Per l'imposizione fascista di Renzi
La Camera nera abolisce il Senato come voleva la P2
La sinistra imbelle e parolaia del PD vota sì o non vota
Ancora qualche altro passo e la Costituzione del '48 sarà definitivamente affossata
Il 10 marzo la Camera nera ha approvato in seconda lettura, con 357 voti a favore, 125 contro e 7 astensioni, la controriforma costituzionale, nata dal patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi, che modifica ben 40 articoli della Costituzione del '48, abolisce il Senato e il bicameralismo, e porta il Paese a un passo dal completamento della repubblica presidenziale neofascista prevista nel piano della P2. Gli opportunisti della sinistra imbelle e parolaia del PD hanno votato ancora una volta sì insieme ai renziani, oppure si sono limitati ad astenersi o al massimo a non partecipare al voto, come Fassina e Civati.
Si tratta sostanzialmente dello stesso testo che fu imposto al Senato lo scorso 8 agosto con metodi fascisti e forzature procedurali senza precedenti esercitate dalla maggioranza in combutta col partito di Berlusconi e con l'aiuto servile del presidente Grasso, e con tanto di baci e abbracci finali della capogruppo PD Finocchiaro all'ex berlusconiano Schifani e della ministra delle Riforme, Maria Elena Boschi, con il capogruppo forzista Romani e col pregiudicato Verdini. Date le piccole modifiche apportate nel frattempo dalle commissioni parlamentari, il testo dovrà essere approvato nuovamente dal Senato senza ulteriori cambiamenti, per completare la prima lettura prevista dall'articolo 138 per i disegni di legge costituzionali. Dovrà seguire poi una seconda lettura, alla Camera e al Senato, dopo un intervallo di almeno tre mesi, e infine un referendum popolare confermativo se non sarà approvato con almeno i due terzi dei voti, ma è chiaro che a questo punto la strada è spianata e siamo ormai a un passo dall'affossamento definitivo della Costituzione del '48.
A questo mira infatti l'abolizione del bicameralismo perfetto, pilastro della forma parlamentare della Repubblica che assicurava il controllo reciproco tra le due Camere, e la trasformazione del Senato di 315 rappresentanti in una camera di 100 membri non più eletti a suffragio universale ma nominati dall'alto, di cui 5 dal Capo dello Stato e 95 dalle segreterie dei partiti maggioritari scegliendoli tra i governatori regionali e i sindaci. Senza potere legislativo, se non su provvedimenti di interesse regionale e costituzionale, e senza più alcun potere di controllo sul governo, dato che il nuovo Senato non voterà la fiducia e potrà solo esprimere pareri non vincolanti sulle leggi approvate dalla Camera. In compenso però i suddetti nominati godranno ancora dell'immunità parlamentare, cosicché il salvataggio dei politici corrotti resta assicurato come adesso.
Inoltre la Camera dei deputati, unico organo legislativo rimasto, e che mantiene gli attuali 630 seggi, sarà tenuta a garantire l'approvazione “a data certa” ai provvedimenti giudicati dal governo “essenziali per l'attuazione del programma”, in pratica con l'obbligo di approvarli o respingerli entro 70 giorni. E' chiaro che un meccanismo simile sovverte radicalmente l'equilibrio tra i poteri istituzionali disegnato nella Carta del '48, riducendo drasticamente il potere del parlamento e aumentando di conseguenza quello del governo e del presidente del Consiglio in particolare, sancendo con ciò una trasformazione surrettizia della repubblica parlamentare in repubblica presidenziale, nella forma del premierato.
Poteri eccezionali al capo del governo
Il potere legislativo ridotto a una sola camera e con ulteriori limitazioni, e l'altra camera nominata dai partiti del regime, senza potere legislativo e di controllo, ma che partecipa all'elezione del capo dello Stato, dei giudici costituzionali e del Consiglio superiore della magistratura, in combinazione con una legge elettorale ultra maggioritaria come l'Italicum, consentirà al candidato premier vincente non soltanto di garantirsi la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera e di scegliersi i senatori e la maggior parte dei deputati, ma anche di nominare il presidente della Repubblica, di controllare 10 dei 15 giudici della Corte costituzionale (5 nominati dal capo dello Stato e 5 dal parlamento), e di assoggettare il Consiglio superiore della magistratura, tramite un terzo di consiglieri e il vicepresidente nominati dal parlamento, più il presidente che poi è lo stesso capo dello Stato. Tra l'altro, per l'elezione di quest'ultimo, a cui parteciperanno solo i 730 parlamentari e non più i delegati regionali, sono stati alzati i quorum (non più maggioranza assoluta dalla quarta votazione ma 3/5 dei votanti dalla settima in poi). Il che potrebbe sembrare una maggiore garanzia democratica, ma che in realtà, in combinazione con l'Italicum, non fa che favorire il partito vincente pigliatutto, indebolendo il potere contrattuale dei partiti minoritari.
Se a tutto questo aggiungiamo anche la riduzione dei diritti democratici ed elettorali borghesi dovuta all'abolizione delle Province, che taglia ulteriormente la rappresentanza politica per le masse già decurtata del Senato, e le nuove soglie di sbarramento per i referendum abrogativi e per le leggi di iniziativa popolare, le cui firme da raccogliere sono state aumentate rispettivamente da 500 mila a 800 mila e da 50 mila a 150 mila (nel testo del governo erano state addirittura quintuplicate), la “clausola di supremazia” (nuovo art. 117), con cui il governo centrale può avocare a sé i poteri delle Regioni su materie di loro competenza quando sia messo in discussione l'interesse nazionale, non si fa fatica a capire che nel complesso si tratta di poteri affidati ad un presidente del Consiglio che non hanno precedenti nella storia dell'Unità d'Italia, tranne nel caso di Mussolini.
Gioco delle parti con Berlusconi
Il fatto che stavolta Forza Italia abbia votato contro, insieme a Lega, SEL e FDI (il M5S non ha partecipato al voto restando fuori dall'aula), non significa affatto un cambiamento di linea in seguito alla presunta “fine” del patto del Nazareno, come ha voluto far credere Berlusconi. Si è trattato solo di un gioco delle parti, per permettere al delinquente di Arcore di compiacere Salvini con cui è in trattative sulle liste alle prossime regionali, ben sapendo che tanto Renzi non rischiava nulla, avendo alla Camera una maggioranza schiacciante e non avendo bisogno perciò dei suoi voti, vista anche l'ennesima capitolazione annunciata ancor prima del voto dalla sinistra PD. In ogni caso, all'occorrenza, erano pronti ad arrivare in soccorso a Renzi e alla Boschi i voti di Verdini e dei suoi fedelissimi, ma non ce n'è stato bisogno.
Potrebbero servire invece per il prossimo passaggio al Senato, ma Renzi e la Boschi hanno già fatto sapere che non ci sarà discussione e non saranno accettate altre modifiche, che renderebbero necessario una ulteriore navetta Camera-Senato. E quindi sarà rapidissimo, una pura formalità. Ben diverso è il discorso per quanto riguarda la legge elettorale, che dovrà passare il prossimo esame al Senato, e sulla quale infatti Renzi e la Boschi ora frenano e prendono tempo. Aspettano che passino le elezioni regionali, previste per fine maggio, prevedendo già che dopo di esse Berlusconi si sentirà più libero di svincolarsi da Salvini e riprendere in piena forza il patto del Nazareno solo temporaneamente sospeso, specie se il PD dovesse riuscire a strappare a Lega e “centro-destra” il Veneto e la Campania.
A quel punto i voti di Berlusconi, alla luce del sole o sottobanco, potrebbero tornare di nuovo utili. Se non altro come spauracchio contro i proclami della sinistra PD di rimandare alla legge elettorale l'ultima battaglia per ottenere qualcosa da Renzi. Bersaniani, cuperliani, prodiani e compagnia bella, infatti, dopo aver fatto come al solito fuoco e fiamme a parole, hanno finito per capitolare al diktat di Renzi e votare sì “per l'ultima volta” e solo “per senso di responsabilità”, riservandosi di votare no all'Italicum se il loro segretario non ascolterà le loro proposte di rivedere le liste bloccate e il premio di lista anziché di coalizione.
Ma quest'ultimo non se ne dà per inteso e li sfida con la solita arroganza, avendo ormai imparato che ogni volta i loro ultimatum sono sempre dei “penultimatum”, e che comunque può sempre contare sui voti di Berlusconi, o quantomeno di quelli sottobanco dei verdiniani, ribattendo che l'Italicum così come è uscito dagli ultimi incontri con il delinquente di Arcore non sarà cambiato di una virgola. Il massacratore da destra della Costituzione democratica borghese del '48 va spazzato via, e bisogna lottare contro il capitalismo per il socialismo e il potere politico del proletariato.
18 marzo 2015