Il socialimperialismo cinese sfida l'imperialismo Usa anche sul piano monetario
Italia, Germania, Francia e Gran Bretagna aderiscono alla banca mondiale della Cina
L'ira della Casa Bianca
La notizia dell'adesione della Gran Bretagna, subito imitata da Germania, Francia e Italia, alla Banca asiatica per gli investimenti in infrastrutture (Aiib, secondo l'acronimo inglese), creata appena un anno fa dalla Cina, ha mandato su tutte le furie il governo statunitense, che vede gravemente minacciata l'egemonia dell'imperialismo Usa anche sul piano monetario, oltreché a livello commerciale, tecnologico e militare, su cui la sfida col socialimperialismo cinese era già in pieno atto da tempo. Per non parlare di quella sul piano economico globale, sul quale molti analisti danno già per avvenuto il sorpasso nel corso del 2014, in anticipo di 5 anni sulle previsioni.
La Banca asiatica, con sede a Pechino e una dotazione di 100 miliardi di dollari, di cui 50 già spendibili per progetti concreti, è nata nell'ottobre 2013 su impulso cinese per favorire gli investimenti in infrastrutture in tutta l'area asiatica e del Pacifico, e in particolare nei settori dell'energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni. Vi aderiscono importanti paesi dell'Estremo Oriente come India, Pakistan, Bangladesh, Thailandia, Filippine, Malesia, Singapore, Brunei, Cambogia, Laos, Birmania, Vietnam, Nepal, Sri Lanka, Uzbekistan, Tajikistan, Kazakhstan e Mongolia. Ma anche paesi del Medio Oriente come Kuwait, Oman, Quatar, Giordania e Arabia saudita. E più di recente hanno aderito importanti paesi occidentali come la Nuova Zelanda e i quattro paesi europei summenzionati, tutti appartenenti al G7, con la Gran Bretagna a fare da apripista; mentre persino l'Australia, rimasta finora fuori dal nuovo club mondiale in obbedienza alle pressioni Usa, ma incoraggiata adesso dalla decisione di Londra, sembra intenzionata a rivedere la sua posizione e porre anch'essa la propria candidatura.
Minaccia all'egemonia del dollaro
É proprio l'adesione della Gran Bretagna, considerata da sempre il suo più stretto alleato storico su tutti i piani - economico, finanziario, politico e militare - a spaventare l'imperialismo Usa che, considerando anche la defezione di altri due paesi della sua cintura imperialista mondiale di lingua anglosassone, come Nuova Zelanda e Australia, più quella di Francia, Italia e Germania (vale a dire praticamente la testa della Ue), vede profilarsi la fine di quel sistema monetario basato sulla supremazia del dollaro che durava dalla fine della seconda guerra mondiale con gli accordi di Bretton Woods. Sistema sopravvissuto anche all'abolizione della convertibilità del dollaro in oro decretata nel 1971 da Nixon, per mancanza finora di vere alternative: la sfida dell'euro, nato con l'ambizione di sostituire il dollaro negli scambi internazionali, non ha retto infatti all'impatto devastante della crisi capitalistica mondiale e alla debolezza politica intrinseca delle istituzioni europee.
Quel sistema monetario, ancora basato sulla moneta americana e sulla Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, tutti e due con sede a Washington e a trazione statunitense, vede ora spuntare con la banca asiatica cinese un nuovo e più temibile concorrente monetario mondiale che aspira a soppiantarlo, grazie alla forza di attrazione del suo immenso mercato e della sua economia che marcia ancora a ritmi che, per quanto ridotti dalla crisi globale, sono nettamente superiori agli Usa e agli altri paesi capitalisti. D'altra parte gli Stati Uniti si erano sempre opposti alle richieste di Pechino di avere più peso all'interno della Bm e del Fmi, istituzioni che ora con la mossa cinese perdono improvvisamente di peso e importanza. Il fatto che la Cina sia riuscita a convincere perfino il primo e più fedele alleato storico degli Usa dimostra quanto sia seducente la strategia della cricca capitalista di Pechino. Specie per un paese come la Gran Bretagna, che già nel 2013 attraeva nella City londinese, con un volume di 3,1 miliardi di sterline al giorno, il 60% delle transazioni effettuate fuori dai confini cinesi, e che aspira perciò ad essere il collettore europeo dei nuovi colossali investimenti promessi dalla Aiib: “Ci sono mutui interessi”, ha detto al momento della firma il Cancelliere dello scacchiere George Osborne, il ministro degli Esteri inglese. Dichiarazioni simili sono state fatte dagli altri tre paesi europei firmatari, consapevoli da parte loro che la ripresa dell'economia nel vecchio continente è sempre più legata alle esportazioni, e quindi al mercato cinese che è potenzialmente il più grande del mondo.
La sorpresa e l'ira di Washington
Da qui lo sconcerto e la rabbia dell'amministrazione Obama, che secondo il Financial Times
, già indispettita per la riduzione degli investimenti di Londra in armamenti convenzionali malgrado le raccomandazioni della Nato, avrebbe reagito molto duramente alla decisione del governo Cameron, accusandolo di tenere un atteggiamento di “costante accomodamento” verso la Cina. Mentre nei confronti dei governi europei la Casa Bianca ha scelto una linea più demagogica, mettendoli in guardia dai rischi di aggiramento degli standard di protezione dell'ambiente e dei diritti dei lavoratori dovuti alla “opacità” della banca cinese, controllata direttamente dai governanti di Pechino, in confronto ai “progressi” fatti in questo campo dalla Banca Mondiale che, a detta di Washington, adotterebbe invece “standard ben più severi”.
La sorpresa e l'ira della Casa Bianca sono motivate anche dalla rapidità con cui, in poco più di un anno la Aiib, da un'idea del leader cinese Xi Jinping, è diventata una realtà mondiale in grado di sfidare istituzioni monetarie come la Bm e il Fmi, tanto che Bloomberg ha definito la Cina il “nuovo Fondo Monetario Internazionale” per i suoi finanziamenti ad Argentina, Ecuador, Russia e Venezuela. E la banca anglo-svizzera Hsbc ha definito Pechino il “nuovo polo della finanza mondiale”. E questo nonostante le strategie economiche, diplomatiche e militari messe in atto ultimamente da Obama nello scacchiere Asia-Pacifico per fare barriera contro l'ascesa dell'imperialismo concorrente cinese. Come per esempio cercare di potenziare ed allargare ad altri paesi, anche europei, la Banca Asiatica di Sviluppo con sede a Manila, egemonizzata dagli Usa in alleanza stretta con Giappone e Corea del Sud, alla quale Obama era riuscito a tirare dentro in funzione anticinese anche il Vietnam. Paese che aveva aderito anche al Trans-Pacific Partnership (Tpp), l'altro organismo economico-militare creato dagli Usa in funzione anticinese tra le due sponde del Pacifico, secondo la strategia denominata Pivot Asia. Il Tpp è riuscito però ad interessare solo una metà circa dei 21 paesi aderenti all'Apec (Cooperazione economica dell'Asia e Pacifico, il cui ultimo vertice si è tenuto proprio a Pechino lo scorso novembre), e che stenta a decollare. Tanto che lo stesso Vietnam si è iscritto nel frattempo anche all'Aiib cinese, e forse sta per farlo anche un pilastro economico-militare del Tpp considerato fondamentale dagli Usa, come appunto l'Australia.
La strategia multilaterale di Pechino
D'altra parte la creazione della banca mondiale cinese è solo il più recente di una serie di passi fatti negli ultimi tempi dalla cricca socialimperialista di Pechino per insidiare sul piano economico e monetario la supremazia dell'imperialismo Usa. Si pensi per esempio al suo impulso alla creazione della banca dei Brics, la banca dei paesi emergenti Brasile, Russia, India, Sudafrica e la stessa Cina. Si pensi anche ai 40 miliardi di dollari stanziati per la “nuova via della seta”, il progetto di una grande rete ferroviaria e marittima destinata a rivoluzionare i traffici commerciali tra Estremo Oriente ed Europa, inaugurata lo scorso novembre dal primo convoglio ferroviario di container che ha coperto in 21 giorni via Russia il viaggio tra il nuovo gigantesco hub commerciale di Yiwu, a 300 Km a sudovest di Shanghai, e Madrid. Per non parlare dell'ambizioso progetto di rivoluzionare gli scambi finanziari internazionali lanciando entro l'anno il Cips (China international payment system) basato sullo yuan, in concorrenza con l'attuale Swift (Society for worldwide interbank financial telecommunication) basato sul dollaro. D'altra parte se ancora nel 2013 lo yuan era solo al 13° posto tra le monete usate per gli scambi internazionali, adesso è al 5° dopo la sterlina, il franco svizzero, l'euro e il dollaro americano, essendo gli scambi internazionali con la moneta cinese aumentati del 321% negli ultimi due anni. Gli analisti di Hsbc predicono anzi che entro il 2015 lo yuan potrebbe diventare la terza moneta internazionale.
Se a tutto ciò si aggiunge il sempre più intenso shopping di industrie, servizi, banche, complessi immobiliari, terreni, ecc., da parte dei capitali cinesi in tutto il mondo e in particolare in Europa, come anche solo di recente è successo in Italia con l'acquisto di quote di maggioranza di Ansaldo e Pirelli, ma anche di importanti quote di società storiche come MPS, Generali e Telecom, si ha un quadro abbastanza chiaro di come i rapporti di forza interimperialistici si stiano modificando, con il socialimperialismo cinese in rapida ascesa e ormai arrivato a insidiare la supremazia dell'imperialismo americano in affanno.
Una rapida ascesa, però, pagata col sudore e il sangue dei lavoratori e del popolo cinesi, che a fronte del gigantesco sviluppo produttivo della Cina sono tra i più poveri e sfruttati del mondo, per soddisfare la brama di ricchezza e di potenza di una cricca di capitalisti borghesi e di fascisti che si maschera strumentalmente dietro i simboli del socialismo.
25 marzo 2015