Col voto di PD, Sel e M5S
La regione Friuli-Venezia Giulia introduce il reddito minimo
L'elemosina di 550 euro al mese per non più di due anni e subordinata a requisiti capestro
La regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha approvato l'introduzione di un reddito minimo “garantito”. Garantito lo abbiamo messo tra virgolette perché, come vederemo, ci sono parecchie restrizioni. Il Consiglio Regionale lo ha approvato con i voti del PD, di SeL e del M5S. E' stato sopratutto quest'ultimo a volersi prendere il merito, e in effetti il movimento di Grillo è quello che più di tutti punta su questo tema anche a livello nazionale tanto che era al primo punto del suo programma alle elezioni politiche del 2013.
Ancora una volta occorre avvertire che il M5S continua ad usare il termine “reddito di cittadinanza” in maniera del tutto impropria. Quello che in inglese si chiama Basic Income
è un'altra cosa e consiste in un reddito dato a qualsiasi cittadino a cui non è richiesta in cambio nessuna contropartita, e nemmeno tiene conto del suo reddito e del suo patrimonio, viene erogato a tutti, ricchi e poveri, lavoratori, imprenditori e disoccupati e praticamente non viene applicato in nessun Paese del mondo. Solo nello stato Usa dell'Alaska esiste qualcosa di simile.
Dopo questa precisazione ritorniamo al Friuli, regione che ha come governatrice Debora Serracchiani. Renziana della seconda ora, prima con Civati ma poi salita sul carro del vincitore e diventata in un batter d'occhio esponente di primo piano e adesso vicepresidente del PD. Ella, in quanto ad arroganza, non ha niente da invidiare al suo capo. In prima fila nell'attacco all'articolo 18 e strenua paladina del Jobs Act, la ricordiamo quando litigò in diretta tv con Landini e con perfetta faccia di bronzo sostenne che il suo era un governo di sinistra e che la controriforma del lavoro avrebbe eliminato il precariato e allargato i diritti. Oppure i suoi virulenti e vergognosi interventi per difendere le riforme neofasciste e piduiste e l'autoritarismo del suo governo dalle seppur flebili critiche del presidente della Camera Laura Boldrini e di esponenti del suo stesso partito come Rosy Bindi.
Detto questo, in molti si potrebbero porre domande tipo: è possibile che una strenua sostenitrice di una controriforma che ha cancellato il diritto borghese del lavoro possa guidare una regione dove per la prima volta si istituisce un reddito minimo per aiutare i più poveri? Sostenere la piena libertà per i padroni di licenziare e gettare sul lastrico i lavoratori e allo stesso tempo fare una legge per istituire un reddito minimo per chi non ce l'ha o lo ha bassissimo?
Ebbene sì, è possibile, perché il reddito minimo non è in contraddizione con il liberismo come vorrebbero farci credere tanti falsi comunisti, trotzkisti e riformisti. Vi è una versione socialdemocratica, che lo interpreta come un sistema di aiuto “a chi non ce la fa”, ma vi è anche una versione liberista radicale che vuole un sistema produttivo capitalistico iperliberalizzato e flessibile per renderlo competitivo, a cui affiancare un sussidio per i più poveri e gli esclusi per tenerli buoni e non farli morire di fame. Ma la conclusione è la solita, un'elemosina di Stato (o di regione in questo caso) che va a sostituire il diritto al lavoro e spesso e volentieri anche altri diritti come quello alla salute e all'istruzione gratuita e uguale per tutti.
Il reddito minimo approvato in Friuli-Venezia Giulia prevede l'erogazione fino a un massimo di 550 euro per un periodo di un anno a cui seguirà un distacco di due mesi, dopodiché si ripresenta la possibilità di promulgarlo per altri 12 mesi per un totale massimo di due anni, per averne diritto occorre che almeno un membro della famiglia risieda in regione da due anni. Il bonus sarà di importo variabile, a seconda del reddito ISEE (un indicatore che tiene conto anche di fattori diversi dal reddito), che comunque non dovrà superare i 6.000 euro annui.
La misura entrerà in vigore a settembre e sarà per il momento sperimentale, avrà la durata di tre anni. Ancora non è stato scritto il regolamento definitivo ma sappiamo che i richiedenti saranno quasi ostaggio dei Centri per l'Impiego che saranno i responsabili della gestione. Dovranno obbligatoriamente stringere un “patto” che li lega a corsi di formazione, ricerca di lavoro ma anche “attività socialmente utili”, il che presuppone la sostituzione di posti di lavoro “regolari” con personale pagato pochi spiccioli. La misura include anche i pensionati mentre è prevista la sospensione del sostegno nel caso un minore abbandoni la scuola prima dell'obbligo.
La giunta Serracchiani ha già stanziato 10 milioni di euro mentre per i tre anni complessivi ne serviranno 25 ma non si dice da quale parte del bilancio regionale saranno dirottati. La misura comunque riguarderà 8-10 mila persone e per l'esiguo numero e il reddito bassissimo per averne diritto configura questa misura più come un assegno di povertà, molto simile a quelli elargiti dai singoli stati Usa ai più poveri che non hanno nemmeno i soldi per curarsi o addirittura per mangiare, che a un reddito minimo vero e proprio. La vicepresidente del PD invece afferma che questa misura servirà a favorire l'inclusione e l'occupazione ma difficilmente riuscirà a scalfire la disoccupazione che in questa regione raggiunge il 9%.
Davvero fuori luogo il giubilo di SeL e de il manifesto
trotzkista di fronte alla notizia, così come quelle del M5S. Ma quest'ultimo è più comprensibile perché l'approvazione del reddito minimo, su cui punta molto, può essere importante dal punto di vista elettorale. Difatti sembra essersi scatenata la corsa a presentare proposte per istituire il reddito minimo tra i partiti della “sinistra” borghese, oltre al M5S, per cercare di accaparrarsi il voto della parte più popolare e povera dell'elettorato che magari, davanti ai morsi della crisi, vede in questa misura una panacea per i loro problemi.
Noi marxisti-leninisti invece pensiamo che queste misure non portino neanche risultati concreti. Si tratta di un'elemosina che alla fine crea un contingente di lavoratori costretti ad accettare qualsiasi tipo di lavoro e in più può portare alla caduta verso il basso anche dei salari più dignitosi. Per non parlare delle conseguenze più generali. Pensiamo che sia molto più efficace la lotta per il lavoro, tutelato e a tempo pieno, e la lotta di classe, (per il PMLI nell'ottica futura del socialismo) che impantanare i lavoratori, i disoccupati e i giovani in una lotta per ottenere un'elemosina dallo Stato borghese e dal sistema capitalistico.
8 luglio 2015