Il premier greco accetta il diktat e il piano di lacrime e sangue dell'Eurosummit
Tsipras svende la grande vittoria del “No”
In fumo il modello governativo e dell'“Altra Europa” esaltati dai riformisti di sinistra italiani ed europei
L'UE imperialista è irriformabile, va distrutta
A un quarto d'ora dall'apertura delle Borse, la mattina del 13 luglio, un messaggio su twitter del premier belga Charles Michel annunciava l'intesa sulla crisi greca all'Eurosummit di Bruxelles dei capi di Stato e di governo dei 19 paesi membri dell'euro iniziato il giorno precedente; seguiva a ruota l'annuncio ufficiale del presidente del Consiglio Ue, il polacco Donald Tusk: "l'accordo è stato raggiunto all'unanimità, tutto pronto per andare a programma Esm con riforme serie e sostegno finanziario" per il terzo programma per il salvataggio della Grecia con un importo di circa 82 miliardi di euro. La base dell'intesa era il documento messo a punto dai 19 ministri degli Esteri dei paesi membri dell'euro, l'Eurogruppo, l'11 luglio che aveva implementato il documento già definito a fine giugno e bocciato dal referendum con le modifiche avanzate dal governo greco. In altre parole il primo ministro Alexis Tsipras svendeva la grande vittoria del "No" al refrendum del 5 luglio e accettava il diktat e il piano di lacrime e sangue dell'Eurosummit. Tra l'altro un piano peggiorato dalle stesse modifiche chieste dal governo di Atene che aveva invitato a votare "No" a una serie di misure del valore di circa 8 miliardi di euro, per avere maggior peso contrattuale nel negoziato come aveva richiesto Tsipras, e che aveva inviato a Bruxelles un nuovo progetto dal peso di circa 12 miliardi di euro per chiedere anche la ristrutturazione del debito. L'ha ottenuta ma a caro prezzo per le masse popolari greche.
Se il documento definito a fine giugno rappresentava una puntigliosa elencazione delle controriforme che il governo di Atene avrebbe dovuto rapidamente attuare per avere una nuova trance di aiuti finanziari e evitare il default, quello dell'Eurosummit del 12 luglio ne dettava con puntiglioso dettaglio i tempi di applicazione. "Il Vertice euro sottolinea l'assoluta necessità di ricostruire la fiducia con le autorità greche - iniziava il comunicato - quale presupposto per un possibile futuro accordo su un nuovo programma del meccanismo europeo di stabilità (Esm),... accoglie con favore gli impegni assunti dalle autorità greche a legiferare senza indugio su una prima serie di misure". Ma per essere certi che gli impegni sarebbero stati rispettati, l'Eurosummit stilava il calendario: entro tre giorni, il 15 luglio, aumento dell'Iva, un pezzo della controriforma delle pensioni e l'introduzione di clausole di salvaguardia in caso di deviazione dagli obiettivi di avanzo primario del bilancio. Entro il 22 luglio
la modifica del codice civile e l'attuazione della direttiva europea sul risanamento e la risoluzione delle banche, quella che disciplina i fallimenti.
"Immediatamente, e soltanto a seguito dell'attuazione giuridica delle misure suddette - afferma l'accordo - nonché dell'approvazione da parte del parlamento greco, verificata dalle istituzioni e dall'Eurogruppo, di tutti gli impegni contemplati dal presente documento, potrà essere adottata una decisione intesa a conferire alle istituzioni il mandato di negoziare un memorandum d'intesa", per attivare il pacchetto di aiuti del Esm e alleggerire il debito a medio termine.
In aggiunta alle misure elencate nel memorandum dell'Eurogruppo, l'Eurosummit ribadiva la necessità per la Grecia di "sviluppare un programma di privatizzazione significativamente intensificato" e indicava che i proventi delle privatizzazioni sarebbero stati "trasferiti a un fondo indipendente", stabilito in Grecia e "gestito dalle autorità greche" ma "sotto la sorveglianza delle pertinenti istituzioni europee".
L'accordo afferma infine che la Grecia deve "normalizzare pienamente i metodi di lavoro con le istituzioni" e intima al governo greco di "consultare le istituzioni e convenire con esse tutti i progetti legislativi nei settori rilevanti con adeguato anticipo prima di sottoporli alla consultazione pubblica o al Parlamento". La Grecia diventa un paese commissariato di fatto dall'Unione europea imperialista.
Tsipras al termine del negoziato aveva difeso la sua "battaglia dura", nella quale la Grecia ha "lanciato un messaggio di dignità" ed è arrivata a un'intesa che la mette "nelle condizioni di stabilità finanziaria", per tornare a "lottare per la crescita". Un "Accordo umiliante" l'ha invece definito Panagiotis Lafazaris, ministro dell'energia e uno dei leader della sinistra di Syriza in rivolta per la capitolazione di Tsipras.
La parola, al momento in cui scriviamo, passava al parlamento greco per discutere, o meglio eseguire gli ordini di Bruxelles entro il 15 luglio, data nella quale il sindacato del pubblico impiego Adedy indiceva uno sciopero di 24 ore, il primo contro il governo Syriza-Anel.
La capitolazione di Tsipras ai diktat neoliberisti era parsa molto probabile già subito dopo il referendum, mandando in fumo il modello governativo e dell'“Altra Europa” esaltati dai riformisti di sinistra italiani ed europei.
L'8 luglio dopo il discorso all'Europarlamento Tsipras sottolineava che "se avessi voluto trascinare la Grecia fuori dall'euro non avrei fatto le dichiarazioni dopo il referendum, io non ho un piano segreto per l'uscita dall'euro". E infatti due giorni dopo incassava il consenso dei partiti di opposizione Nuova democrazia (Nd), To potami e dei socialisti del Pasok su una serie di proposte di riforme il cui valore era salito dagli 8 miliardi di giugno a 12 miliardi. Che tanto per avere un'idea corrisponderebbero a un centinaio di miliardi in Italia.
Il piano di Tsipras era approvato dal parlamento con 250 voti a favore su 300; una decina di deputati di Syriza si astenevano, quelli della destra di Anel, che forma il governo di coalizione con Syriza, votavano contro. In soccorso del governo arrivavano i voti di parte di Nd, Pasok e To potami, una stampella che potrà tornare utile anche in futuro. In parlamento Tsipras affermava che "non ho chiesto un 'no' al referendum per uscire dall'euro ma per rafforzare i negoziati. Ho fatto quanto umanamente possibile in difficili circostanze. Abbiamo raggiunto la soglia limite, da questo momento in poi davanti a noi si estende un campo minato". Era l'annuncio della futura capitolazione.
Il documento era analizzato nel vertice dell'Eurogruppo dell'11 luglio che aggiustava le poche ultime differenze e dava la tempistica di applicazione di una serie di misure. La decisione finale era comunque lasciata al vertice dei capi di Stato e di governo della zona Euro del giorno successivo. Sembrava fatta ma era ancora la Germania a raffreddare gli entusiasmi e definiva quelle di Atene "proposte poco credibili", "non ci sarà un accordo a qualunque costo".
Assodata la capitolazione di Tsipras sul piano economico e finanziario, il fronte neoliberista europeo capitanato dalla Germania preparava la punizione umiliante per Tsipras a monito per tutti quei paesi che avessero in futuro il desiderio di mettere in discussione i diktat Ue. I popoli non si devono più permettere di disturbare il manovratore, che sia la Merkel o la BCE di Draghi, l'Eurogruppo o il presidente della Commissione europea, non si devono più permettere di decidere autonomamente e contestare le decisioni imposte dal grande capitale e dalla grande finanza che governano la UE imperialista. Sono loro e non i popoli i padroni della UE. A conferma che l'UE imperialista è irriformabile, va distrutta.
15 luglio 2015