Denunciavano la continuità con la dittatura sconfitta nel 2011
Il golpista Sisi reprime le manifestazioni nell'anniversario della rivolta che cacciò Mubarak
23 morti, 97 feriti e oltre 500 arresti
Il 25 gennaio 2011 piazza Tahrir al Cairo divenne il centro della rivolta popolare che neanche due settimane dopo, l'11 febbraio, portò alla cacciata dell'allora presidente Hosni Mubarak e alla fine della sua trentennale dittatura. Quell'insieme di partiti e organizzazioni progressiste laiche, islamiche, socialiste, liberali e sindacali hanno promosso una serie di manifestazioni in tutto il paese per denunciare quarto anniversario della rivolta la continuità con quel regime attuale guidato dal presidente, ex generale, Abdel Fatah el-Sisi con quello di Mubarak. Un regime insediatosi dopo il golpe del 3 luglio 2013 e costrinse alle dimissioni il presidente islamista Mohamed Morsi.
Il bilancio dei tre giorni di scontri che hanno segnato in tutto il paese il quarto anniversario della rivolta registra 23 morti, 97 feriti e oltre 500 arresti in particolare nelle manifestazioini al Cairo e a Alessandria.
Piazza Tahrir era stata chiusa preventivamente con sbarramenti di filo spinato e un massiccio schieramento di blindati e i Fratelli musulmani, i partiti liberali e le organizzazioni progressiste e socialiste avevano invitato i loro sostenitori a non forzare l'ingresso nella piazza simbolo delle rivolte ma a manifestare nei quartieri circostanti.
La protesta era iniziata già il 23 gennaio con manifestazioni al Cairo e a Alessandria, manifestazioni disperse dalla polizia che nella città alla foce del Nilo aveva causato la morte di una ragazzina di 17 anni. La repressione poliziesca si ripeteva nella capitale il 24 gennaio dove moriva una giovane attivista di un piccolo partito di sinistra colpita alla schiena da proiettili di gomma sparati a distanza ravvicinata da un agente. Due assassini che erano solo il preludio di una giornata di sangue, quella del 25 gennaio, con i manifestanti che si scontravano per tutta la giornata con la polizia nelle manifestazioni che si tenevano nelle due principali città del paese..
In un discorso alla nazione tenuto il 24 gennaio, il presidente Abdel Fatah el-Sisi elogiava il desiderio di cambiamento mostrato quattro anni fa, aggiungeva però che "ci vuole pazienza per raggiungere tutti gli obiettivi di quella rivoluzione" e assicurava che il suo governo era impegnato per la democrazia. La continuità sbandierata dal golpista Sisi era non con gli obiettivi di quella rivolta ma col precedente regime di Mubarak. Confermata dal pugno duro sulle manifestazioni di piazza dell'opposizione.
Nel sottolineare la vittoria dell'eroico popolo egiziano che aveva costretto Mubarak alle dimissioni salutavamo nel 2011 quella vittoria storica che incoraggiava le lotte di tutti i popoli e che poteva aprire nuovi scenari nella regione, soprattutto se il popolo egiziano fosse riuscito a far fallire le manovre di una parte dei vertici militari che volevano solo ripulire la facciata del regime, sostituirlo con uno nuovo ma sostanzialmente uguale.
I vertici militari, vera e propria colonna portante e parte integrante della borghesia egiziana dato che controllano il 40% dell'economia del paese, avevano contribuito alla caduta della dittatura di Mubarak, abbandonandolo al suo destino e dopo la parentesi del governo islamista di Morsi (giugno 2012-luglio 2013), dimostratosi incapace anche di rappresentare le istanze di cambiamento condivise coi manifestanti in pazza Tahrir, si sono ripresi con Sisi il diretto controllo del paese. Ma anche l'opposizione non si è fermata ed è tornata in piazza nell'anniversario della rivolta.
4 febbraio 2015