Per costringere Renzi a non cedere alla sinistra del PD e sedare le faide in Forza Italia
Berlusconi rompe il patto del Nazareno
FI voterà “di volta in volta” solo quello che gli piace
Renzi: “Rispetteremo l'accordo con Berlusconi fino in fondo”
“Riteniamo Forza Italia libera di valutare quanto proposto di volta in volta senza alcun vincolo politico da un patto che è stato fatto venir meno dalla nostra controparte”. Con questo comunicato dell'Ufficio di presidenza di Forza Italia Berlusconi ha annunciato il 4 febbraio la rottura del patto del Nazareno con Renzi. La motivazione ufficiale della rottura è attribuita all'elezione di Mattarella al Quirinale, ma non tanto per la persona, ritenuta “degnissima” dallo stesso Berlusconi, quanto per il “metodo” unilaterale con cui Renzi lo ha scelto come candidato, mentre secondo l'interpretazione del patto fatta da Forza Italia anche il capo dello Stato doveva essere concordato tra i due contraenti.
Una pretesa, questa di FI, che in realtà travalicava i rapporti di forza nettamente a favore del PD, che disponeva della stragrande maggioranza dei grandi elettori, e andava al di là dello stesso patto del Nazareno, con cui Berlusconi aveva posto due condizioni a Renzi – le sole del resto realisticamente possibili - per quanto riguarda il Quirinale: il veto alla candidatura di Prodi e l'elezione di un presidente “non ostile” a Berlusconi stesso. Condizioni entrambe rispettate con l'elezione di Mattarella, sulla cui persona infatti Berlusconi non è riuscito a trovare nulla da eccepire. Di certo non poteva pretendere che Renzi corresse il rischio di spaccare il PD accettando i suoi candidati, che erano Amato e Casini. Per cui quello dello scontro sul Quirinale appare più come un pretesto che come il vero motivo della rottura. I veri motivi per Berlusconi sembrano essere piuttosto il timore di un ricompattamento della sinistra PD con Renzi e la necessità di riprendere il controllo del proprio partito, uscito a pezzi e dilaniato dalle faide interne dalla vicenda Quirinale.
Una formula volutamente ambigua
Tuttavia la formula ambigua scelta per annunciare la fine del patto sembra non voler chiudere del tutto la porta a possibili ripensamenti, se da parte del leader del PD arrivassero adeguati “segnali”. Lo stesso Giovanni Toti, pur considerato – con la Rossi, la Bergamini, Ghedini, Brunetta, Romani ed altri - facente parte del “cerchio magico” dei fedelissimi intorno a Berlusconi che più hanno premuto per spingere il capo a rompere il patto, è stato cauto nel confermare la rottura: “L'accordo, così come si è inteso finora, è rotto, congelato, finito, scegliete voi le parole. Il governo ha detto che il percorso sulle riforme continuerà, ma noi non ci sentiamo più vincolati”, ha detto il consigliere politico di Berlusconi ai giornalisti. Ma poi ha subito aggiunto: “Le riforme sono un patrimonio per il Paese e noi non faremo i Kamikaze. Valuteremo caso per caso”.
Renzi non è sembrato infatti prendere molto sul serio la mossa di FI, convinto che si tratti più che altro di un passo necessario per Berlusconi per acquietare il “cerchio magico”, furioso per lo schiaffo politico ricevuto dal premier e col “duo tragico” Verdini-Letta che ha condotto le trattative con Renzi. E che gli serva anche per parare gli attacchi di Fitto, che con la sua corrente di una trentina di parlamentari accusa la dirigenza di FI di aver sbagliato tutto e chiede l'azzeramento di tutte le cariche, rivendicando per sé il ruolo di coordinatore unico e vice di Berlusconi. Ad ogni buon conto Renzi ha reagito come suo solito, mostrando cioè ai suoi interlocutori la carota in una mano e il bastone nell'altra: da una parte ha ribadito che per lui quanto concordato nel patto non cambia, a cominciare dalla legge elettorale già approvata al Senato anche con i voti di FI, legge che ha intenzione di approvare così com'è anche alla Camera, comprese le liste bloccate tanto care a Berlusconi. Ma dall'altra ha minacciato che se FI farà mancare i suoi voti all'Italicum o alla “riforma” del Senato che proprio in questi giorni va verso l'approvazione definitiva alla Camera, il PD ha comunque i numeri per andare avanti da solo. “Oggi non si è rotto il patto del Nazareno, semmai Forza Italia”, ha dichiarato con la solita aria di sufficienza la ministra per le Riforme Maria Elena Boschi, aggiungendo che “le riforme vanno avanti, se poi Forza Italia ci ripensa noi siamo qui”.
Due segnali minacciosi a Berlusconi
A conferma della sicumera ostentata da Renzi che i “numeri” sono dalla sua parte è arrivata un paio di giorni dopo la notizia che ben 8 parlamentari di Scelta civica, tra cui la ministra Giannini e il padre storico del Jobs Act, Pietro Ichino, erano trasmigrati nel PD, mentre nel contempo rientravano anche le richieste di “chiarimenti” e “verifiche” di maggioranza da parte del NCD di Alfano, rassegnatosi a rientrare nei ranghi dopo i tentativi di fare la voce grossa per essere rimasto spiazzato dal braccio di ferro di Renzi su Mattarella, tanto che Sacconi aveva dato le dimissioni e Lupi le aveva minacciate.
Ma per far capire meglio l'antifona a Berlusconi, Renzi gli ha mandato altri e ben più minacciosi segnali: il ministro della Giustizia Orlando e il PD hanno “improvvisamente” ripreso a spingere in Senato i dossier sulla legge anti-corruzione, sul falso in bilancio e sulla prescrizione, che erano stati messi in sonno da mesi, e che per quanto super annacquati sono visti come il fumo negli occhi dal pregiudicato di Arcore; mentre in contemporanea il governo ha depositato alla Camera un emendamento al decreto Milleproroghe che azzera lo sconto sull'uso delle frequenze tv a Rai e Mediaset, regalato loro a settembre dall'Agcom. Così per esempio, le televisioni del biscione, che grazie al regalo principesco dell'Authority sulle comunicazioni per il 2014 avrebbero dovuto pagare solo 4 milioni, ne pagherebbero invece 17,7 come per il 2013. Alla Rai toccherebbe pagarne 26,2. La cancellazione dello sconto ai due maggiori beneficiari delle frequenze andrebbe all'erario e anche a compensare le piccole emittenti. Renzi strumentalizza cioè le storture della legge Gasparri per esercitare un ricatto politico su Berlusconi, il quale sa bene che i privilegi e la supremazia di mercato di cui godono le sue aziende sono del tutto illegali e dipendono solo dalla volontà del governo di non fare o rimandare sine die
una seria ed equa riforma del sistema comunicazioni.
“Deriva autoritaria”
Questa mossa è stata interpretata come una ritorsione e ha fatto andare su tutte le furie Berlusconi, che spinto a reagire dai suoi fedelissimi del “cerchio magico” ha fatto uno dei suoi interventi in video dagli schermi del Tg5, in cui ha ribadito che il patto del Nazareno è stato “tradito” da Renzi e ha messo in dubbio la stessa legge elettorale (da lui però approvata con convinzione prima del voto sul Quirinale), che “per come si sta delineando – ha detto – con una sola Camera eletta dal popolo, con il terzo premier non eletto dagli italiani, avvertiamo il rischio che vengano meno le condizioni indispensabili per una vera democrazia e che ci si possa avviare verso una deriva autoritaria”. Ricevendo per tutta risposta commenti ancor più sarcastici e strafottenti dal premier e dalla sua cerchia: “Deriva autoritaria? Berlusconi è quasi commovente”, twittava la Serracchiani. Mentre Guerini rincarava: “Berlusconi è incoerente tra ciò che dice e ciò che ha votato. Mi sembrano dichiarazioni un po' fuori controllo e registro, fatte per tenere insieme il proprio partito piuttosto che espressione di valutazioni di merito reale”.
Patto sospeso ma la tresca continua
Commenti che sottolineavano la posizione di debolezza in cui si trova il pregiudicato di Arcore, costretto pur sempre a giocare con le carte date da Renzi, anche se per tenere unito il suo partito, sempre più in calo nei sondaggi e a rischio di sfasciarsi, deve alzare la voce e dare spago ai tanti “falchi” che lo spingono a tagliare i ponti con il premier, licenziare i “pontieri” come Verdini e Letta e riavvicinarsi alla Lega di Salvini vagheggiando una ricostruzione del “centro-destra”. Ma Berlusconi sa anche che la sua sorte personale e quella delle sue aziende sono nelle mani di Renzi, il quale può deciderne la salvezza o la rovina, a seconda che prenda certi provvedimenti o non ne prenda altri che attualmente sono sospesi sul suo capo come altrettante spade di Damocle: tra questi le già citate leggi del pacchetto giustizia (falso in bilancio, anti-corruzione, allungamento della prescrizione, intercettazioni, ecc.), e la “riforma” della Rai e il riordino delle comunicazioni. Ma soprattutto la depenalizzazione della frode fiscale fino al 3% dell'imponibile dichiarato, ossia la nuova legge “salva Silvio” che lo farebbe tornare pulito anche per la legge Severino e quindi candidabile alle elezioni. Legge che Renzi aveva rimandato al prossimo Consiglio dei ministri del 20 febbraio, sia per sedare lo scandalo suscitato quando è stata scoperta nascosta tra le pieghe del Milleproroghe, sia per usarla come futura arma di ricatto su Berlusconi, che infatti ora gli torna a pennello.
D'altra parte Berlusconi non può neanche decidere di punto in bianco di votare contro l'Italicum e le altre controriforme fasciste e piduiste sancite nel patto del Nazareno, visto che le ha già controfirmate, sostenute e votate in parlamento, e visto che Renzi gli ha garantito che non saranno più modificate e vuole approvarle così come sono. Da qui la formula opportunamente bivalente (“voteremo di volta in volta i provvedimenti che ci piacciono”) usata nell'annunciare la fine del patto del Nazareno. Formula che lascia comunque ampi margini di manovra ai due banditi per continuare, pur da postazioni diverse, a trescare per sostenersi a vicenda e completare in parlamento la controriforma neofascista e presidenzialista delle istituzioni e della Costituzione del '48 secondo il piano della P2.
11 febbraio 2015