La cattolica Irlanda vota a valanga per il matrimonio gay
L'Italia ne segua l'esempio
Nel referendum del 22 maggio, i 3,2 milioni di irlandesi con diritto di voto dovevano rispondere alla semplice domanda presente sulla scheda, se volevano emendare l'articolo 41 della Costituzione del 1937 con l'inserimento di un nuovo paragrafo che affermava: “Il matrimonio può essere contratto per legge da due persone, senza distinzione di sesso”. L’afflusso alle urne è stato del 60,5% e quasi i due terzi dei partecipanti ha espresso il voto favorevole per il matrimonio gay.
Il risultato del referendum popolare ha registrato una valanga di voti per il “sì”, il 62,1% contro il 37,9% dei “no”; nella capitale Dublino e nelle altre città i voti favorevoli hano toccato punte di oltre il 70%.
A favore del matrimonio gay si erano espressi il governo e i principali partiti irlandesi, compresi quelli di matrice cattolica; contrari gli esponenti più conservatori del Fianna Fail e del Fine Gael che hanno la loro base elettorale nelle aree rurali, dove comunque ha vinto il “sì”.
Determinante per la vittoria il voto di molti emigranti che sono tornati a casa appositamente per il referendum e quello dei giovani. Decine di migliaia si sono iscritti nei registri elettorali nelle ultime settimane, portando il numero dei votanti della fascia 18-25 anni a circa 400mila, ritenuti decisivi per il risultato.
“Un faro, una luce di libertà e uguaglianza per il resto del mondo”, ha definito il risultato del referendum Leo Varadkar, ministro della Salute che ha smesso di nascondere la sua omosessualità nel momento in cui il governo ha rotto gli indugi e ha scelto di sostenere il cambiamento della Costituzione. “Saremo il primo Paese nel mondo a custodire l'uguaglianza nel matrimonio nella nostra Carta, e a farlo con un mandato popolare”, ha sottolineato.
Con l'Irlanda diventano 22 i Paesi che in tutto il mondo hanno legalizzato i matrimoni tra omosessuali che sono Danimarca, Olanda, Belgio, Spagna, Francia, Canada, Sudafrica, Norvegia, Svezia, Slovenia, Portogallo, Inghilterra, Galles, Islanda, Argentina, Uruguay, Nuova Zelanda, Finlandia, Messico, Brasile e Usa ma solo in 38 Stati. All'elenco manca l'Italia, una delle poche in Europa a non prevedere tutele per le coppie omosessuali, ben lontana dai pari diritti per le coppie di fatto e omosessuali mentre invece dovrebbe seguire l'esempio irlandese.
L'Irlanda è la prima nazione a approvare il matrimonio gay con una consultazione popolare che si tiene cinque anni dopo l'approvazione in Parlamento delle unioni civili per le coppie omosessuali; solo 20 anni fa l'omossessualità era ancora un reato penale. Da fanalino di coda a esempio per i diritti civili.
Con grande scorno della chiesa cattolica che comunque ha dovuto prendere atto della sconfitta delle sue posizioni reazionarie, propagandate comunque nella campagna elettorale. “Quanto è accaduto non è soltanto l'esito di una campagna per il sì o per il no, ma attesta un fenomeno molto più profondo, una rivoluzione culturale”, ha commentato l'arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin. “La Chiesa deve chiedersi quando è cominciata questa rivoluzione culturale e perché alcuni al suo interno si sono rifiutati di vedere questo cambiamento. È necessario anche rivedere la pastorale giovanile: il referendum è stato vinto con il voto dei giovani e il 90 per cento dei giovani che hanno votato sì ha frequentato scuole cattoliche”, ha sottolineato l'arcivescovo, con una tardiva autocritica. Anche perché non è solo una questione di vedere e pilotare il "cambiamento" come ha sottolineato il quotidiano dei vescovi italiani Avvenire
che è intervenuto sull'esito del voto referendario ricordando un altro elemento, quello della chiesa cattolica che sarebbe “una tradizione secolare che, se ha fatto la storia dell'Irlanda, è uscita fatalmente discreditata dall'abisso dello scandalo della pedofilia che l'ha travolta”.
27 maggio 2015