Capitalismo assassino
Muore un altro operaio Ilva bruciato dalla ghisa incandescente
La Procura indaga per omicidio colposo e sequestra l'altoforno. La ASL: “La sicurezza di fabbrica non è garantita”
Cinque vittime operaie negli ultimi tre anni
L’ennesimo “omicidio bianco” si è consumato nell’Ilva di Taranto lo scorso lunedì 8 giugno allorquando l’operaio metalmeccanico Alessandro Morricella, 35 anni, è stato investito da una colata di ghisa incandescente che ne ha provocato la terribile morte. I testimoni raccontano di aver sentito un boato, come un'esplosione, a cui sono seguite fiamme altissime e una vampata di calore che ha prodotto una temperatura di quasi 1.500 gradi travolgendo il povero operaio fino a procurare ferite sul 90 per cento del corpo.
Dopo un'agonia di 4 giorni al Policlinico di Bari, sopraggiungeva il 12 giugno la morte di Morricella. La notizia è stata, in un primo momento, messa vergognosamente sotto silenzio dai mass media del regime neofascista fin quando vi è stata l’apertura di un fascicolo da parte della Procura di Taranto, il 18 giugno, che ha disposto il sequestro senza facoltà d’uso dell’Altoforno 2 dell’Ilva. Il provvedimento afferma, tra l’altro, la necessità di un adeguamento all’autorizzazione integrata ambientale, atteso che la fabbrica produceva acciaio adoperando solo l’Afo 2 e l’Afo 4; nel caso in cui non avvenisse questo adeguamento si potrebbe arrivare al blocco dell’intero stabilimento siderurgico, a causa del fermo di uno dei due impianti principali.
Questa decisione, impressa nel sequestro avviato dai pubblici ministeri tarantini Antonella De Luca e Franco Sebastio - che hanno aperto il fascicolo per il reato di omicidio colposo, iscrivendo dieci persone come indagati - bissa la relazione dei tecnici dello Spesal (Servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro dell'Asl) che avevano concesso all’Ilva 60 giorni di tempo per “adottare tutti i provvedimenti necessari atti ad evitare pericolose esposizioni del personale alle proiezioni di metallo fuso durante le operazioni di colaggio dell’altoforno” nonché il divieto di “effettuare qualsiasi operazione di prelievo diretto delle temperature ghisa nel pozzino ghisa”. Chiaramente è possibile l’intervento del giudice per le indagini preliminari, Martino Rosati, che, al pari del gip Patrizia Todisco che sequestrò senza facoltà d’uso sei impianti tre anni fa, nel luglio 2012, potrebbe emettere lo stesso provvedimento.
Agli ennesimi gravissimi fatti di Taranto si aggiunge la sentenza del 17 giugno dove la Corte d’Appello di Milano ha confermato la condanna a sei anni e sei mesi di reclusione nei confronti di Fabio Riva, figlio dell’ex patron dell’Ilva Emilio morto qualche tempo fa, accusato di truffa ai danni dello Stato per 100 milioni di euro. Al termine del processo di secondo grado, inoltre, i giudici della quarta sezione penale hanno confermato anche le condanne di primo grado nei confronti degli altri imputati: cinque anni di reclusione per Alfredo Lomonaco, ex presidente della finanziaria elvetica Eufintrade, e tre anni ad Agostino Alberti, all’epoca dei fatti consigliere delegato di Riva Fire. Secondo l’accusa, mossa dal pubblico ministero di Milano, Stefano Civardi, Riva e gli altri avrebbero creato una società in Svizzera, la “Riva Sa”, per aggirare la normativa sull’erogazione dei contributi pubblici per le imprese che esportano.
Al di là delle possibili responsabilità dei commissari Ilva - da tempo in amministrazione straordinaria - ossia Pietro Gnudi, Enrico Laghi e Corrado Carrubba, sembrano evidenti le responsabilità politiche non solo dell’ex governatore della Puglia, il narcisista e trotzkista Vendola, ma anche del nuovo Mussolini Renzi che aveva cianciato ipocritamente lo scorso dicembre che “l’Italia riparte da Taranto”. Le responsabilità si estendono anche ai precedenti governi capitalisti assassini che hanno garantito l’impunità alla famiglia Riva grazie alle cosiddette leggi “Salva Ilva”: Morricella è il quinto operaio che ha perso la vita in fabbrica negli ultimi tre anni dopo Angelo Iodice, Claudio Marsella, Ciro Moccia e Francesco Zaccaria. Per gli ultimi tre, in particolare, gli inquirenti sono convinti che la morte è da collegare direttamente al mancato ammodernamento della fabbrica: “la mancata attuazione di un modello organizzativo e gestionale adeguato rispetto alla complessità aziendale - affermano i pubblici ministeri - ha rappresentato concausa non trascurabile in relazione agli infortuni occorsi negli ultimi mesi che hanno comportato lesioni gravissime di un lavoratore ed il decesso di altri tre operatori, tutti impegnati nello svolgimento delle proprie attività lavorative, svolte in assenza di adeguate istruzioni operative e di misure tecniche atte a prevenire e ridurre i rischi per la salute e la sicurezza degli stessi”.
24 giugno 2015