L'Ue strozza la Grecia
Appoggiamo il “No” nel referendum
L'Ue imperialista va distrutta
Nel referendum del 5 luglio la Grecia deciderà se respingere o accettare il piano proposto da Unione europea (Ue) e Fondo monetario internazionale (Fmi), la condizione capestro in cambio della quale Fondo e Banca europea (Bce) continueranno a finanziare il paese affinché possa continuare a pagare le rate del suo debito, evitare il default e la possibile uscita dall'euro.
Sulla scheda è scritto: “Deve essere accettato il piano di compromessi proposto dalla Commissione europea, il Fondo Monetario internazionale e la Bce all'Eurogruppo del 26 maggio 2015, composto da due documenti che costituiscono l'intera offerta? Il primo documento si intitola Riforme per il completamento del programma corrente e oltre
il secondo Analisi preliminare della sostenibilità del debito”.
Due documenti messi a punto nelle trattative tra la delegazione greca, la cui responsabilità era passata direttamente nelle mani del premier Alexis Tsipras, e l'Eurogruppo ma che in prima battuta erano passati al vaglio del presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, del presidente della Bce, Mario Draghi e della direttrice del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde.
Il documento sul programma di riforme presentato dalla Ue raccoglieva le proposte avanzate in sede di trattativa al governo greco, l'8,14, 22 e 25 giugno come con puntigliosa burocrazia ricordava l'intestazione, che riguardano in particolare l'innalzamento dell'Iva, la prosecuzione delle privatizzazioni e i tagli alle pensioni, che la delegazione greca non ha accettato. Dopo la rottura del negoziato, il 27 giugno, Tsipras annunciava di voler mettere a referendum la proposta chiedendo all'elettorato di respingerla, il suo governo stabiliva la data del 5 luglio e il parlamento l'approvava con 179 voti favorevoli e 120 contrari.
Il governo di Atene decideva anche di chiudere gli sportelli delle banche e la borsa e di porre il limite giornaliero ai prelievi dei depositi fino al 6 luglio, una misura per prevenire la crisi di liquidità delle banche che in mancanza dell'accordo, a partire dal 30 giugno, non avrebbero ricevuto il soccorso fino ad allora concesso dal Fmi e dalla Bce.
Al referendum del 5 luglio hanno invitato a votare "No" la coalizione di governo tra Syriza e il partito di destra di Anel e i fascisti di Alba dorata; per il "Si" si sono espressi gli ex partiti governativi, dai socialdemocratici del Pasok ai centristi di Potami alla destra di Nea Democrazia. Per l'astensione o il voto nullo si è espresso il revisionista Kke per respingere la proposta del Fmi-Bce-Ue e quella del governo Syriza-Anel, ritenuta simile al 90% all'altra.
Al tavolo della sessione finale del negoziato che avrebbe dovuto chiudersi entro il 30 giugno, il gruppo di Bruxelles, così è chiamata per desiderio di Tsipras la vecchia famigerata troika, presentava alla delegazione greca la proposta di un'estensione di 5 mesi, fino a novembre, dell'attuale programma di aiuti in scadenza 30 giugno, che avebbero permesso a Atene di reperire finanziamenti per un totale di 16,3 miliardi di euro, dei quali quasi 11 destinati alla ricapitalizzazione delle banche greche. Finanziamenti che sarebbero arrivati però in 4 rate il cui pagamento era condizionato dal completamento delle riforme contenute nel piano che solo in parte e non nei punti principali era stato concordato nella lunga trattativa. In altre parole la Ue metteva il cappio attorno al collo della Grecia e dettava le sue condizioni per farla scendere dal patibolo e metterla ai lavori forzati.
Quella che per la cancelliera tedesca Angela Merkel sarebbe stata un'offerta “straordinariamente generosa”, per Tsipras erano un ricatto e un ultimatum irricevibili, proposte che in parte erano già state respinte dalla sinistra di Syriza come capitolazioni. La via di uscita preparata da Tsipras era il ricorso al referendum, un'ipotesi già ventilata nel dicembre 2011 dall’allora capo del governo greco, il socialista Georgios Papandreu, a fronte del secondo piano di aiuti finanziari concesso in cambio dell'applicazione di una politica di lacrime e sangue; il primo dell'anno precedente era servito a coprire i buchi delle banche, tedesche e francesi in particolare che avevano i titoli di Stato greci ridotti a carta straccia. Papandreu non tenne il referendum e passò la mano al governo Papademos che applicò quel piano che servì soprattutto a evitare un effetto domino e salvare l'euro.
Nel suo appello al popolo greco, che pubblichiamo a parte, Tsipras denunciava tra l'altro che “la proposta delle istituzioni comprende misure che prevedono una ulteriore deregolamentazione del mercato del lavoro, tagli alle pensioni, nuove diminuzioni dei salari del settore pubblico e anche l’aumento dell’IVA per i generi alimentari, per il settore della ristorazione e del turismo”.
Il 29 giugno la Commissione europea diffondeva il documento integrale delle proposte formulate dall'Eurogruppo allo scopo di permettere ai greci di conoscere le proposte su cui dovranno esprimersi e a suo dire non raccontate correttamente dal governo di Atene, che avrebbe fatto saltare in maniera unilaterale il tavolo delle trattative. Il presidente della Commissione Juncker affermava che il piano Ue non era “stupida austerità” e che non erano stati proposti tagli “a salari e pensioni”.
Le indicazioni del gruppo di Bruxelles sul bilancio statale greco sono conformi alla più rigida austerità, secondo i canoni imposti dalla Germania, e in certi casi si possono anche definire di stupida austerità come quando con un furore a privatizzare sentenziano senza appello che “le autorità devono completare tutte le azioni di privatizzazione in corso. Tra cui gli aeroporti regionali, la società ferroviaria Trainose, Egnatia, i porti di Pireo e di Salonicco e Hellinikon. Le azioni saranno realizzate tempestivamente”. Se non stupide sono criminali quando fanno riferimento a misure quali l'abolizione dei sussidi sul diesel per gli agricoltori, il dimezzamento della spesa per i sussidi per il riscaldamento nel budget del 2016 e l'eliminazione del trattamento speciale dei redditi agricoli, colpendo i più deboli. Fra gli altri il documento indica che l'IVA deve essere aumentata dal 1 luglio 2015 e valere un aumento dell'1% del Pil, con un ulteriore taglio al già ridotto potere di acquisto dei salari.
In merito ai salari il documento afferma che si devono introdurre nuovi massimali, quindi tagli, alla contrattazione degli stipendi del pubblico impiego “in linea con il raggiungimento degli obiettivi di bilancio” e per “garantire la diminuzione della spesa salariale in rapporto al Pil fino al 2019”. Per le pensioni “dal 1 luglio 2015 devono essere adottate misure per ottenere risparmi permanenti tra lo 0,25% e lo 0,5% del Pil nel 2015 e dell'1% nel 2016”, quindi altri tagli accompagnati dall'aumento dei contributi sanitari per i pensionati dal 4 al 6%. Tagli su pensioni che per il 45% dei pensionati greci valgono meno dei 665 euro mensili, considerata la soglia di povertà.
Nella conferenza stampa di presentazione del documento, Junker chiedeva ai greci di votare “sì” alle proposte europee nel referendum del 5 luglio; Bruxelles per la prima volta interveniva in merito a un voto che si tiene all’interno di uno Stato membro a favore di una opzione. A fianco del presidente della Commissione si esprimeva per il voto favorevole anche il Presidente dell'Europarlamento, il socialdemocratico tedesco Martin Schulz.
Le inaccettabili ingerenze di Bruxelles sul referendum si sommavano a quelle del documento sulle riforme dettate dalla Ue, una lista dettagliata che di fatto non lascia spazio neanche a misure alternative, che annullano la sovranità economica e politica della Grecia. E che confermano la necessità di distruggere questa Ue imperialista, non riformabile né condizionabile.
La sera del 29 giugno in una intervista televisiva, mentre era in corso a Atene in piazza Syntagma una grande manifestazione per il “no” al referendum, Tsipras ripeteva che “la gente ha il diritto di scegliere il proprio futuro, il popolo farà sentire la sua opinione sulle note questioni: la loro voce sarà ascoltata”. Respingeva "un ultimatum che è contrario, non rispetta i principi costitutivi e i valori dell’Europa, i valori della nostra comune casa europea"; sosteneva che “non credo che i creditori ci vogliano cacciare dall'euro. I costi sarebbero enormi, vogliono cacciare un governo che ha il sostegno popolare, la loro è una scelta politica” e affermava che “più forte sarà il fronte del No, più forti saranno le chance di un miglior negoziato dopo il referendum, ricordiamoci l'esempio del referendum in Irlanda al trattato di Lisbona e i cambiamenti introdotti dopo il No”.
1 luglio 2015