In visita alla Casa Bianca
Renzi esalta il suo maestro imperialista Obama
Il capofila dei governanti imperialisti benedice le controriforme del nuovo Berlusconi
I due guerrafondai d'accordo su Libia, Afghanistan, Stato Islamico e Ttip
“La leadership americana è un punto di riferimento”, ha affermato il presidente del Consiglio Matteo Renzi nella conferenza stampa alla Casa Bianca al termine dell’incontro del 17 aprile col presidente americano Barack Obama. Renzi esaltava il suo maestro imperalista Obama in particolare sulle questioni economiche dove la scelta della Casa Bianca di affrontare la crisi stampando moneta e facendola deprezzare rispetto all'euro ha fatto registrare finora alcuni successi rispetto quella dell'Europa inchiodata al pareggio di bilancio. Ma anche riguardo alle questioni politiche l'elogio di Renzi non è mancato nei fatti con il sostanziale accordo sulle principali crisi internazionali dalla Libia all' Afghsanistan, allo Stato islamico; senza dimenticare l'importante questione del Ttip.
L'elogio di Renzi è stato ampiamente ricambiato da Obama che si è detto positivamente colpito dalla “volontà di Renzi di guardare al futuro e alla crescita del paese per cambiare lo status quo“. Un atteggiamento che lo ha reso una “guida per l’Europa“. “L’approccio che Matteo descrive è giusto, andare avanti con le riforme strutturali” provando a far “aumentare la domanda”, ha precisato il capofila dei governanti imperialisti benedicendo le controriforme del nuovo Berlusconi.
Così Renzi ha potuto glorificare il Jobs Act, sottolinendo che “gli investitori statunitensi che vogliono investire in Italia hanno finalmente un mercato italiano più flessibile, hanno un sistema del fisco, della giustizia e della Pa che nei prossimi sei mesi” sarà migliorato. Con tanta benedizione ha avuto buon gioco nel sostenere che “le riforme non possono essere bloccate”.
Nell'incontro alla Casa Bianca, al quale erano presenti anche il segretario di Stato John Kerry, il vicepresidente degli Stati Uniti Joe Biden, la consigliera per la sicurezza nazionale Susan Rice ed il suo vice Ben Rhodes, Renzi e Obama hanno passato in rassegna le varie questioni internazionali che saranno affrontate con una “maggiore cooperazione tra Italia e Usa”, fra le quali quella contro lo Stato islamico.
Italia e Usa, ha affermato Renzi nella conferenza stampa, “sostengono la formazione di un governo di unità nazionale in Libia“ e “per stabilizzare quella che è una situazione difficile”, dove Obama non sembra volersi impegnare direttamente e può lasciare la ribalta ai paesi imperialisti europei, primo fra tutti quello italiano. Ma non c’è solo la Libia, ha proseguito Renzi, perché “dalla Russia all’America Latina dall’Afghanistan al Medio Oriente, la cooperazione tra Italia e Usa è fuori discussione”. E ha messo nel piatto di Obama il regalo della presenza dei soldati italiani nella base di Herat in Afghanistan almeno fino al 2016, per non lasciare da soli i marines nell'addestramento dei soldati afgani, o meglio nel proseguimento dell'occupazione militare imperialista.
Riguardo all'accordo Ttip, il famigerato trattato di libero scambio tra le due sponde dell'Atlantico, il Transatlantic Trade and Investment Partnership, Renzi ha affermato che il negoziato deve andare avanti perché “l’Italia ha tutto da guadagnare sotto il profilo economico ma soprattutto perché mentre gli Usa concludono accordi con la Cina e altri attori noi, che con gli Usa abbiamo una collaborazione storica forte, non possiamo non fare altrettanto”. All'opposto di quanto hanno espresso i manifestanti anti Ttip che il giorno dopo hanno manifestato in Italia e in tutto il mondo.
Obama con la consueta ipocrisia imperialista affermava che nel Ttip “dobbiamo metterci più regole a tutela dei lavoratori e dell'ambiente”, ma va comunque approvato “perché se non siamo noi a definire nuove regole dell'economia globale, lo farà la Cina a scapito nostro”. Un modo indiretto per far fischiare le orecchie anche a Renzi dopo che la Casa Bianca aveva criticato l'Italia e altri paesi europei per avere aderito alla nuova banca asiatica degli investimenti promossa e diretta da Pechino, alternativa alla Banca mondiale guidata dagli Usa.
Forse è stato l'unico distinguo registrato in una conferenza stampa molto confidenziale, piena di "Caro Matteo" e "Caro Barack". E che Obama aveva aperto presentando l'ospite ai giornalisti americani come "un leader dinamico disposto a sfidare lo status quo" e confessava di essere rimasto “impressionato dalla sua energia e dalle sue riforme".
22 aprile 2015