondamentale esprimendo in poche parole il diktat “se non passa questo articolo, non passa tutto il resto”. Si tratta di una delega al governo per “garantire la riservatezza delle telefonate intercettate con sistemi che incidano sulle modalità di utilizzazione cautelare dei risultati e che diano una precisa scansione procedimentale all’udienza di selezione del materiale intercettativo”. In sostanza il pubblico ministero o il giudice procedente avranno delle restrizioni maggiori nelle ordinanze contenenti intercettazioni di persone né arrestate né indagate con una udienza filtro che dovrà vigilare a riguardo. Nonostante la sconcertante presa di posizione positiva del presidente della Authority Antitrust, Raffaele Cantone, sul pacchetto anticorruzione con un “il testo va bene” (mentre invece vi sono riserve sulla questione dell’allungamento della prescrizione), il ddl Orlando va rigettato in toto. Innanzitutto le intercettazioni ambientali e telefoniche devono essere svolte senza restrizioni e nella forma più ampia possibile per snidare i covi delle corruttele insite nel regime neofascista. Va respinta soprattutto la riforma sull’allungamento della prescrizione che, estesa a tutti i reati anche diversi da quelli contro la pubblica amministrazione, coprirà i gravi disagi degli uffici amministrativi e soprattutto gli errori che le diverse legislazioni degli ultimi anni hanno creato nell’ambito del sistema penale ai danni delle masse popolari e in favore dei corrotti e corruttori della peggiore risma, né più né meno come Tangentopoli. Sulla corruzione sia Renzi che Orlando, dopo gli ipocriti proclami estivi, si sono mossi quando ormai i buoi sono scappati: nulla contro altri reati come la corruzione giudiziaria o l'induzione illecita, niente sull'estensione delle norme antimafia sulle intercettazioni e sugli sconti di pena ai pentiti per denunciare i corrotti chieste dai magistrati, e niente manco a dirlo sull'urgente problema della mancanza di personale e di mezzi per far funzionare la giustizia e snellire i processi, che però Renzi pretende “rapidissimi” dai magistrati. Occorre ormai comprendere che corruzione e mafie hanno le loro radici nel capitalismo stesso in quanto parte integrante del sistema economico e politico della classe dominante borghese e vanno estirpate con esso.
14 gennaio 2015