Inserito nella Legge di Stabilità 2015
Il TFR in busta paga è una truffa
Non sarà a tassazione agevolata bensì ordinaria
Ennesima scusa del governo Renzi per tassare i lavoratori
Tra le tante iniziative del governo Renzi spacciate come aiuti economici ai lavoratori ma che in realtà nascondono nuove truffe e tasse bisogna annoverare anche il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) versato in busta paga. Questa norma è contenuta nella Legge di Stabilità 2015 approvata a dicembre dal parlamento.
Questo non è certo il primo tentativo di manomettere il TFR; da almeno una decina di anni si sta tentando in ogni modo di mettere le mani su questa parte di salario che spetta per legge ai lavoratori. A sentire il Berlusconi democristiano Renzi sembra che il suo governo intervenga per alzare le buste paga dei dipendenti prendendo i soldi chissà dove. Niente di più falso! Questo è bene chiarirlo subito. ll TRF è salario differito, ovvero salario a tutti gli effetti solo che viene erogato quando il lavoratore viene licenziato, chiude l'azienda, oppure quando va in pensione o si dimette.
Il TFR ha assunto l’attuale forma nel 1982. Viene fatto un accantonamento dall'azienda seguendo questo calcolo: lo stipendio annuale del lavoratore, comprese tredicesima ed eventuale quattordicesima diviso 13,5, praticamente l’ammontare di una mensilità per ogni anno lavorativo. Si può chiedere l’anticipo di una parte di esso solo per alcuni casi particolari, come malattia o l’acquisto della prima casa, salvo diversi accordi, contrattuali o personali.
Esisteva comunque anche prima e da molti anni, in una certa misura addirittura dal 1927, in piena dittatura fascista. La “liquidazione” o “indennità di licenziamento” dell’epoca va però inserita nella visione corporativa fascista dove alla classe operaia era assolutamente vietata ogni autonomia e qualsiasi rivendicazione economica e normativa, tanto meno sociale e politica, ma doveva essere asservita al nazionalismo e all’imperialismo mussoliniano, fermo restando ovviamente la supremazia della borghesia e il sistema economico capitalistico. La liquidazione era solamente prevista in caso di chiusura dell'azienda e licenziamento dei lavoratori.
Dal dopoguerra ad oggi il TFR ha sempre assunto al ruolo di “gruzzolo” a cui il lavoratore poteva accedere se cambiava lavoro o andava in pensione, con il quale fare un acquisto oneroso, tutelare economicamente la propria vecchiaia oppure, in caso di forzata perdita del lavoro, come “ammortizzatore sociale”.
Questa parte di salario accantonata ha da sempre fatto gola ai capitalisti, specie alle compagnie assicurative che volevano gestire questa montagna di soldi (dei lavoratori, ndr), una cifra che supera i venti miliardi di euro l'anno. L'occasione ghiotta si è presentata quando le numerose controriforme pensionistiche, in special modo con la sostituzione del vecchio modello retributivo (quello basato sulle ultime mensilità) con quello contributivo (basato sui versamenti) hanno causato il drastico ridimensionamento dei vitalizi che di colpo da dignitosi, sono diventati da fame.
Cosa hanno pensato lo Stato, i fondi pensionistici privati e le banche? Di andare a saccheggiare il TFR dei lavoratori per rialzare l'assegno pensionistico che altrimenti, con la nuova legislazione, si andrebbe ad attestare intorno al 40% dello stipendio (contro l'80% del vecchio sistema), andando oltretutto a lucrare sulla gestione di questi capitali. Ovviamente ci hanno rimesso i dipendenti che hanno dovuto pagare con il loro TFR per reintegrare la quota di pensione persa con le nuove regole.
La cosiddetta pensione integrativa ottenuta versando il TFR nei fondi chiusi di categoria (ad esempio CoMeTa per i metalmeccanici) o in quelli aperti e totalmente privati è stata scelta da circa 6 milioni di lavoratori, mentre la maggioranza ha preferito tenere il TFR in azienda per riscuoterlo in seguito. La crisi però ha fatto registrare quasi un milione di lavoratori che hanno ritirato i versamenti dai fondi perché non se lo possono più permettere.
A costo di mettere in crisi anche la pensione integrativa il governo adesso vuole mettere in busta paga il TFR. Lo scopo principale è fare cassa tassando subito la quota di salario differito, e al tempo stesso alzare di qualche decimale il Pil facendo spendere subito, specie ha chi è in difficoltà, qualche decina di euro in più al mese. Nella Legge di Stabilità 2015 approvata in parlamento a dicembre è prevista la possibilità per il lavoratore di chiedere il pagamento mensile dell'importo maturando di Tfr. Una volta fatta questa scelta non potrà essere modificata per i successivi tre anni.
Le nuove norme non sono definitive perché sono in contrasto con quelle sulla previdenza integrativa che una volta scelta non poteva più essere revocata. Allora si pone il quesito su quale delle due leggi è prevalente. Una definitiva e brutta sorpresa è invece quella sulla tassazione che non sarà quella attuale, ma quella ordinaria applicata sul resto dello stipendio, la principale norma contestata dai sindacati che sottopone il TFR a un forte dimagrimento. La legge di stabilità non entra nello specifico ma leggendo la bozza del governo sul Tfr presentata alcuni mesi fa risulta che per le aziende non dovrebbe cambiare sostanzialmente nulla. Difatti l’opposizione della Confindustria è durata poco.
L’operazione verrebbe finanziata da un apposito “Fondo anticipo Tfr” costituito dalle banche e dalla Cassa depositi e prestiti a sua volta garantiti dal Fondo di garanzia del Tfr presso l’Inps. Tutti questi soggetti, potrebbero “approvvigionarsi sul mercato finanziario e attingere direttamente alle risorse della Banca centrale europea (Bce)”. Dunque le aziende, è scritto nella bozza del governo “continuano ad operare come oggi senza alcuna modifica né nei loro costi né nell’esborso finanziario, versando (come prevede l’attuale normativa) il Tfr all’Inps (le imprese con più di 50 addetti), o seguitandolo ad accantonare in bilancio (imprese con meno di 50 addetti)”.
Il lavoratore che lascia il Tfr in azienda ha sicuramente dei vantaggi. La sua gestione è a costo zero (non è così per i fondi pensione) e viene rivalutato annualmente dell’1.5% + lo 0.75% dell’inflazione e gli interessi da esso maturati vengono tassati dell'11,5% (la metà rispetto alle altre rendite), interessi che verrebbero a mancare se messo direttamente in busta paga. Oltretutto finendo in busta, ad esempio 100 euro al mese, molti lavoratori supererebbero uno scaglione Irpef annuale e pagherebbero più tasse. Persino una ricerca dell'associazione dei commercialisti dimostra che tranne i redditi sotto i 15mila euro, che andrebbero a pareggio, tutti gli altri ci rimetterebbero centinaia di euro l'anno che sarebbero rapinati dallo Stato.
Nei progetti del governo c'è quello d'incassare 4 miliardi di euro in più l'anno, altro che abbassare le tasse. Tanti lavoratori passerebbero anche la quota di 26 mila euro lordi annui che li farebbe perdere la mancia degli 80 euro. Renzi dice che il Tfr in busta paga è a discrezione e non deve decidere lo Stato ma mente sapendo di mentire perché specie chi ha i redditi più bassi sarà costretto a prenderlo per arrivare alla fine del mese o riuscire a pagare la rata della casa o dell'auto. Insomma è una truffa a tutti gli effetti.
14 gennaio 2015