G8 di Genova nel luglio 2001
“Alla Diaz fu tortura” La Corte di Strasburgo condanna l'Italia. Denunciate le responsabilità delle istituzioni
Le istituzioni coprirono i torturatori. Si impone una legge per il reato di tortura e una riforma democratica della polizia e il codice di riconoscimento delle “forze dell'ordine”
Via De Gennaro da Finmeccanica. Ma Renzi gli rinnova “la fiducia piena e totale”
“Quel che accadde” la notte del 21 luglio 2001 a Genova durante l'irruzione della polizia di Berlusconi, Fini, Scajola e Di Gennaro nella scuola Diaz al termine delle grandi manifestazioni di massa contro il G8 “deve essere qualificato come tortura”.
Lo ha sancito la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo nella sentenza emessa il 7 aprile con la quale, un Collegio di sette giudici presieduto dal magistrato Italiano Guido Raimondi, ha deciso all’unanimità, dopo ben 14 anni di battaglie giudiziarie, di accogliere il ricorso di Arnaldo Cestaro, una delle vittime di quella che è passata alla storia come la “macelleria messicana”.
Nel ricorso, Cestaro, che all’epoca dei fatti aveva 62 anni, afferma che quella notte fu brutalmente picchiato dalle “forze dell’ordine” tanto da riportare numerose fratture a braccia, gambe e costole che hanno richiesto numerosi interventi chirurgici negli anni successivi e subire ancora oggi ripercussioni molto gravi per le tante ferite subite.
Il capo di condanna riguarda la violazione dell’articolo 3 della convenzione europea dei diritti umani, a cui l’Italia aderisce. La norma vieta agli Stati firmatari “la tortura e ogni altra procedura che, anche non attraverso le lesioni fisiche, si traduca comunque in trattamento degradante e umiliante” nei confronti di individui detenuti, arrestati o anche semplicemente sottoposti a provvedimento di fermo, come appunto nel caso della mattanza alla Diaz conclusasi con 60 feriti e 93 arrestati accusati di associazione a delinquere finalizzate a devastazione e saccheggio. Accuse che sono in seguito cadute, rendendo di fatto anche da un punto di vista giuridico assolutamente immotivata e sproporzionata la brutale repressione dei poliziotti che hanno colpito senza pietà i manifestanti mentre dormivano nei sacchi a pelo.
La posizione dei 93 no global arrestati fu definitivamente archiviata dalla Procura di Genova nel 2003, mentre il processo contro alcuni dirigenti e agenti di polizia protagonisti delle torture è terminato con 25 condanne di lieve entità che tra l'altro hanno permesso a tutti gli imputati non solo di evitare il carcere per la sopraggiunta prescrizione di alcuni reati (le lesioni semplici e aggravate), per le riduzioni di pena di cui hanno beneficiato (in particolare, l’indulto) e per l'”assenza di sanzioni disciplinari”, ma anche di fare carriera negli anni successivi fino alla sentenza di Cassazione del 5 luglio 2012 che li ha interdetti per 5 anni dai pubblici uffici.
Il processo ha comunque accertato che la polizia costruì prove false per incastrare i manifestanti, a cominciare da due bottiglie molotov portate nella scuola dagli stessi poliziotti e poi esibite alla stampa tra gli oggetti sequestrati, a riprova della pericolosità degli arrestati.
La sentenza evidenzia non solo le violenze fisiche inferte dai poliziotti a suon di manganellate, calci e pugni agli ospiti della Diaz ma anche “le posizioni umilianti, l’impossibilità di contattare avvocati, assenza di cure adeguate in tempo utile, la presenza di agenti delle forze dell’ordine durante l’esame medico”.
Inoltre i giudici della Corte europea sottolineano che: se i torturatori e i massimi responsabili politici e istituzionali di quel massacro non sono mai stati individuati e puniti, la colpa “non è imputabile agli indugi o alla negligenza della magistratura, ma alla legislazione penale italiana che non permette di sanzionare gli atti di tortura e di prevenirne altri”. Le leggi italiane infatti non contemplano né il reato di tortura né l'imposizione di un codice di riconoscimento a chi è chiamato a svolgere funzioni di “ordine pubblico”. Ed è proprio grazie a ciò che: “la polizia italiana ha potuto impunemente rifiutare alle autorità competenti la necessaria collaborazione per identificare gli agenti implicati negli atti di tortura”.
“La Corte – si legge nel documento pubblicato sul sito istituzionale – ha riscontrato una violazione dell’articolo 3 della Convenzione, a causa dei maltrattamenti subiti da Cestaro e di una legislazione penale inadeguata per quanto riguarda sanzioni contro gli atti di tortura e misure dissuasive che prevengano la loro reiterazione”. La Corte di Strasburgo rileva che il carattere del problema è “strutturale” e richiama l’Italia a “stabilire un quadro giuridico adeguato, anche attraverso disposizioni penali efficaci”, munendosi di strumenti legali in grado di “punire adeguatamente i responsabili di atti di tortura o di altri maltrattamenti”, impedendo loro di beneficiare di misure in contraddizione con la giurisprudenza della Corte stessa.
L'Italia infatti è ancora oggi l'unico Paese europeo insieme alla Germania (come ai tempi dell'alleanza nazi-fascista ndr) che pur avendo ratificato fin dal 1988 la convenzione Onu del 1984 contro la tortura non ha ancora varato nessun provvedimento in merito. Da allora diverse proposte di legge sono state presentate in parlamento ma nessuna è mai stata calendarizzata alla Camera o al Senato. Non a caso nel corso degli ultimi anni dall’Italia sono state ammesse alla Corte europea di giustizia di Bruxelles e a quella dei diritti umani di Strasburgo numerose altre cause che ipotizzano lo stesso reato: prime fra tutte le torture e le violenze subite dai manifestanti no global arrestati durante i cortei di Genova e rinchiusi all’interno della caserma di Bolzaneto (al quale la corte ha assegnato carattere d’urgenza e chiesto quattro mesi fa al ministero dell’Interno italiano le sue controdeduzioni).
Lapidario il commento dei Pubblici ministeri genovesi che, con grande coraggio, condussero l’inchiesta contro i poliziotti e gli alti dirigenti di quella “macedonia di divise” (come la definì Vincenzo Canterini, allora comandante del Reparto mobile di Roma, poi condannato al processo Diaz): “Ciò che è accaduto alla scuola Diaz è un concentrato di violazioni della Convenzione dei diritti dell’uomo. Quella della Corte Europea è una decisione scontata”, ha detto Enrico Zucca che, insieme a Francesco Cardona Albini, sostenne l’accusa. “Quello che non era scontato era l’atteggiamento di tutti i governi e ministeri competenti che hanno costantemente ignorato quello che anche la giurisdizione italiana ha stabilito. Quando abbiamo detto che c’erano stati casi di tortura – ha ricordato ancora Zucca - siamo stati presi per pazzi e noi avevamo solo citato i principi della corte europea di giustizia. Questi fatti sono gravissimi per l’Italia perché – ha concluso Zucca - hanno visto coinvolti i vertici delle forze di polizia che hanno ricevuto in questi anni attestazioni di stima e solidarietà come se non fossero stati coinvolti da questi fatti e mi rifiuto di credere che non abbiano funzionari migliori di quelli che sono stati condannati”.
L'impunità garantita negli anni sia dalla destra che dalla “sinistra” del regime neofascista è stata totale: basti pensare che nonostante le pressanti richieste da parte del movimento no global il parlamento italiano non ha avuto nemmeno il coraggio di istituire una commissione d'inchiesta che indagasse i fatti, ne traesse delle conseguenze e legiferasse, ad esempio, su un vuoto normativo come appunto il reato di tortura.
Si impone dunque l'immediata approvazione di una legge che introduca finalmente nell'ordinamento italiano il reato di tortura, misure atte a identificare tramite codice di riconoscimento i picchiatori in divisa, la loro sospensione dal servizio durante le indagini e la fase processuale e, in caso di condanna l'immediata destituzione dall'incarico. Esattamente il contrario di quanto è successo in questi 15 anni durante i quali i torturatori della Diaz e i loro capi non solo non si sono fatti un solo giorno di carcere ma hanno fatto tutti carriera a cominciare dall'ex capo della polizia Gianni De Gennaro protetto e osannato non solo dal PD e dall'allora presidente Napolitano, che nel 2013 lo piazzarono al vertice della più importante e strategica azienda pubblica del Paese, ma anche da tutti i governi che si sono succeduti in questi anni ivi compreso quello dell'attuale Berlusconi democristiano Renzi che a nome dell'esecutivo ha confermato “la fiducia piena e totale per l'attuale presidente di Finmeccanica De Gennaro” perché, nonostante la sentenza della Corte europea, ha minacciato Renzi “Oggi sarebbe assurdo e inutile aprire una discussione su questo, per rispetto di Finmeccanica e dei suoi azionisti. Il governo non ha alcun dubbio sulla qualità e la competenza di De Gennaro: lo diciamo in modo chiaro”.
De Gennaro per il “servizio” reso a Genova ha ottenuto una serie di promozioni e incarichi governativi di alto livello tra cui: commissario straordinario per l’emergenza dei rifiuti a Napoli (gennaio-maggio 2008), direttore del Dipartimento per l’Informazione e la Sicurezza, il vertice dei servizi segreti civile e militare (maggio 2008 — maggio 2012), sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti nel governo Monti (maggio 2012 — aprile 2013). Quindi la presidenza di Finmeccanica, la holding di Stato che opera soprattutto nel settore degli armamenti militari e rappresenta perciò un concentrato di ricchezza, potere, accordi e segreti politici e diplomatici senza eguali nel mondo.
Di fronte a tutto ciò l'accelerazione impressa da Renzi al varo della “nuova legge” che introduce nel codice penale il reato di tortura in discussione al parlamento da quasi due anni appare come altro fumo negli occhi. Il testo approvato in prima lettura dal Senato il 5 marzo 2014, il 9 aprile scorso è stato approvato anche dalla Camera con 244 sì, 14 no (Lega Nord) e 50 astenuti del M5S. Ma non è finita, perché la Commissione Giustizia ha introdotto alcune modifiche e quindi ora la legge deve tornare al Senato per il via libera definitivo che chissà quando avverrà visto che ancora non è stata nemmeno calendarizzata. In ogni caso si tratta di un'autentica beffa perché la nuova legge qualifica la tortura non come reato specifico da contestare ai funzionari di polizia ma lo cataloga come reato comune, quindi imputabile a qualunque persona e non solo alle “forze dell’ordine” come avviene in quasi tutti Paesi europei. Il nuovo testo punisce infatti con la reclusione da 4 a 10 anni “chiunque, con violenza o minaccia o violando i propri obblighi di protezione cura o assistenza, intenzionalmente cagiona a una persona privata della libertà personale e a lui affidata o sottoposta alla sua autorità sofferenze fisiche o psichiche”. Dunque il reato di tortura può scattare solo se le violenze avvengono in seguito all'arresto. Una formulazione peggiorativa anche rispetto alla legislazione attuale che paradossalmente scagiona del tutto i torturatori della Diaz in quanto i ragazzi macellati quella notte al momento delle violenze non erano in stato di arresto.
Non solo. Nel testo non si fa alcuna menzione ai codici alfanumerici da apporre sulle divise degli agenti per la loro identificazione. I lavori della commissione Affari costituzionali del Senato per la stesura del testo definitivo sono stati bloccati e chissà se e quando riprenderanno. Il risultato è che anche in presenza del varo definitivo del disegno di legge sul reato di tortura non essendo possibile identificare gli autori del reato tutto finirà per essere insabbiato esattamente come è accaduto fino ad oggi.
15 aprile 2015