Sulla scia della Merkel difende le regole dell'UE imperialista, alla vigilia del referendum
Renzi in prima fila per strangolare il popolo greco
“La Grecia faccia le riforme come le ha fatte l'Italia, il vostro programma è importante, impressionante, come il Jobs Act. Le prospettive per la crescita in Italia sono buone e la direzione è giusta”: così la cancelliera tedesca, affiancata da uno scodinzolante Matteo Renzi durante la conferenza stampa finale, ha tratto le conclusioni del vertice del 1° luglio col premier italiano, venuto a Berlino per un incontro già fissato da tempo, ma che nell'occasione si è trasformato in un'ostentata dimostrazione di “piena sintonia” politica tra i due sulla crisi in Grecia e nell'attacco alle posizioni del governo di Alexis Tsipras. Accanto alla Merkel, infatti, Renzi sembrava recitare in tutto e per tutto la parte del capoclasse secchione che sotto lo sguardo compiaciuto della maestra denuncia i compagni cattivi che non hanno fatto i compiti a casa, mentre la maestra lo addita ad esempio “virtuoso” di quello che invece li ha fatti diligentemente e si merita un encomio.
É un noto vizio del nuovo duce quello di fare il bullo alla vigilia dei vertici europei, proclamando che andrà lì a battere i pugni sul tavolo contro la politica di austerity, per poi finire regolarmente a braccetto con la cancelliera tedesca e gli altri “falchi” della UE imperialista e accettare senza fiatare i loro ordini di servizio. Ma stavolta il suo zelo ha superato ogni limite, spingendosi fino a porgere su un piatto d'argento alla Merkel non solo un pieno appoggio alla sua linea dura e di inaudita ingerenza contro il referendum popolare voluto da Tsipras (“è un azzardo, io non l'avrei mai indetto”), ma a lanciare in prima persona i più sprezzanti e velenosi attacchi al governo e al popolo greci, pugnalando alle spalle coloro che in teoria dovrebbero essere i suoi alleati nella battaglia per “cambiare verso” all'Europa, come va raccontando in giro.
Così che, mentre si pavoneggiava ostentando un'intima amicizia con la cancelliera, tra un “io e Anghela...” e un “ho detto ad Anghela...”, ha impartito per l'ennesima volta la sua saccente lezioncina al popolo greco, ammonendolo che “non possiamo fare la guerra all'evasione e poi non far pagare le tasse agli armatori greci, non possiamo tagliare le baby pensioni in Italia, come abbiamo fatto, per mantenerle ad Atene: le regole in una comunità vanno rispettate, da parte di tutti”. Per poi, con tono sprezzante, liquidare il dramma che sta vivendo il popolo greco strozzato dalla UE imperialista come una vicenda marginale a cui viene data fin troppa importanza, e che non si vede l'ora finisca per tornare a occuparsi di cose più serie: “Ma ci sono altri 27 Paesi in Europa, speriamo si finisca presto di parlarne per occuparci di economia europea”, ha infatti buttato lì Renzi, rincarando poi così la dose: “Capisco l'attenzione per la situazione greca, ma sono un pochino più preoccupato per il terrorismo, la vera questione in Europa è la crescita per tutti, non l'iva delle isole greche”.
Uno sgambetto a tradimento a Tsipras e alla Grecia
Con questo vergognoso servizio reso alla Merkel il nuovo duce, se ancora ce ne fosse stato bisogno, ha gettato definitivamente la maschera rispetto a quando, appena dopo la vittoria di Syriza, si atteggiava paternalisticamente ad “amico” di Tsipras, facendo intendere che avrebbero potuto formare un asse mediterraneo per una politica di sviluppo opposta alla politica di austerity dell'Europa del Nord. Ma la sceneggiata delle pacche sulle spalle era finita subito, e già da tempo il premier italiano si era schierato di fatto con la UE nel braccio di ferro sempre più duro con Atene; o al massimo si limitava ad osservare ipocritamente un silenzio assordante, quando gli ultimatum alla Grecia in nome dell'intensificazione della criminale politica dei sacrifici si facevano sempre più intollerabili e Atene avrebbe avuto più bisogno della sua solidarietà. Per arrivare infine, dopo la rottura delle trattative e l'indizione del referendum, a schierarsi apertamente con la Merkel e contro Tsipras, ancor prima di volare a Berlino a sancire ufficialmente la “svolta”.
Nei giorni precedenti, infatti, Renzi aveva lanciato due inequivocabili segnali in questo senso: da una parte aveva dato incarico al ministro dell'Economia Padoan di minimizzare gli effetti della crisi greca trattandola come una faccenda che non riguarda, se non marginalmente, l'Italia; perché, al contrario della Grecia (e grazie al portentoso Renzi) ha già fatto le “riforme” che la mettono al riparo dai rischi di “contagio”: come se oltre 2 mila miliardi di debito pubblico, una crescita inchiodata sullo zero da anni e una disoccupazione giovanile appena inferiore a Grecia e Spagna non contassero nulla. Dall'altra parte, con il solito messaggio via twitter (in inglese, affinché arrivasse sui tavoli internazionali) aveva sentenziato che “il referendum non sarà un derby tra la UE e Tsipras, ma tra l'euro e la dracma”. Cioè non tra l'Europa della fallimentare e criminale politica di austerity e l'Europa dello sviluppo e della solidarietà, come sostiene illusoriamente Tsipras e come anche Renzi amava ripetere fino a ieri, ma tra restare nell'euro o uscire dall'Europa, come sostengono la Merkel e gli altri leder europei, la Commissione europea e la Banca centrale europea.
Con ciò stesso, quindi, il premier italiano sposava in pieno quest'ultima posizione, spalleggiando il ricatto contro il popolo greco: votate sì al diktat europeo oppure uscirete dall'euro perché non vi daremo più aiuti. Un vero e proprio sgambetto a tradimento, il suo (che poi è tipico del personaggio, come ben sappiamo) e che è stato bollato dall'economista americano James Galbraight – sostenitore, come i premi Nobel Krugman e Stiglitz, delle proposte del ministro delle Finanze greco Varoufakis - come un vergognoso allineamento alle minacce europee: “Non avrebbe dovuto farlo. Una posizione del genere, così dura, poteva prenderla la Germania, ma non un Paese come l'Italia che sta ancora affrontando una crisi”, ha accusato Galbraight.
Renzi “interlocutore privilegiato” della Merkel
Questo sporco “voltafaccia”, Renzi lo ufficializzava e argomentava subito dopo in una compiacente intervista al direttore dell'organo di Confindustria Il Sole 24 Ore
(“Siamo fuori dalla linea del fuoco, vi spiego perché”). Intervista nella quale, dopo aver ripetuto tra l'altro il solito mantra sui greci che a spese nostre non vogliono rinunciare alle baby pensioni e non vogliono far pagare le tasse agli armatori (come se invece in Italia il suo governo facesse una strenua lotta all'evasione fiscale da 200 miliardi l'anno e alla corruzione dilagante e stangasse senza pietà i super patrimoni, le pensioni d'oro e gli scandalosi vitalizi dei politici), ha attaccato frontalmente Tsipras accusandolo di non volere “la flessibilità nel rispetto delle regole”, ma addirittura di voler essere “il più furbo di tutti, essere cioè quello che le regole non le rispetta”.
Uscendo in questo modo maramaldesco dalla posizione imbarazzante in cui la scelta referendaria di Tsipras l'aveva messo, il bugiardo di Rignano si precostituiva così un alibi per andare a inginocchiarsi alla Merkel. Cosa che ha fatto subito dopo approfittando anche di una certa indecisione di Hollande, oscillante su una posizione più sfumata e trattativista rispetto alla cancelliera tedesca. Mirando, con lo sposare senza riserve la linea dura contro la Grecia, a prendere il posto del presidente francese come “interlocutore privilegiato” di Berlino. E con l'intento anche di lucrare in cambio un appoggio sulla questione della ripartizione delle quote di migranti, sulla quale Renzi viene regolarmente snobbato da Holland e dagli altri leader europei.
Non a caso prima di vedere la Merkel, nel suo intervento all'Università Humboldt di Berlino, il premier italiano ha esordito con l'esaltazione della capitale tedesca indicata come “simbolo che ci tiene insieme. E pur di tenerci insieme, venticinque anni fa avete abbattuto un muro”: un chiaro riconoscimento, in chiave anticomunista, del ruolo guida della Germania e della sua cancelliera proveniente dalla ex DDR “comunista”. La quale difatti lo ha ripagato riconoscendolo come lo scolaro buono che ha fatto i compiti a casa con le sue “impressionanti riforme” e, come da copione, lo ha gratificato di un contentino a costo zero sull'emergenza migranti, annunciando che “abbiamo sottolineato la necessità della redistribuzione dei profughi”.
8 luglio 2015