Crocetta, falso antimafioso e affamatore delle masse siciliane, se ne deve andare
Il figlio di Borsellino, Manfredi, denuncia il "calvario" e il "clima di ostilità" subiti dalla sorella Lucia
Alle elezioni asteniamoci per sfiduciare e delegittimare i partiti e le istituzioni del regime capitalista, neofascista e mafioso
Dal nostro corrispondente della Sicilia
Prima la farsa dell'autosospensione, istituto che non esiste nello Statuto autonomo regionale, poi la revoca dell'autosospensione e il ritorno a dirigere l'esecutivo siciliano, quando il governatore Rosario Crocetta, PD, avrebbe dovuto dimettersi ormai da giorni, detestato dalle masse antimafiose e travolto da uno scandalo dietro l'altro.
Il 16 luglio L'Espresso
aveva annunciato la pubblicazione di un'intercettazione tra il governatore e il suo medico estetico, Matteo Tutino, primario dell'ospedale Villa Sofia di Palermo, arrestato il 29 giugno con l’accusa di truffa, falso, peculato e abuso d’ufficio, in un'inchiesta che coinvolge anche l’ex-manager di Villa Sofia, Giacomo Sampieri. Il medico avrebbe detto al governatore che l’assessore alla Sanità della regione Sicilia, Lucia Borsellino: “Va fermata, fatta fuori. Come suo padre”. Crocetta, secondo il settimanale, semplicemente tace all'esternazione.
Il procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi, smentisce e aggiunge che anche i carabinieri escludono l'esistenza di tale intercettazione. L'Espresso
“ribadisce quanto pubblicato”: l'intercettazione “risale al 2013 e fa parte dei fascicoli secretati di uno dei tre filoni di indagine in corso sull’ospedale Villa Sofia”.
Di intercettazioni “gravissime, incredibili e vergognose”, parla Salvatore Borsellino, leader del movimento delle “Agende Rosse”, insistendo: “Lui non dice che bisogna farla fuori dall’assessorato, ma che bisogna farla fuori come suo padre e siccome mi risulta che suo padre è stato ucciso in maniera particolare, è gravissimo”.
Le parole pronunciate da Manfredi Borsellino, figlio di Paolo, intervenuto il 18 luglio durante la commemorazione alla presenza del capo dello Stato Mattarella, sono indicative del verminaio di interessi illeciti che si muovono nella sanità siciliana dell'epoca Crocetta. Lucia Borsellino, denuncia il fratello, ha lavorato in “clima di ostilità” e di “offese che le venivano rivolte”, portando “la croce fino al 30 giugno scorso”, giorno delle dimissioni. La vicenda ha contribuito a "spalancare" agli inquirenti, come ha detto Manfredi, “le porte di un assessorato e di una Sanità intera, da sempre in Sicilia centro di interessi e malaffare”.
Il quadro che diviene sempre più chiaro a mano a mano che l'indagine prosegue e le intercettazioni vengono pubblicate rende quasi secondaria la questione dell'“autenticità del contenuto di una singola intercettazione telefonica” in quanto la sanità siciliana si conferma “centro di interessi anche mafiosi”, come ha detto Manfredi Borsellino.
Un quadro che la stessa Borsellino aveva delineato all'atto delle sue dimissioni con una lettera indirizzata al governatore in cui rilevava: “Prevalenti ragioni di ordine etico e morale e quindi personale, sempre più inconciliabili con la prosecuzione del mio mandato” e denunciava i vari “accadimenti che hanno aggredito la credibilità dell'istituzione sanitaria che sono stata chiamata a rappresentare e, quindi, della mia persona”. Si riferiva in particolar modo al rapporto di fiducia tra Crocetta e il medico arrestato Tutino.
Lucia Borsellino concludeva auspicando che le sue riflessioni inducessero il governatore “a scelte responsabili” sulla Sanità.
Le intercettazioni pubblicate su tutti i quotidiani siciliani tra il medico personale di Crocetta e l'allora dirigente di Villa Sofia, che si definiscono “uomini del presidente”, mostrano come da parte del governatore prevalga la logica dell'occupazione militare delle aziende sanitarie e ospedaliere siciliane. I due picciotti di Saro preparano una lista di nomi nel marzo del 2014 in vista delle nomine alle Asl. Siamo a pochi giorni dall'avviso di garanzia, che sarebbe loro arrivato il 25 marzo 2014.
Parlando con il segretario particolare di Crocetta, Giuseppe Comandatore, Tutino afferma: "Lui (il governatore) mi ha detto che domani gli devo portare la lista dei pretoriani del presidente", e continua: "Gli parlerò di ognuno con il curriculum... Sono fedelissimi".
Durante una telefonata del 23 marzo 2014, Tutino e Sampieri si scambiano idee sui nomi e vengono fuori particolari che mostrano l'esistenza di metodi putridi e corrotti di raccolta voti, basati sullo scadimento del diritto a favore, sullo scambio tra la necessità della popolazione ricattata dal bisogno e l'avidità dei politicanti borghesi.
Parlavano di un certo Giovanni. Tutino lo voleva a Palermo: “al Civico... perché averlo al Civico (la più grande azienda ospedaliera del Mezzogiorno, ndr
) significa che ci pigliamo pure il Policlinico (l'altro ospedale pubblico palermitano, ndr
)”.
Non citano il cognome, ma è abbastanza certo che si tratti di Giovanni Migliore, nominato dal governo nell'aprile del 2014 direttore generale del Civico.
Tra varie altre proposte e nomine ce n'è una in particolare, rivelatrice della strategia politica di occupazione clientelare del territorio agrigentino, conteso tra alfaniniani e crocettiani. “Io personalmente insisterei per Lucio Ficarra... all'Asp di Agrigento”, dice Sampieri. Tutino lo vuole all'ospedale Cannizzaro di Catania. Sampieri risponde: “strategicamente Agrigento è un posto dove c'è da fare decine di migliaia di voti... al Cannizzaro che minchia fa? Me lo spieghi che minchia va a fare al Cannizzaro... quando c'è un territorio come quello di Agrigento che è sterminato? Non è che gli possiamo lasciare campo libero ad Angelino Alfano... Noi abbiamo la visione dell'azienda ospedaliera ma la manciugghia (il ladrocinio, ndr
) che c'è dentro le Asp è dieci volte superiore... qua abbiamo dei rubagalline... all'interno delle Asp ci sono i ladri giusti”. Salvatore Lucio Ficarra viene nominato nell'aprile 2014 all'Asp di Agrigento.
Dopo le dimissioni della Borsellino, il governatore, infischiandosene del consiglio dell'assessore a “scelte responsabili” procedeva nominando sei “saggi”, cambiando il capo di gabinetto, costituendo una sorta di “cabina di regia” alle sue strette dipendenze per dirigere la sanità. Ci si chiedeva “perché queste scelte? Non dovrà nominarlo un nuovo assessore”? Alla luce delle nuove intercettazioni la strategia appare chiarissima. Tutto doveva essere suo.
Ma i picciotti del nuovo duce Renzi, guidati dal sottosegretario Faraone, che preme per le dimissioni di Crocetta, non sono tipi da restare a guardare mentre il governatore accentra tutto nelle sue mani e scava loro la fossa politica in Sicilia.
Lo scontro per le poltrone, o forse sarebbe meglio dire per “la” poltrona, quella alla sanità, si inasprisce con i renziani a Roma e Palermo, facendo intravedere la possibilità di sfiducia e di ritorno al voto. Alla vigilia del turbine di intercettazioni che avrebbero svelato il gioco dell'occupazione militare delle Asl, Crocetta il 13 luglio si gioca furbescamente la carta della nomina a nuovo assessore della sanità del capogruppo del PD al parlamento siciliano, Baldassarre Gucciardi, PD, renziano contrario ad elezioni anticipate.
A questo punto, il segretario regionale del PD, Fausto Raciti, si rianima e ritrova fiducia verso le magnifiche sorti progressive di Crocetta, magari in un nuovo governo con il Nuovo centro destra, il fronte dei fedelissimi siciliani del nuovo duce si spacca, mandando in minoranza i falchi del sottosegretario Faraone.
I renziani, preoccupati dalle possibili conseguenze del moltiplicarsi di scandali che coinvolgono il PD a livello locale, vorrebbero mettere fine al governo Crocetta, definito dalla vice-segretaria Debora Serracchiani "un'agonia politica che il PD non può permettesi". Ma dimissionare Crocetta non è così semplice: il governatore non vuole andarsene e non sembra percorribile per il Nazareno la partita del voto al parlamento siciliano con il PD spaccato e la maggioranza dei deputati abbarbicati alla poltrona.
Al momento in cui scriviamo la situazione è estremamente fluida, ma è chiaro che le contraddizioni per il PD si rivelano fin troppe e di tal livello e che alla presa d'atto della “delegittimazione” del governatore, Renzi non fa seguire alcun nulla di ufficiale. Del resto si comprendono fin troppo bene i dubbi del premier: perché rischiare di rivelare quanto debole possano essere i renziani al parlamento siciliano? Perché rinunciare con la caduta di Crocetta ad un assessorato che, parola di Tutino, potrebbe portare decine di migliaia di voti? Perché andare al voto in Sicilia in un momento in cui l'astensionismo di sinistra ha fatto colare a picco il PD?
Con buona probabilità sarà Faraone e non Crocetta a dover calare le corna: lo dimostra il fatto che Renzi, ormai con in mano l'assessorato da migliaia di voti, se ne infischia degli scandali e si orienta sempre più esplicitamente verso l'elaborazione di un piano condiviso con il governatore per accompagnarlo alle dimissioni e tornare al voto non prima nella primavera del 2016. In ogni caso il governatore in via cautelare ha rinunciato ad andare in aula oggi 21 luglio, come previsto dal calendario dei lavori parlamentari. Tutto rinviato a giovedì 23, mentre il suo legale annuncia la richiesta di un risarcimento di 10 milioni di euro al l'Espresso.
Comunque la si giri, la verità è che Crocetta, ha miseramente fallito agli occhi delle masse popolari e se ne deve andare! Dietro la sua antimafia di facciata, fatta “di pennacchi e lustrini - come ha detto Claudio Fava, vicepresidente della commissione antimafia al parlamento nazionale - tutta chiacchiere e distintivo” lui e i suoi degni “compagni di viaggio”, da Montante, a Helg, ai suoi “pretoriani” nella sanità, hanno scientificamente scalato le vette del potere borghese in Sicilia, consolidandovisi. Hanno tessuto intrecci di interessi milionari, di voti e clientele, esattamente come facevano le cosche dei Cuffaro e dei Lombardo, solo mostrando un'arroganza, una strafottenza, un disinteresse verso i problemi della masse popolari, i diritti e le regole della democrazia borghese che sono “inediti”. Crocetta è la forma che lo spregiudicato, vessatorio, ipocrita, violento e antipopolare regime neofascita di stampo piduista renziano ha preso in Sicilia. Proprio come Renzi, presentatosi come fautore di un “rinnovamento”, addirittura di una “rivoluzione”, si è presto smascherato simile ai suoi precedessori. Al suo governo, al PD, a Renzi e al parlamento che lo hanno sostenuto, dobbiamo il record della disoccupazione, soprattutto giovanile, della cassa integrazione, dell'emigrazione e della miseria, il degrado delle strutture pubbliche, i crolli delle autostrade e delle scuole, la svendita dell'isola alle strategie militari degli Usa e della Nato, alle compagni petrolifere.
Che le masse lavoratrici, i pensionati, i disoccupati, i precari, gli studenti, i sindacati e i movimenti, le forze politiche, sociali, culturali e religiose antifasciste, antimafiose, democratiche e progressiste facciano propria la battaglia per cacciare via Crocetta, falso antimafioso e affamatore delle masse siciliane.
La soluzione però non è certo quella di sostituire a quello di Crocetta un altro apparato clientelare promosso da Renzi. Alle prossime elezioni regionali bisogna sfiduciare e delegittimare con una valanga di voti astensionisti i partiti e le istituzioni del regime capitalista, neofascista e mafioso, che hanno ridotto la Sicilia alla miseria e a terra di ruberie e malaffari, adottando la proposta del PMLI di costituire le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo fondate sulla democrazia diretta, ossia le Assemblee popolari e i Comitati popolari.
22 luglio 2015