Rifiutare l'ipotesi d'accordo del commercio
Un contratto che recepisce il Jobs Act
La Cgil dice di contrastare la controriforma del lavoro ma poi assieme a Cisl e Uil va nella direzione opposta
Primi 3 giorni di malattia non pagati, demansionamento, straordinari non retribuiti, massima flessibilità, licenziamenti facili
E' stata firmata l'ipotesi di contratto dei lavoratori del commercio, un settore che impiega oltre tre milioni di persone. La Confommercio da una parte e le rispettive categorie di Cgil, Cisl e Uil dall'altra hanno firmato la bozza il 30 marzo senza il minimo coinvolgimento dei lavoratori e senza effettuare un ora di sciopero. Fatto quest'ultimo che già segnala come i sindacati abbiano accettato supinamente le condizioni della controparte padronale.
Praticamente hanno accettato un accordo a scatola chiusa, compresa la Cgil che invece nelle due occasioni precedenti si era rifiutata, mentre Cisl e Uil avevano firmato, inanellando uno dei tanti accordi separati che hanno caratterizzato la storia sindacale degli ultimi 15 anni. Qualcuno potrà pensare che la ritrovata unità sia dovuta a un ripensamento di Cisl e Uil o quantomeno a un riavvicinamento tra i vari punti di vista? Niente di tutto questo. E' la Cgil che ha sposato le posizioni della Furlan e di Babagallo e tutti assieme hanno accettato il modello Marchionne tradotto in legge attraverso il Jobs Act di Renzi.
L'intesa raggiunta nel terziario sconfessa tutte le dichiarazioni fatte dalla Camusso e da Landini sull'opposizione alla cancellazione dell'articolo 18 e dello statuto dei lavoratori. Nell'ultimo direttivo nazionale del 28 febbraio e in altre occasioni pubbliche, entrambi avevano espresso formalmente la volontà di continuare con forza la lotta contro i provvedimenti in materia del governo, anche dopo l'approvazione del Jobs Act.
Era stato più volte ribadito che la Cgil, anche attraverso il rinnovo dei contratti nazionali di categoria, avrebbe contrastato o quantomeno cercato di attenuare gli effetti della controriforma del lavoro firmata Renzi e Poletti e ispirata da Marchionne, Squinzi e Unione Europea salvo poi firmare un accordo che non solo non inverte la tendenza capitolazionista dei precedenti, ma va oltre facendo propria la politica di attacco ai diritti dei lavoratori del governo Renzi, Jobs Act compreso.
Un cedimento su tutta la linea. In rete è disponibile la bozza dell'accordo, dove è possibile vedere il testo precedente e le parti sostituite con quelle nuove. E' lampante come tutti i cambiamenti apportati siano peggiorativi per i lavoratori. Nella rottura dell'unità negli anni scorsi uno dei motivi principali erano gli “accordi in deroga”, ovvero la possibilità molto ampia per le aziende di poter ignorare i contratti nazionali di categoria. Una pratica che in questo accordo diventa una prassi.
Una delle cose più gravi contenute in questa intesa è difatti la possibilità di lavorare per 44 ore settimanali senza che vengano pagate le eccedenze come straordinari, bensì accantonate per essere gestite dai padroni nei periodi che ritengono più opportuni. Il lavoro domenicale viene riconfermato, mentre i comuni turistici (in Italia quasi tutti) possono usare senza limitazioni i contratti a tempo determinato. E la flessibilità totale è servita.
Un altra norma odiosa è quella del non pagamento della malattia nei primi tre giorni. Solo nei primi due casi ciò avverrà mentre dal terzo diminuirà fino a scomparire del tutto. In pratica il divieto di ammalarsi come impose Marchionne a Pomigliano e Mirafiori. La maternità invece sarà concessa solo dopo che la lavoratrice avrà terminato ferie e permessi. Regole infami che colpiscono i più deboli e le donne in un settore come il terziario dove le lavoratrici sono la maggioranza.
Poi ci sono i capitoli che più di tutti recepiscono il Jobs Act. Uno è quello del demansionamento. L'accordo prevede per i “soggetti svantaggiati” (disoccupati, con reddito inferiore al minimo, apprendisti non confermati, ecc.) un'assunzione per i primi sei mesi di due livelli inferiori rispetto alla qualifica, per i successivi sei mesi di un livello inferiore, estendibile per ulteriori 24 se il contratto viene trasformato a tempo indeterminato. Mentre per assumere nuovi apprendisti prima vigeva l'obbligo di assunzione all'80% per quelli vecchi, adesso invece ne basta il 20%. Confermata la possibilità di stipulare contratti par-time della durata di 8 ore settimanali. e meno male che il Jobs Act avrebbe favorito il lavoro stabile!
A fronte di tutte queste concessioni ci sembra veramente fuori luogo gridare al successo e santificare questa intesa, oppure sbandierare come una vittoria il misero aumento di 85 euro lordi spalmati in tre anni senza nemmeno ottenere come di norma l'una tantum per il ritardo del rinnovo, in questo caso tre mesi stimati in 250/350 euro a seconda della qualifica
Da rilevare come nel contratto ci sia un ampio spazio dedicato agli “enti bilaterali”, ai fondi pensione e all’assistenza sanitaria integrativa. A quelle fonti economiche, che escono in gran parte dalle tasche dei lavoratori, gestite dai sindacati e che interessano molto le burocrazie di Cgil, Cisl e Uil. Soldi che spettano esclusivamente ai sindacati firmatari e quindi contribuiscono alla loro capitolazione e alla complicità verso i padroni.
Questo accordo va rigettato perché recepisce in pieno il Jobs Act e accetta la cancellazione dello stesso diritto borghese del lavoro così come lo abbiamo conosciuto fino a oggi. E' fortemente peggiorativo delle condizioni dei lavoratori e può fare da precedente negativo per le altre categorie. Purtroppo è un segnale che conferma come lo sciopero del 12 dicembre indetto da Cgil e Uil non fu l'inizio della mobilitazione contro il Josb Act e l'attacco ai diritti dei lavoratori, ma il suo atto conclusivo.
15 aprile 2015