Il compromesso è in linea con l'austerity
Tsipras si piega alla UE
La sinistra di Syriza in rivolta: tradite le promesse elettorali

 
Il governo greco ha inviato il 23 febbraio la lista di riforme chiesta dall'Eurogruppo che l'ha accolta positivamente nel corso di una teleconferenza tra i rappresentanti degli altri 18 paesi membri e ha dato il via, per altri quattro mesi, agli aiuti finanziari promessi in attesa di definire un nuovo piano completo. Il documento chiude la fase del braccio di ferro aperto dal governo di Alexis Tsipras con l'Unione europea (Ue) che aveva inizialmente l'obiettivo quantomeno di ridurre l'onere del debito che pesa sui conti di Atene per gli aiuti già concessi ai precedenti governi socialista e della destra definiti in un memorandum e legati alla realizzazione del piano di lacrime e sangue imposto dalla Troika. Tsipras alla guida di Syriza aveva impostato e vinto la campagna elettorale di gennaio promettendo la revisione del giogo che strozza le masse popolari greche, alla fine si è piegato alla Ue accettando un compromesso che ha sollevato la rivolta della sinistra della sua organizzazione.
Il presidente dell'Eurogruppo, l'olandese Jeroen Dijsselbloem, ricevuto il documento da Atene, dava il via libera agli aiuti finanziari affermando che “credo che il governo greco sia molto serio sulle riforme”. Fra gli impegni presi dalla Grecia vi sono tra gli altri quello “di non ritirare le privatizzazioni già completate e a rispettare, in base alla legge, quelle per cui è stato lanciato il bando"; sui problemi del lavoro di consultare le parti sociali per sviluppare il regime attuale di sostegno temporaneo alla disoccupazione “se lo spazio di bilancio lo permette” e per quanto riguarda la sanità prevede una imponente riduzione della spesa, pur “garantendo l'accesso universale” che coi tagli non è difficile immaginare a quale livello sarà.
La guerra ai diktat della Ue lanciata da Syriza in campagna elettorale si era smorzata già alla vigilia del voto quando Tsipras aveva rassicurato l'Ue che in ogni caso la Grecia non sarebbe uscita dall'euro, accettando quindi di discutere solo di rimodellare il programma di aiuti e le condizioni capestro. E il 28 gennaio lo aveva confermato aprendo il primo Consiglio dei ministri dell’esecutivo appena insediato garantendo che non intendeva “andare a una rottura distruttiva per entrambi sul debito”, al contrario “il governo di Atene è pronto a negoziare con partner e finanziatori per una soluzione giusta e duratura per il taglio del debito”.
Il ministro delle Finanze Yanis Varoufakis precisava il 4 febbraio che la proposta di Atene era non una auto riduzione di quanto doveva pagare ma la conversione di due terzi degli oltre 300 miliardi di euro complessivi che la Grecia deve agli altri membri dell’Eurozona, alla Bce e al Fondo monetario internazionale in bond a interessi di mercato mentre la restituzioni del capitale sarebbe partita solo “quando si sarà riavviata una solida crescita”.
L'accordo raggiunto il 20 febbraio all'Eurogruppo non parla di taglio del debito greco prevede: “le autorità greche si impegnano ad astenersi da qualsiasi smantellamento delle misure e a modifiche unilaterali alle politiche e alle riforme strutturali che avrebbero un impatto negativo per gli obiettivi di bilancio, la ripresa economica e la stabilità finanziaria, come valutate dalle istituzioni”; saranno le “istituzioni” e non la vecchia Troika (Ue, Bce e Fmi) a supervisionare l'applicazione dell'intesa, gli stessi personaggi con un nome diverso, intesa che segue comunque il vecchio memorandum non più chiamato in questo modo ma ribattezzato come “estensione del piano”. Il piano di aiuti finanziari che scadeva il 28 febbraio veniva così prorogato per altri 4 mesi e non 6 come voleva Atene. “Entro lunedì 23 febbraio le autorità greche devono mandare una lista di riforme”, spiegava il presidente dell'Eurogruppo Dijsselbloem. “Riforme” che il governo greco si impegnava ad attuare in cambio dell'estensione del programma nel quale, sottolineava, “c'è la flessibilità che permette ai greci di scegliere, basta che le misure abbiano lo stesso impatto nel bilancio”. In alte parole voleva dire tagliate dove vi pare basta che tornino i conti.
“Il prolungamento degli aiuti è un piccolo passo verso una nuova direzione”, affermava il ministro delle Finanze Varoufakis. La Grecia “ha vinto una battaglia, ma non la guerra, i negoziati più difficili ci aspettano. Comunque abbiamo raggiunto il nostro principale obiettivo all'interno dell'Eurozona: l'intesa ha cancellato gli impegni sull'austerity dei precedenti governi” affermava il primo ministro Tsipras come se il compromesso raggiunto non fosse sempre in linea con l'autsterity. Tsipras non solo cercava di rivendere la resa del suo governo come un mezzo successo per contenere la protesta della sinistra di Syriza ma portava altra acqua al mulino dell'europa imperialista affermando che l'Ue “è il luogo del negoziato, non delle esecuzioni, dell'obbedienza o della punizione. Forse la giornata di ieri è più importante per l'Europa che per la Grecia”.
La pensava diversamente la sinistra di Syriza che denunciava il tradimento delle promesse elettorali. “Abbiamo promesso di essere liberati dall’austerità e dalle tenaglie del capitale europeo ma nulla è successo a Bruxelles” denunciava un dirigente di Syriza di Salonicco. Cancellare i memorandum e la Troika e abolire tutte le leggi di austerità erano le promesse mentre rinominare la Troika come istituzioni, il Memorandum come accordo e i creditori come partner non cambia la sostanza, sottolineavano altri.
 

25 febbraio 2015