Schierandosi con la Giordania contro lo Stato islamico
Mattarella calza subito l'elmetto
Come primo atto pubblico sulla scena internazionale il neoeletto capo dello Stato Sergio Mattarella ha calzato subito l'elmetto interventista, inviando un messaggio di cordoglio al re di Giordania Abdallah II per “la barbara uccisione del tenente dell'Aeronautica giordana, Moath El-Kassasbeh”, in cui si dice certo che “la sua tragica morte ed il grande dolore sofferto dalla sua famiglia rafforzeranno ulteriormente l'unità del popolo giordano e la collaborazione della comunità internazionale per sconfiggere la piaga del terrorismo”.
Anche a prescindere dal fatto che non ha espresso invece la minima riserva per la barbara vendetta sui due prigionieri dell'Isis nelle carceri giordane, subito impiccati per ordine di Abdallah e che perfino la Ue aveva disapprovato, colpisce questo suo incondizionato avallo all'escalation del conflitto da parte del monarca giordano, che ha subito approfittato della morte del suo pilota per dichiarare la guerra totale allo Stato islamico e lanciare subito una massiccia ondata di bombardamenti aerei indiscriminati sui suoi territori. Avallo esteso pure a qualsiasi ulteriore aumento dell'intervento militare della cosiddetta “comunità internazionale”, cioè dell'imperialismo, contro lo Stato islamico.
Colpisce, ma è del tutto coerente con la linea marcatamente interventista che il nuovo inquilino del Quirinale ha voluto manifestare già col suo primo atto pubblico da presidente, quando è andato alle Fosse ardeatine, ufficialmente per rendere omaggio alle vittime del nazifascismo, ma in realtà non per ribadire i valori dell'antifascismo, bensì per esaltare la “lotta al terrorismo internazionale”, ossia agli islamici antimperialisti.
Discorso interventista in parlamento
E che questa fosse la sua vera intenzione lo si è capito meglio dal suo discorso di giuramento in parlamento, in cui dopo essersi dichiarato “garante della Costituzione”, e aver sottolineato in un fugace accenno all'articolo 11 che garantire la Costituzione significa anche “ripudiare la guerra e promuovere la pace”, si è poi lanciato in realtà in un discorso militarista e interventista tutto concentrato sulla lotta contro il “terrorismo fondamentalista”, sull'invocazione di una “guerra globale” contro di esso e sull'esaltazione delle forze armate italiane e delle loro missioni interventiste all'estero.
“Considerare la sfida terribile del terrorismo fondamentalista nell’ottica dello scontro tra religioni o tra civiltà sarebbe un grave errore”, ha detto infatti Mattarella, sottolineando che “la minaccia è molto più profonda e più vasta. L’attacco è ai fondamenti di libertà, di democrazia, di tolleranza e di convivenza. Per minacce globali servono risposte globali. Un fenomeno così grave non si può combattere rinchiudendosi nel fortino degli Stati nazionali”.
Un chiaro incitamento, questo, a intensificare ed estendere l'intervento internazionale imperialista contro lo Stato islamico, e al quale l'Italia non deve sottrarsi, ma anche a restringere le libertà democratico borghesi in nome della “sicurezza” all'interno degli Stati imperialisti stessi, quando ha aggiunto che “la comunità internazionale deve mettere in campo tutte le sue risorse. Nel salutare il Corpo Diplomatico accreditato presso la Repubblica, esprimo un auspicio di intensa collaborazione anche in questa direzione. La lotta al terrorismo va condotta con fermezza, intelligenza, capacità di discernimento. Una lotta impegnativa che non può prescindere dalla sicurezza: lo Stato deve assicurare il diritto dei cittadini a una vita serena e libera dalla paura”.
E non a caso ha voluto aggiungere ancora a tutto ciò un passaggio sulla “meritoria e indispensabile azione di mantenimento della pace, che vede impegnati i nostri militari in tante missioni”. Passaggio seguito dall'esaltazione delle nostre forze armate “sempre più strumento di pace ed elemento essenziale della nostra politica estera e di sicurezza”, alle quali ha rivolto tra gli applausi corali di tutti i gruppi “un sincero ringraziamento, ricordando quanti hanno perduto la loro vita nell’assolvimento del proprio dovere”. Applausi continuati in una vera ovazione nazionalista di tutta l'aula di Montecitorio in piedi, quando ha ricordato i due fucilieri di marina detenuti in India invocando il loro ritorno al più presto in Italia.
Continuità della politica estera e militare
Mattarella ha voluto insomma dimostrare subito che egli non intende cambiare ma se possibile sviluppare ulteriormente la linea nazionalista, militarista e interventista dei suoi ultimi predecessori, che hanno cancellato la prima parte e applicato solo, stravolgendola in senso interventista, la seconda parte dell'articolo 11 della Costituzione. In questo senso va letto anche il suo richiamo al bambino Stefano Taché, morto in un attacco di un commando palestinese alla sinagoga di Roma nell'ottobre 1982. Perché è andato a ripescare come unico esempio di vittima “dell'odio e dell'intolleranza” proprio quell'episodio di oltre 32 anni fa? E perché allora non ha fatto almeno un accenno alle migliaia di bambini palestinesi bruciati e sepolti vivi dai ben più recenti bombardamenti sionisti su Gaza? É evidente che voleva mandare un chiaro segnale ai diffidenti governanti sionisti che la stretta alleanza dell'Italia con Israele non cambierà anche con un ex democristiano al Quirinale.
Ricordiamo che Mattarella è anche capo del Consiglio supremo di Difesa e capo delle forze armate, e in questa luce i suoi interventi in politica estera e militare assumono una valenza ancora maggiore rispetto ad altre istituzioni politiche, governo compreso. Ma a ben vedere tutto ciò era già scritto nella biografia del personaggio, visti i suoi trascorsi politici: vicepresidente del Consiglio del governo D'Alema 1 durante la guerra imperialista alla Serbia; ministro della Difesa durante i governi D'Alema 2 e Amato 2, dove si distinse nel negare gli effetti dell'uranio impoverito sulle morti dei soldati italiani dislocati in Kosovo e sull'inquinamento dei territori bombardati dalla Nato. E soprattutto ha legato il suo nome alla “riforma” che abolì la leva obbligatoria, trasformando definitivamente l'esercito italiano da esercito di difesa interna, basato sulla leva di massa, in esercito professionale basato su volontari mercenari selezionati, concepito appositamente in funzione interventista fuori dai confini nazionali.
11 febbraio 2015