Le multinazionali imperialiste dominano il mondo
Sulle prime cento potenze mondiali 55 sono multinazionali e 45 Stati sovrani
Hanno in mano anche la comunicazione, l'informazione e il web
Una recente ricerca di una organizzazione noglobal svizzera ha messo in evidenza che un ristretto gruppo di multinazionali dell'industria alimentare controlla più del 70% del suo settore di mercato; sono 10 grandi società cui fanno capo circa 500 marchi fra i più noti del del settore alimentare con 450 miliardi di dollari di fatturato annuo e 7.000 miliardi di capitalizzazione, l’equivalente della somma del pil dei paesi più poveri della Terra. E sono in grado di condizionare non solo le politiche alimentari dell’Occidente ma anche le politiche sociali dei paesi più poveri, costretti di fatto a produrre in quantità industriale solo le merci da loro ordinate. Prima della graduatoria è la Nestlé con un fatturato di 90,3 miliardi, seguita dalla Pepsicola con 66,5 miliardi; nel mezzo ci sono la Unilever con 60 milardi, la Mondelez (ex Kraft) con 55 miliadi e la Coca Cola con 44 miliardi. In fondo alle dieci la Kellogg’s con 13 miliardi di dollari di ricavi annui. Poco distante dalla Kellogg’s si piazza la prima delle multinazionali italiane che è la Ferrero con un giro di circa 10 miliardi di dollari.
La Ferrero, insieme a altre 5 italiane quali Luxottica, Pirelli, Barilla, Indesit e Perfetti fa parte anche della classifica delle 250 multinazionali più ricche e potenti che si possono definire i padroni del mondo, secondo uno studio pubblicato lo scorso anno su dati relativi al 2012.
Le imprese transnazionali sono oltre 60.000, secondo il censimento dell'atlante Globalinc; di queste solo il 25% sono americane, la maggior concentrazione si ha nell'area dell'Asia-Pacifico che comprende Cina, Giappone, Corea del Sud e Australia. Negli anni Sessanta la proporzione era invertita, quasi i due terzi delle società avevano il loro quartier generale negli Stati Uniti, a conferma del declino economico della superpotenza imperialista americana, allora la prima nel mondo, e dell'emersione di altre tra le quali la concorrente Cina lanciata al sorpasso.
Tra le prime dieci del mondo per giro di affari nel 2012 vi erano la sudcoreana Samsung con 150 miliardi di fatturato, seguita da Apple, Panasonic e Nestlè. Completano la Top ten la Procter & Gamble, Sony, PepsiCo, Unilever, Kraft Foods e Nokia.
Il loro fatturato non è intaccato dalla crisi economica, i loro tentacoli sono estesi su tutto il pianeta e permettono loro di compensare agevolmente il calo di vendite in un continente con l'aumento in un altro. Tanto che, secondo una stima dell'Unctad, l'agenzia del commercio delle Nazioni Unite, la classifica delle prime cento potenze economiche mondiali in base al prodotto interno lordo (pil) vede la presenza di ben 55 società multinazionali contro 45 Stati sovrani. Sono 55 giganti mondiali più potenti economicamente di tanti Stati, che tra l'altro controllano la comunicazione, l'informazione e il web, dagli strumenti materiali adoperati fino ai contenuti per una effettiva globalizzazione e armonizzazione del "pensiero unico" capitalista.
Una posizione di dominio che le multinazionali della regione asiatica allargheranno per la forte spinta fornitagli dalla crescita economica dei principali paesi dell'area mentre quelle americane e europee si affidano anche alla stipila del TTIP, acronimo di Atlantic Trade and Investment Partnership, Partenariato Atlantico per il Commercio e gli Investimenti per blindare un mercato che vale il 50% del pil mondiale.
15 aprile 2015