Per bloccare l'avanzata dello Stato islamico
Renzi: “Pronti a guidare una operazione militare in Libia”
I combattenti islamici antimperialisti: “Gentiloni ministro dell'Italia crociata”. Berlusconi si schiera immediatamente col governo
Il nuovo Berlusconi mette a repentaglio l'incolumità del popolo italiano
Il governo del Berlusconi democristiano Renzi è pronto a guidare un’operazione militare con l’avallo dell’Onu in Libia per fermare l’avanzata dei guerriglieri dello Stato islamico in quel paese. Lo aveva già ventilato in diverse occasioni e in maniera più sfumata il ministro degli Esteri Gentiloni, ma adesso, di fronte all’avanzata dello Stato islamico e alla possibilità che l’iniziativa venga presa da altri concorrenti, come per esempio la Francia in combutta con l’Egitto del generale golpista Al Sisi e il governo fantoccio di Tobruk, il governo italiano ha rotto gli indugi e ha posto esplicitamente la sua candidatura a farsi promotore e guida di un intervento militare in Libia, come fecero la Francia e la Gran Bretagna nel 2011 contro Gheddafi, a cui si aggregò comunque anche l’Italia di Berlusconi e Napolitano.
Ma stavolta l’imperialismo italiano aspira alla posizione di testa, prendendo a pretesto il fatto che l’Italia sarebbe il paese geograficamente più esposto ad un attacco dello Stato islamico dalle coste della Libia. Il primo a invocare l’intervento è stato nei giorni scorsi ancora una volta Gentiloni: “L’Italia in Libia è pronta a combattere il terrorismo nel quadro di una missione Onu”, aveva dichiarato infatti il titolare della Farnesina, guadagnandosi immediatamente il titolo di “ministro degli esteri dell’Italia crociata” da parte della radio di Mosul. E facendo fare così al nostro Paese un altro passo verso una guerra totale contro lo Stato islamico, con tutte le conseguenze sciagurate che potrebbero derivarne per il nostro popolo.
Poco dopo era stata la ministra della Difesa Pinotti a mettersi l’elmetto e invocare, o meglio a dare per scontato, un intervento militare italiano in forze in Libia. Spingendosi addirittura a quantificare le dimensioni dell’intervento militare, come se questo fosse già preparato da tempo, e probabilmente lo è: “L’Italia è pronta a guidare in Libia una coalizione di paesi dell’area, europei e dell’Africa del Nord, per fermare l’avanzata del Califfato che è arrivato a 350 chilometri dalle nostre coste. Se in Afghanistan abbiamo mandato fino a 5 mila uomini, in un paese come la Libia che ci riguarda molto più da vicino e in cui il rischio di deterioramento è molto più preoccupante per l’Italia, la nostra missione può essere significativa e impegnativa, anche numericamente”, aveva detto in un’intervista a Il Messaggero del 15 febbraio la ministra. E poi aveva aggiunto significativamente: “Ne discutiamo da mesi, ma ora l’intervento è diventato urgente”. Dal che si capisce ancor meglio perché lei sia sempre stata tra i più strenui oppositori al taglio dei fondi per acquistare gli F35 ne acquisteranno addirittura 90 all’insaputa del Parlamento.
“Bisogna fare come nei Balcani”
Illuminanti le parole della Pinotti anche riguardo al ruolo che si vuol ritagliare l’imperialismo italiano in questa nuova avventura imperialista e neocolonialista: “L’Italia – ha detto con sussiego – immagina d’avere un ruolo di leadership in Libia come lo abbiamo avuto in Libano, per motivi geografici, economici, storici (cioè coloniali, ndr). Gli interlocutori internazionali individuano nell’Italia la nazione col ruolo di protagonista: per quanto conosce la Libia, per la sua storia, per le aspettative dei libici”. Quanto alla portata e alla durata di un simile intervento militare, la ministra ha detto chiaro e tondo che “bisogna fare come nei Balcani, dove per scongiurare la bonifica etnica abbiamo inviato decine di migliaia di uomini e abbiamo contingenti dopo vent’anni per stabilizzare il territorio”.
Davvero il cosiddetto Partito democratico è diventato a tutti gli effetti il “partito della nazione”, fascista e guerrafondaio, dei nostri tempi! E che non si trattasse di opinioni personali e avventate di questo o quel ministro, ma di una precisa linea politica interventista di tutto il governo, covata da molto tempo e che attendeva solo l’occasione propizia per venire allo scoperto, lo aveva dimostrato lo stesso Renzi in persona durante il Consiglio europeo del 12 febbraio, dove aveva dichiarato che quella della Libia “è una crisi importante e drammatica come quella in Ucraina”, e informato ufficialmente i partner europei che l’Italia era pronta “a intervenire in Libia in presenza di un mandato delle Nazioni Unite”. In una successiva intervista al Tg1 il premier aveva ripetuto che in Libia “ci vuole una missione più forte dell’Onu” e che “l’Italia è pronta nella missione Onu a fare la nostra parte per difendere un’idea di libertà e anche di diritti”. In sostanza Renzi si sta incamminando sulle orme di Giolitti, Mussolini e Berlusconi.
Alle dichiarazioni interventiste di Renzi e dei suoi ministri si è subito unito anche Berlusconi, dichiarando che un’azione militare è da “prendere in seria considerazione” e offrendo il suo appoggio al governo, tanto da far parlare i giornali di rinascita del patto del Nazareno sulla Libia. Favorevole ad un intervento in Libia anche il leader razzista della Lega Salvini, ma cominciando col bloccare gli sbarchi di migranti. Ma anche SEL si è dichiarata favorevole in un primo momento ad un intervento dell’Onu, sebbene preceduto da una “iniziativa diplomatica”. Di tutto l’arco parlamentare, solo il M5S si è detto contrario ad un intervento militare: “E’ un fatto molto importante che un Paese nella politica estera non litighi. Non è un grande momento per i rapporti interni dopo quello che è successo sulle riforme e sul presidente della Repubblica, ma apprezzo molto che non ci siano divisioni”, ha commentato soddisfatto il Berlusconi democristiano.
Riposizionamento tattico di Renzi
Nei giorni successivi Renzi ha cercato di abbassare i toni, dicendo che “non è il momento per azioni militari”, e mettendo più l’accento sugli aspetti diplomatici che militari della crisi: “La visione del governo – ha dichiarato infatti al Tg5 – è una sola. Ossia attendere che il Consiglio di sicurezza dell’Onu lavori un po’ più convintamente sulla Libia. La comunità internazionale se vuole ha tutti gli strumenti per intervenire”. La sua maggiore cautela è dettata solo dalle reazioni alquanto fredde con cui le fanfare interventiste di Gentiloni e Pinotti sono state accolte in sede europea e Onu, soprattutto per l’ostilità della Francia di Hollande, che non vuole farsi scippare dall’Italia il ruolo di prima attrice nella crisi libica che si era ritagliato già con Sarkozy, e che ha preceduto il governo Renzi nel chiedere insieme all’Egitto al Consiglio di sicurezza (di cui è membro permanente), un intervento internazionale nel paese nordafricano.
Tuttavia Renzi, nel momento stesso in cui tatticamente riconosce di non voler passare avanti al Consiglio di sicurezza, ha anche ribadito che “contemporaneamente noi non ci tiriamo indietro, non volgiamo la testa da un’altra parte. Noi non ci tiriamo indietro di fronte alle nostre responsabilità”. Non per nulla nella seduta fiume notturna sulla controriforma piduista del Senato, il premier aveva fatto cambiare conformemente ad essa anche l’ex articolo78 della Costituzione sulle modalità della dichiarazione dello stato di guerra: ora basterà il solo voto della Camera per gettare il Paese in guerra. Renzi aveva proposto addirittura la maggioranza semplice, ma poi di fronte alle richieste di chi chiedeva la qualificata ha “ripiegato” sulla maggioranza assoluta. Che grazie all’Italicum non sarà un problema ottenere per il governo. Questa modifica era stata fortemente richiesta dai vertici militari guerrafondai e dalle ministre Pinotti e Boschi.
È evidente dunque che il nuovo Berlusconi non intende abbassare la cresta e recedere dal proposito di gettare prima o poi il nostro Paese in un’altra avventura militare imperialista e neocolonialista. Un’avventura giocata sulla pelle del già martoriato popolo libico, ma che metterebbe anche seriamente a repentaglio l’incolumità del popolo italiano, che sarebbe gravemente esposto alle rappresaglie dei combattenti antimperialisti islamici, determinati d’altra parte a lottare con tutti i mezzi per l’indipendenza e la libertà dei loro popoli.
18 febbraio 2015