Rapporto Istat 2015 sulla situazione in Italia
Un Paese in ginocchio tra povertà e disoccupazione
Il tasso di disoccupazione sale al 13% e quello giovanile era del 42,7% nel 2014 col picco del 55,9% al Sud. Un italiano su 10 costretto a rinunciare alle cure mediche. Il rapporto OCSE rivela che crescono le disuguaglianze tra ricchi e poveri in Italia

Disoccupazione alle stelle, povertà, precarietà e divario sociale in forte e continuo aumento: è questa la disastrosa condizione di un Paese in ginocchio, delineata dal Rapporto Istat 2015. Tanto che non si comprende a cosa si riferisca il presidente dell'Istituto, Giorgio Alleva, quando afferma che "per il 2015, gli indicatori delineano prospettive positive in Italia e nel complesso dell'Unione economica e monetaria".
E va bene che Alleva è stato nominato da Renzi, ma quello che non c'è nei numeri non c'è e non lo si può certo inventare ad uso e consumo propagandistico del governo.
Il quadro è davvero impietoso e quelli che qualche commentatore troppo entusiasta ha considerato elementi di una “timida” ripresa, altro non sono che, considerati alla luce della condizione delle masse, l'ennesima conferma del disastro economico e sociale in cui il nuovo duce ha condotto l'Italia.
Si consideri la questione lavoro. Il tasso di disoccupazione globale è passato dal 12,1% nella media del 2013 al 12,7% del 2014, quello giovanile è cresciuto ulteriormente fino a raggiungere il 42,7% (55,9% nel Mezzogiorno). A marzo 2015 il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 13%. Aumenta anche la disoccupazione di lunga durata, che ha un'incidenza del 60% sul totale di coloro che sono in cerca di lavoro.
Però qualcuno parla di aumenti di posti di lavoro. Come mai? Sarebbero cresciuti gli occupati nel 2014 dello 0,4%. E si conterebbero 88.000 “nuove” assunzioni. La cosiddetta crescita si concentra quasi unicamente tra gli ultracinquantenni, gli stranieri residenti e le donne, con una dinamica che, piuttosto che far intravedere la lucina in fondo al tunnel, ci conferma l'esistenza di una crisi galoppante scaricata, in primo luogo, sulle fasce più deboli delle masse lavoratrici. Se il numero di lavoratori ultreciquantenni aumenta infatti ciò è dovuto unicamente alle controriforme previdenziali che hanno allontanato l'età della pensione e al calo inesorabile del potere d'acquisto che costringe anche chi vorrebbe andare in pensione a restare sul posto di lavoro. A causa di queste dinamiche, dettate dalle controriforme governative, il tasso di occupazione degli ultracinquantenni, pari al 54,8%, è aumentato del 7,7% negli ultimi sei anni. Considerando che il “recupero” di posti di lavoro si è concentrato soprattutto nell'industria, cioè nel settore produttivo per eccellenza, che per essere davvero tale avrebbe bisogno di lavoratori più giovani, possiamo comprendere in che condizione sia l'economia in Italia.
C'è poco poi da essere entusiasti sulla crescita dell'occupazione femminile e dei migranti. Essa infatti va messa in relazione con Il boom del part-time forzato che dà luogo a terribili forme di sfruttamento e sottocupazione, legalizzate dal Jobs act, e imposte contro la volontà dei lavoratori. Tra il 2008 e il 2014 l'incremento del part-time è di 784.000 posti, pari al 23,7% in più. E si stima che il 63,3% di esso sia forzato e spesso conseguente alla perdita di un lavoro a tempo indeterminato e orario pieno.
E poi c'è il Mezzogiorno, il cui disastro economico e sociale non può essere nascosto neanche dai toni entusiastici dei quotidiani di regime.
In questa parte del Paese, il reddito è più basso del 18% rispetto alla media nazionale, con punte del 30% in meno nelle aree più povere. Ciò incide pesantemente sulla capacità d'acquisto di beni e servizi delle famiglie meridionali, che si ferma a poco più del 70% della media nazionale. Le conseguenze sono gravi. Infatti al Sud c'è una quota maggiore di persone in cattive condizioni di salute, pari al 20% contro il 17,7% nel Centro-Nord. Del resto la percentuale è alta in tutto il Paese, dove un italiano su 10 è costretto a rinunciare alle cure mediche.
Sulla stessa lunghezza d'onda il rapporto OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) 2014, che rivela come negli ultimi anni in Italia siano aumentate le diseguaglianze economiche e sociali, arrivando a livelli mai visti prima. Al 20% della popolazione appartiene ben il 61,6% della ricchezza nazionale. Tra i ricchissimi, appena l'1% detiene il 14,3% della ricchezza totale.
Un altro 20% di ricchi detiene il 20,9% della ricchezza e il restante 60% della popolazione appena il 17,4%.
Ad essere penalizzati sono soprattutto i lavoratori atipici, in primo luogo i giovani. Proprio all'incertezza del salario sono dovuti gli attuali squilibri. Peraltro in Italia, ancor più che nel resto dei Paesi dell'UE imperialista, è la precarietà ad influire sull'aumento delle disuguaglianze. Infatti le percentuali di lavoratrici e lavoratori precari sono ben più alte nella penisola. Nel 2013 il 40% della popolazione era impiegata in lavoro precario, contro il 33% medio dell'UE. Nel nostro Paese il lavoro precario è cresciuto del 24% tra il 1995 e il 2007, contro un incremento del 7,3% degli altri Paesi.
Non c'è dubbio, i Rapporti Istat e OCSE sconfessano la presunta bontà delle scelte politico-economiche del governo del nuovo duce. I suoi attacchi al diritto borghese del lavoro, sostenuti dalle controriforme istituzionali e costituzionali, e l'aggressione fascista ai sindacati e al contratto nazionale di lavoro non hanno prodotto più occupazione e benessere, ma solo ulteriore precarizzazione, allungamento dei periodi di disoccupazione, più lavoro nero, sottoccupazione e supersfruttamento, con conseguenze che tutti possiamo vedere sui redditi delle masse lavoratrici e sul depauperamento delle entrate dello Stato. A ciò si aggiungano i i tagli agli statali, il blocco totale del turn over, dei contratti e, dunque, degli stipendi, la “Buona scuola”, i tagli alla spesa pubblica, che si ripercuotono sull'efficienza della sanità, dei servizi sociali e dei trasporti, le politiche di privatizzazione che hanno prodotto solo il ladrocinio delle risorse pubbliche e l'impossibilità per le masse popolari, specie al Sud di acquistare beni e servizi essenziali.
Il nuovo duce Renzi sta provocando danni devastanti al Paese. Va spazzato via subito prima che completi il disastro.
 

4 giugno 2015