La Marina militare italiana si esercita provocatoriamente davanti alle coste libiche
Nonostante la frenata imposta dagli Usa e dal consiglio di sicurezza dell'Onu, i crociati imperialisti italiani con alla testa il premier Renzi e i ministri degli Esteri, Paolo Gentiloni, e della Difesa, Roberta Pinotti hanno già calzato l'elmetto e fremono per intervenire militarmente in Libia rivendicando addirittura un ruolo guida dell'Italia nell'ambito della sedicente “comunità internazionale” degli Stati occidentali imperialisti in lotta contro lo Stato Islamico (IS).
Per questo motivo, a partire dalla fine di febbraio, col pretesto di dare il via alla nuova missione denominata “Mare Aperto” in sostituzione di “Mare Nostrum”, la Marina militare italiana ha schierato provocatoriamente tre navi da guerra: la Duilio, la Bergamini e la San Giorgio, davanti alle coste libiche. La flottiglia italiana (cui dovrebbe aggiungersi una quarta nave) è partita dai porti di La Spezia e Taranto e tra equipaggi e reparti imbarcati fra cui spiccano il reggimento San Marco e il Comsubin (Comando subacquei e incursori) arriva a contare circa tremila uomini. Formalmente il generale Claudio Graziano, subentrato ai primi di marzo come capo di Stato Maggiore della Difesa all’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, e Pierpaolo Ribuffo, comandante del Gruppo navale, assicurano che si tratta di “operazioni di addestramento”. Negli ordini, assicurano, non c'è nessuna ipotesi di sbarco o anche solo d’ingaggio. Ma al di là dell’ufficialità è chiaro che si tratta di uno schieramento militare in piena regola che rappresenta di fatto un blocco navale al largo della Libia attuato dal governo senza nemmeno informare il parlamento.
A confessarlo tra le righe sono gli stessi Graziano e Ribuffo riconoscendo che “le attività addestrative svolgono certamente anche un ruolo di sicurezza, deterrenza e di dissuasione. Attività che non escludono il dovere di intervenire – precisa Binelli Mantelli – di fronte a violazioni del diritto internazionale”.
Insomma a quattro anni esatti dal primo intervento del 19 marzo 2011 e l'uccisione di Gheddafi, siamo di fronte a una nuova aggressione imperialista alla Libia mascherata come “esercitazione di routine” dall'Italia del nuovo Mussolini Renzi.
Un intervento militare con cui l'imperialismo italiano torna a fare la voce grossa e a “mostrare i muscoli” nel Mediterrano col chiaro obiettivo di riconquistare il posto di potenza regionale più influente in Libia soffiatogli da Usa e Francia in seguito all'aggressione del 2011 e la cui missione principale non è certo quella di “contribuire al mantenimento della pace nella regione” ma di proteggere gli ingenti interessi economici e commerciali dell'Italia in Libia a cominciare proprio dalle aree costiere.
Le navi italiane si fermeranno infatti a ridosso dalle acque internazionali, facendo così provocatoriamente mostra della ‘forza’ italiana ma a distanza sufficientemente breve per un intervento rapidissimo qualora la situazione a terra dovesse precipitare. L'obiettivo principale è di mettere al sicuro gli impianti strategici per il nostro Paese a partire dalla piattaforma offshore di Sabratha, a 80 chilometri dalle spiagge libiche. E’ questa infatti la struttura da difendere a ogni costo, con priorità altissima in quanto se venisse colpita staccherebbe il rifornimento al terminal di Mellitah, che triangola con il gasdotto dell’Eni Greenstream, collegato alla Sicilia finora protetto dagli uomini dell’esercito fedeli al governo di Tobruk.
“L’Italia è pronta a intervenire se la situazione dovesse precipitare – ha rilanciato la Pinotti alla cerimonia di avvicendamento del capo di stato maggiore della difesa - la risposta alle attuali crisi internazionali non può essere conseguita se non agendo in una dimensione multilaterale, in cui la componente militare deve dimostrare di sapersi pienamente combinare con le componenti diplomatica, umanitaria, economica e di intelligence”.
Una linea interventista in piena sintonia con quella già esposta dal crociata imperialista Gentiloni al parlamento il 18 febbraio scorso in cui fra l'altro ha ribadito che l'Italia è pronta “ad assumersi le sue responsabilità ed è pronta ad assumere responsabilità di primo piano. Siamo pronti, come Italia, a contribuire al monitoraggio del cessate il fuoco. Siamo pronti a contribuire al mantenimento della pace. Siamo pronti a contribuire alla riabilitazione delle infrastrutture, all'addestramento militare in un quadro di integrazione delle milizie nell'esercito regolare, a curare e a sanare le ferite della guerra”.
Esattamente come la “missione di pace” di 4 anni fa che ha rovesciato Gheddafi ma non ha portato in Libia né “pace” né “democrazia”.
La differenza è che questa volta Renzi non vuole rischiare di farsi trovare impreparato come il suo emulo Berlusconi e pertanto mentre muove tutte le sue pedine per avere il via libera all'opzione militare da parte di Onu, Europa o Nato, ha dislocato la Marina Militare davanti alle coste libiche con una operazione che ha chiamato esercitazione ma in realtà è un vero e proprio atto di guerra.
11 marzo 2015