Friedrich Engels
DIALETTICA DELLA NATURA
Introduzione
La ricerca scientifica moderna – l'unica che abbia raggiunto uno sviluppo scientifico, sistematico, completo, all'opposto delle geniali intuizioni di filosofia naturale degli antichi e delle scoperte degli arabi, estremamente significative ma sporadiche e per lo più passate via senza traccia – risale, come tutta la storia moderna, a quell'epoca possente che noi tedeschi chiamiamo col nome della grande sciagura nazionale allora occorsaci, la Riforma, che i francesi chiamano la Renaissance e gli italiani il Cinquecento, e che nessuno di questi nomi riesce a definire in modo esauriente. È l'epoca che ha inizio con la seconda metà del secolo XV. La monarchia, appoggiandosi sulla borghesia urbana, spezzò il potere della nobiltà feudale e fondò i grandi regni, basati essenzialmente sulla nazionalità, nei quali si svilupparono le moderne nazioni europee e la moderna società borghese. E mentre ancora borghesia e nobiltà si azzuffavano, la guerra dei contadini in Germania additò profeticamente le future lotte di classe, portando sulla scena della storia non soltanto i contadini in rivolta (che non era più cosa nuova), ma dietro ad essi i gruppi iniziali dell'attuale proletariato, con la bandiera rossa in mano e la rivendicazione della comunanza dei beni sulle labbra. All'attonito Occidente si rivelò un nuovo mondo, quello dell'antica Grecia, nei manoscritti salvati dalla caduta di Bisanzio, nelle antiche statue venute alla luce scavando fra le rovine di Roma. Di fronte alle luminose immagini di quel mondo scomparvero gli spettri del medioevo; l'Italia si elevò a una fioritura artistica senza precedenti, e mai più uguagliata, che sembrò un riflesso dell'antichità classica. In Italia, in Francia, in Germania, sorse una nuova letteratura, la prima letteratura moderna; l'Inghilterra e la Spagna attraversarono poco dopo il periodo della letteratura classica. I limiti dell'antico orbis terrarum furono infranti, la terra fu veramente scoperta allora per la prima volta, e furono gettate le basi per il futuro commercio e per il passaggio dall'artigianato alla manifattura, che a sua volta rappresentò il punto di partenza per la grande industria moderna. La dittatura spirituale della Chiesa fu rotta: i popoli germanici la respinsero senz'altro nella loro maggioranza e accolsero il protestantesimo, mentre tra i latini si andava sempre più radicando una serena libertà di pensiero, proveniente dagli arabi ed alimentata dalla filosofia greca allora riscoperta, che preparava il materialismo del XVIII secolo.
Fu il più grande rivolgimento progressivo che l'umanità avesse fino allora vissuto: un periodo che aveva bisogno di giganti e che procreava giganti: giganti per la forza del pensiero, le passioni, il carattere, per la versatilità e l'erudizione. Gli uomini che fondarono il moderno dominio della borghesia erano tutto, fuorché limitati in senso borghese. Al contrario, il carattere avventuroso della loro epoca ha lasciato una impronta, più o meno forte, su tutti. Non vi era allora quasi nessun uomo di rilievo che non avesse fatto grandi viaggi, che non parlasse quattro o cinque lingue, che non brillasse in parecchie discipline. Leonardo da Vinci non era soltanto un grande pittore, ma anche un grande matematico, meccanico e ingegnere, alla cui opera devono importanti scoperte i più diversi rami della fisica. Albrecht Dürer era pittore, incisore, scultore, architetto, ed ideatore inoltre di un sistema di fortificazione, che contiene già parecchie delle idee che saranno riprese molto più tardi dai Montalembert e dalla moderna arte militare tedesca. Machiavelli era uomo politico, storiografo, poeta, e insieme il primo scrittore di cose militari degno di nota nell'epoca moderna. Lutero non spazzò soltanto la stalla d'Augia della Chiesa, ma anche quella della lingua tedesca; creò la prosa tedesca moderna, fece sia il testo che la melodia di quel corale, pieno di certezza nella vittoria, che divenne la Marsigliese del XVI secolo. Gli eroi di quell'epoca non erano ancora sotto la schiavitù della divisione del lavoro, che ha reso così limitati ed unilaterali tanti dei loro successori. Ma la loro caratteristica vera e propria sta nel fatto che vivevano e operavano, quasi tutti, in mezzo agli avvenimenti del tempo, alle lotte pratiche: prendevano posizione e combattevano anche essi, chi con la parola e con gli scritti, chi con la spada, parecchi con ambedue. Veniva da ciò quella pienezza e quella forza di carattere, che li faceva uomini completi. Gli eruditi di biblioteca sono delle eccezioni: o gente di secondo o terzo rango, o filistei prudenti che non volevano scottarsi le dita con il fuoco.
Anche la ricerca scientifica si moveva allora in mezzo alla rivoluzione generale ed era essa stessa radicalmente rivoluzionaria: doveva lottare per conquistare lo stesso diritto all'esistenza. Essa diede i suoi martiri che furono al fianco dei grandi italiani fondatori della filosofia moderna, sul rogo e nelle carceri dell'Inquisizione. Ed è caratteristico il fatto che i protestanti superarono i cattolici nella persecuzione della libera ricerca scientifica. Calvino mandò al rogo Serveto, mentre era sul punto di scoprire il percorso della circolazione del sangue; anzi, lo fece arrostire vivo per due ore; l'Inquisizione, per lo meno, si accontentò di mandare semplicemente al rogo Giordano Bruno.
L'atto rivoluzionario con il quale la ricerca scientifica proclamò la sua indipendenza, ripetendo in certo modo il gesto di Lutero che brucia le bolle papali, fu la pubblicazione dell'immortale opera con la quale Copernico - se pur esitando e per così dire solo sul letto di morte - gettò il guanto di sfida all'autorità della Chiesa nell'interpretazione dei fenomeni naturali. Data da quel momento l'emancipazione della ricerca naturale dalla teologia, seppure la separazione delle singole reciproche competenze si sia protratta fino ai giorni nostri e non si sia ancora compiuta in molte menti. Ma da quel momento in poi lo sviluppo delle scienze procedette con passi da gigante ed aumentò di forza, si potrebbe dire, in modo direttamente proporzionale al quadrato della sua distanza (nel tempo) dal suo inizio. Sembrava quasi che dovesse essere dimostrato al mondo che per lo spirito umano, il prodotto più alto della materia organica, valeva da allora in poi una legge di movimento opposta a quella che regola la materia inorganica.
Il lavoro fondamentale nel primo periodo, allora iniziatosi, della scienza naturale, fu l'impossessamento del materiale più immediato. Nella maggior parte dei campi bisognava cominciare da materiale del tutto greggio. L'antichità classica aveva lasciato l'Euclide e il sistema solare tolemaico, gli arabi avevano lasciato la notazione decimale, i principi dell'algebra, la numerazione moderna e l'alchimia; il medioevo cristiano nulla. In questa situazione prese naturalmente il primo posto la scienza naturale più elementare, la meccanica dei corpi terrestri e celesti e, accanto ad essa, al suo servizio, la scoperta ed il perfezionamento dei metodi matematici. In questo campo furono fatte grandi cose. Alla fine del periodo, che è contraddistinto dai nomi di Newton e Linneo, troviamo che questi rami della scienza sono stati portati a una certa compiutezza. I metodi matematici più essenziali sono stabiliti nelle loro linee fondamentali: la geometria analitica, soprattutto da Descartes, i logaritmi da Napier, il calcolo differenziale e integrale da Leibniz e forse Newton Lo stesso è da dire per la meccanica dei corpi rigidi, le cui leggi fondamentali furono allora definitivamente stabilite. Infine, nell'astronomia del sistema solare Keplero avevi scoperto le leggi del movimento dei pianeti, e Newton le aveva concepite come leggi generali del movimento della materia. Gli altri rami delle scienze naturali erano ben lontani perfino da una simile compiutezza provvisoria. La meccanica dei liquidi e dei gas fu maggiormente elaborata solo verso la fine del periodo [I]. La fisica propriamente detta non andava ancora al di là dei primi princípi, eccezion fatta per l'ottica, i progressi eccezionali della quale furono provocati dalle necessità pratiche dell'astronomia. La chimica si emancipò dall'alchimia soltanto con la teoria flogistica. La geologia non era ancora andata al di là dello stadio embrionale della mineralogia; la paleontologia non poteva quindi ancora per nulla esistere. Infine nel campo della biologia, l'attivita essenziale era ancora la raccolta e il primo vaglio dell'immenso materiale sperimentale tanto botanico e zoologico, quanto anatomico e fisiologico vero e proprio. Non era ancora quasi il caso di parlare di confronto tra le varie forme viventi, di studio della loro distribuzione geografica. In questo campo, solo la botanica e la zoologia raggiunsero, ad opera di Linneo, una approssimativa compiutezza.
Ma ciò che caratterizza in particolare questo periodo è la elaborazione di una data concezione generale, il cui nocciolo è l'idea dell'assoIuta immutabilità della natura
. Cioè, comunque il mondo naturale potesse essersi costituito, una volta dato rimaneva quale era finché esso fosse esistito I pianeti e i loro satelliti una volta messi in movimento dal misterioso “primo impulso” seguitavano a girare e girare nelle orbite ellittiche loro prescritte in perpetuo, o per lo meno fino alla fine di tutte le cose. Le stelle restavano per l'eternità fisse al loro posto, reciprocamente sostenendosi ad opera della “attrazione universale”. La terra era rimasta immutata da sempre o per lo meno (a seconda dei casi) dal giorno della sua creazione: le cinque “parti del mondo” erano sempre esistite, avevano sempre avuto gli stessi monti, gli stessi fiumi, le stesse valli, lo stesso clima, la stessa flora e fauna, a prescindere solo dalle modificazioni o dalla coltivazione, dovute alla mano dell'uomo. Le specie vegetali ed animali erano state fissate una volta per tutte al loro sorgere, il simile generava perpetuamente il simile. Fu già molto quando Linneo ammise che era possibile che sorgessero qua e là nuove specie per incrocio. La storia naturale poteva svolgersi solo nello spazio, in contrapposizione alla storia dell'umanità che si sviluppa nel tempo. Alla natura veniva negata ogni modificazione, ogni sviluppo. La scienza della natura, inizialmente così rivoluzionaria, si fermava all'improvviso di fronte a una natura assolutamente conservatrice, ad una natura nella quale ancor oggi tutto era come era stato al principio, e nella quale - fino alla fine del mondo o eternamente - resterà come era al principio.
Di quanto la scienza naturale della prima metà del XVIII secolo era superiore a quella dell'antichità greca per conoscenza ed anche per anaIisi dei fatti, di tanto le era inferiore nel dominio ideale su di essi, nella concezione generale della natura. Per i filosofi greci il mondo era infatti qualcosa che si era venuto sviluppando dal caos. Per i ricercatori del periodo che trattiamo, il mondo era invece qualcosa di pietrificato di immutabile, fatto - per i più - una volta per tutte in un sol colpo. La scienza era ancora profondamente immersa nella teologia.
Cercava ovunque e trovava sempre come conclusione un impulso esterno che non poteva essere spiegato dalla natura stessa. Se anche l'attrazione battezzata pomposamente da Newton gravitazione universale era concepita come proprietà intrinseca della materia, da dove proveniva mai la inspiegata forza tangenziale [II] che al principio aveva dato inizio alle orbite dei pianeti? Come erano sorte le infinite specie delle piante e degli animali? E come innanzi tutto era comparso l'uomo, che indubbiamente non esisteva dall'eternità? A tali domande la scienza naturale rispondeva soltanto, troppo spesso, chiamando in causa il creatore di tutte le cose. Copernico inizia questo periodo scrivendo la lettera di sfida alla teologia; Newton lo chiude con il postulato del primo impulso divino. La più elevata idea generale alla quale si innalzasse quella scienza naturale era l'armonia prestabilita della natura, la piatta teleologia di un Wolff, secondo la quale i gatti sono stati creati per mangiare i topi, e i topi per essere mangiati dai gatti, e l'intera natura per mostrare la saggezza del creatore. Torna ad altissimo onore della filosofia di allora il fatto che non si facesse fuorviare dal limitato stadio delle conoscenze naturali del suo tempo, il fatto che essa - da Spinoza ai grandi materialisti francesi - mantenesse fermo il proposito di spiegare l'universo da se stessa, lasciando alla scienza dell'avvenire le giustificazioni di dettaglio.
Io includo i materialisti del diciottesimo secolo ancora in questo periodo, perché essi non avevano a loro disposizione altro materiale scientifico che quello prima descritto. Lo storico saggio di Kant restò per loro un segreto e Laplace venne molto dopo di loro . E non dimentichiamoci che questa concezione della natura ormai invecchiata ha dominato tutta la prima metà del diciannovesimo secolo [III] benché logorata in ogni sua parte dallo sviluppo della scienza. Ancora oggi, nella sua sostanza, viene insegnata in tutte le scuole [1].
La prima breccia in questa pietrificata concezione della natura fu aperta non da uno scienziato, ma da un filosofo. Nel 1755 apparve la “Storia naturale generale e teoria del cielo” di Kant
. La questione del primo impulso veniva eliminata; la terra e l'intero sistema solare apparivano come qualcosa che si è venuto formando
nel corso del tempo. Se la maggior parte degli scienziati avesse meno sofferto di quella repugnanza al pensiero che Newton esprime con il monito: Fisica, guardati dalla metafisica!, essi avrebbero potuto trarre da questa geniale scoperta di Kant conseguenze che avrebbero loro risparmiato infiniti errori di indirizzo, incalcolabili perdite di tempo e di lavoro in direzioni sbagliate. La scoperta di Kant era infatti il punto di partenza di ogni ulteriore progresso. Se la terra infatti era qualcosa che si era andato formando, allora il suo presente stato geologico, geografico e climatico, i suoi animali e le sue piante dovevano di necessitá essere anch'essi il risultato di un processo di formazione. La terra doveva avere una sua storia fatta non soltanto di giustapposizione nello spazio, ma di successione nel tempo. Se si fossero avviate le ricerche subito, decisamente, in questa direzione, le scienze naturali sarebbero oggi notevolmente più progredite di quanto in effetti non siano. Ma cosa ci si poteva attendere di buono dalla filosofia? Lo scritto di Kant rimase senza risultato immediato, finché, molti anni dopo, Laplace e Herschel svilupparono e argomentarono con più precisione il suo contenuto, e portarono con ciò gradualmente in onore l'“ipotesi della nebulosa”. Ulteriori scoperte diedero infine ad essa la vittoria; di cui le più importanti furono: il movimento proprio delle stelle fisse, la dimostrazione dell'esistenza di un mezzo resistente nello spazio interstellare, la dimostrazione, ottenuta per mezzo dell'analisi spettroscopica, dell'identità chimica della materia dell'Universo e dell'esistenza di nebulose incandescenti del tipo supposto da Kant [IV].
È perciò lecito dubitare che la maggioranza degli scienziati avrebbe presto acquistato coscienza della contraddizione di una terra mutevole che ospita organismi immutabili, se la concezione, appena ai suoi albori, di una natura che non è
, ma diviene
e trapassa
, non avesse ricevuto soccorsi da altre parti. Sorse la geologia, e rivelò non solo strati terrestri successivamente formatisi e sovrapposti l'uno all'altro, ma anche gusci e scheletri di animali scomparsi conservati in questi strati, tronchi, foglie e frutti di piante non più esistenti. Era necessario decidersi a riconoscere che non soltanto la terra nel suo insieme, ma anche la sua superficie attuale e le piante e gli animali che su essa vivono avevano una loro storia nel tempo. Un tale riconoscimento venne fatto al principio abbastanza controvoglia. La teoria delle rivoluzioni della terra di Cuvier era rivoluzionaria nelle parole e reazionaria nella sostanza. Essa sostituiva infatti all'unico atto di creazione tutta una serie di ripetuti atti creativi, trasformava il miracolo in una delle leve essenziali della natura. Lyell per primo portò un ordine razionale nella geologia, sostituendo alle improvvise rivoluzioni, suscitate dai capricci del creatore, la gradualità di una lenta trasformazione della terra [2].
La teoria di Lyell era ancora più inconciliabile di tutte quelle che l'avevano preceduta con l'ipotesi di specie organiche inalterabili. Una graduale trasformazione della superficie terrestre e di tutte le condizioni di vita portava in modo diretto a una graduale trasformazione degli organismi e al loro adattamento al mutare dell'ambiente, alla variabilità delle specie. Ma la tradizione è una potenza nella scienza della natura e non soltanto nella Chiesa cattolica. Lo stesso LyelI, per anni, non vide la contraddizione; i suoi discepoli ancor meno. La cosa si spiega con il fatto che la divisione del lavoro era frattanto divenuta regola dominante nella scienza della natura, e limitava ciascuno più o meno rigidamente entro l'ambito della sua speciale disciplina. Solo a pochi non veniva così tolta la visione d'assieme.
La fisica aveva fatto frattanto importanti progressi, i cui risultati furono raccolti quasi contemporaneamente da tre diversi uomini nel 1842, anno di importanza storica per questo ramo della ricerca scientifica. Mayer ad Heilbronn e Joule a Manchester dimostrarono la convertibilità del calore in forza meccanica e della forza meccanica in calore. La determinazione dell'equivalente meccanico del calore mise fuori dubbio tale risultato. Contemporaneamente l'inglese Grove (che non era uno scienziato di professione ma un avvocato) dimostrò - elaborando in modo semplice i singoli risultati fisici già raggiunti - che tutte le cosiddette forze fisiche (la forza meccanica, il calore, la luce, l'elettricità, il magnetismo, la stessa cosiddetta forza chimica) in determinate condizioni si trasformano l'una nell'altra senza che abbia luogo nessuna perdita di forza. Dimostrò così, di conseguenza, per via fisica la proposizione di Descartes, che la quantità di movimento esistente nell'universo è costante. Le forze fisiche particolari che erano, per cosi dire, le “specie” immutabili della fisica, finivano cosi con l'essere risolte in forme del movimento della materia, variamente differenziate e trapassanti l'una nell'altra secondo determinate leggi. La casualità del sussistere di un dato numero di forze fisiche, tante e non più di tante, veniva annullata dalla scienza con la dimostrazione dei loro rapporti e della loro convertibilità l'una nell'altra. Come già l'astronomia, la fisica era arrivata ad un risultato che indicava necessariamente come realtà ultima l'eterno ciclo della materia in movimento.
Lo sviluppo straordinariamente rapido della chimica, dopo Lavoisier ed in particolare dopo Dalton, aggredì la vecchia concezione della natura da un altro lato. Con la preparazione per via inorganica di composti prodotti sino ad allora soltanto in organismi viventi, la chimica dimostrò che le sue leggi sono altrettanto valide per le sostanze organiche quanto per quelle inorganiche e colmò in gran parte l'abisso tra mondo organico e mondo inorganico, che ancor dopo Kant sembrava per sempre invalicabile.
Infine dopo i viaggi e le spedizioni scientifiche condotte sistematicamente a partire dalla metà del secolo passato; con l'esplorazione sempre più accurata delle colonie dei paesi europei, in tutte le parti del mondo, fatta da specialisti ivi residenti; grazie ai progressi della paleontologia, dell'anatomia e soprattutto della fisiologia, particolarmente notevoli dopo l'impiego sistematico del microscopio e la scoperta della cellula, si era venuto raccogliendo tanto materiale, anche nel campo della ricerca biologica, da rendere insieme possibile e necessaria l'applicazione del metodo comparativo [V]. Da un lato, con la geografia fisica comparata, furono stabilite le condizioni necessarie per l'esistenza delle diverse flore e faune. Dall'altro lato vennero confrontati fra di loro i diversi organismi partendo dai loro organi omologhi: e ciò fu fatto per gli organismi in tutte le loro fasi di sviluppo, non solo per quelli adulti. Questa ricerca, via via che si faceva più profonda ed accurata, corrodeva sempre più il rigido schema di una natura organica fissa, immutabile. Non accadeva solo che singole specie di piante e animali, in sempre maggior numero, si mescolassero le une con le altre senza che ci fosse modo di evitarlo: spuntarono fuori animali come l'anfiosso e la lepidosirena che irridevano ogni classificazione esistente [VI]; e ci si imbatté infine in organismi dei quali non si sapeva assolutamente dire se appartenessero al regno vegetale o a quello animale. Le lacune nell'archivio paleontologico si andavano riempiendo sempre più; anche il più tenace oppositore fu costretto a prendere come filo d'Arianna che doveva condurre fuori dal labirinto, nel quale botanica e zoologia sembravano smarrirsi sempre più, l'impressionante parallelismo esistente tra l'evoluzione del mondo organico nel suo complesso e quella dei singoli organismi. Fu significativo che C.F. Wolff sferrasse il primo attacco aIla stabilità delle specie proclamando la teoria della discendenza nel 1759, quasi contemporaneamente all'attacco di Kant all'eternità del sistema solare. Ma quel che in lui era ancora solo anticipazione geniale acquistò forma solida con Oken, Lamarck, Baer e fu portato vittoriosamente a termine da Darwin, esattamente un secolo dopo, nel 1859. Quasi contemporaneamente venne constatato che il protoplasma e la cellula (che già precedentemente si era dimostrato essere le parti costituenti più piccole degli organismi dotate di una struttura propria), si presentano come le forme organiche più basse viventi in modo indipendente. Con ciò fu ridotta a un minimo la già profonda separazione fra il mondo inorganico e quello organico, e fu insieme eliminata una delle più essenziali difficoltà che si contrapponevano fino ad allora alla teoria della discendenza degli organismi. La nuova concezione della natura era, nei suoi tratti essenziali, ormai completa: ogni rigidità era stata sciolta, ogni fissità era scomparsa: tutti i caratteri particolari ritenuti eterni erano divenuti caduchi; si era dimostrato che l'intera natura si muoveva in un perpetuo flusso e ciclo.
Siamo così oggi ritornati alla concezione dei grandi fondatori della filosofia greca, che vedevano il carattere essenziale di tutta la natura, dalle parti infime alle massime, dal granellino di sabbia al sole, dal protisti agli uomini, in un eterno nascere e trapassare, in un incessante flusso, in un moto e in un cangiamento senza tregua. Con questa differenza essenziale però: mentre per i greci si trattava di geniale intuizione, per noi tutto ciò è risultato di una rigorosa ricerca scientifica sperimentale, e si presenta quindi in forma molto più definita e chiara. Senza dubbio la dimostrazione empirica di questo ciclo non è davvero priva di lacune; ma sono insignificanti rispetto a ciò che è stato già sicuramente stabilito e si colmano sempre più rapidamente di anno in anno. E come potrebbe essere priva di lacune la dimostrazione dettagliata? Si pensi che i rami più essenziali della scienza - l'astronomia transplanetaria, la chimica, la geologia - hanno appena un secolo di esistenza scientifica, il metodo comparato nella fisiologia appena cinquant'anni; che la forma fondamentale di quasi tutto lo sviluppo della vita, la cellula, è stata scoperta neppure quarant'anni fa! [VII]
Gli innumerevoli soli e sistemi solari, compresi nella nostra galassia, limitata dalle costellazioni più esterne della Via Lattea, si svilupparono per condensazione e raffreddamento da masse incandescenti di vapore in rotazione, le leggi di movimento delle quali potranno forse essere stabilite dopo che le osservazioni di qualche secolo ci avranno permesso di conoscere chiaramente il movimento proprio delle stelle. Un tale sviluppo non procedette, evidentemente, con la stessa rapidità dovunque. L'esistenza nel nostro sistema di stelle di corpi oscuri - non soltanto pianeti, ma anche soli spenti - si impone sempre più all'astronomia (Mädler); d'altra parte (secondo Secchi) al nostro sistema di stelle appartengono delle nebulose gassose che sono dei soli non ancora formati; con il che non è escluso che altre nebulose, come afferma Mädler, siano remoti mondi a sé stanti, il relativo grado di sviluppo dei quali dev'essere stabilito dallo spettroscopio.
Laplace ha dimostrato in dettaglio, in modo finora insuperato, come un sistema solare si sviluppi da una singola massa gassosa; la scienza successiva ha sempre più confermato i suoi risultati.
Sui singoli corpi cosi formatisi - soli, pianeti e satelliti - regna dapprincipio sovrana quella forma di movimento della materia che noi chiamiamo calore. Di combinazioni chimiche degli elementi non si può parlare neppure a una temperatura qual è quella che il sole ancor oggi ha; in che misura poi il calore si trasformi in tali condizioni in elettricità o magnetismo potrà essere mostrato da prolungate osservazioni solari; si può infine sin d'ora considerare come dimostrato che i movimenti meccanici che hanno luogo sul sole derivano semplicemente dal contrasto fra il calore ed il peso.
I singoli corpi si raffreddano tanto più rapidamente quanto più sono piccoli. Dapprima i satelliti, gli asteroidi, le meteore (anche la nostra luna è già morta da gran tempo). Più lentamente i pianeti ed ancor più lentamente il corpo centrale.
Con il progressivo raffreddamento, acquista sempre maggior importanza il gioco della reciproca trasformazione delle varie forme fisiche di movimento l'una nell'altra, finché all'ultimo, da un certo momento in poi, l'affinità chimica comincia farsi valere. Gli elementi, fino ad allora chimicamente indifferenti, si differenziano via via chimicamente, acquistano proprietà chimiche, si combinano insieme. Tali combinazioni cambiano via via con l'abbassarsi della temperatura (che influisce in modo differente non solo su ogni elemento, ma anche su ogni singola combinazione di elementi) e con il conseguente passaggio di una parte della materia gassosa prima allo stato liquido, poi a quello solido, e con le nuove condizioni che così si creano.
L'epoca in cui il pianeta ha una scorza solida con depositi di acque alla superficie coincide con l'epoca a partire dalla quale il calore proprio del pianeta passa sempre più in seconda linea rispetto al calore che ad esso viene inviato dal corpo centrale. La sua atmosfera diviene il teatro di fenomeni meteorologici nel senso che adesso diamo alla parola; la sua superficie diviene teatro di modificazioni geologiche, nelle quali i depositi dovuti a precipitazioni atmosferiche acquistano sempre maggiore importanza rispetto agli effetti esterni della parte interna liquida e incandescente, effetti che si fanno via via, lentamente, più deboli.
Quando infine la temperatura si livella in modo tale da non superare più, almeno in una zona considerevole della superficie, i limiti entro i quali l'albume [VIII] può vivere, si forma il protoplasma vivente, quando anche altre condizioni chimiche siano favorevoli. Oggi ancora non sappiamo quali siano queste condizioni: e non c'è da stupirsene, perché la stessa formula chimica dell'albume non è ancora conosciuta, né ancora sappiamo quante varietà di albume chimicamente distinte esistano, e perché solo da dieci anni circa si sa che l'albume assolutamente privo di struttura compie tutte le funzioni vitali essenziali: digestione, escrezione, movimento, contrazione, reazione agli stimoli, riproduzione.
Possono essere passati millenni prima che si presentassero le condizioni necessarie per il successivo passo in avanti, e prima che questo albume amorfo potesse dar luogo alla prima cellula con la formazione del nucleo e della membrana esterna. Ma con la prima cellula era posto anche il fondamento del processo di formazione di tutto il mondo organico. Dapprima si svilupparono, possiamo supporlo per analogia con quanto ci mostra tutto l'archivio paleontologico, innumerevoli specie di protisti cellulari e non, dei quali è giunto a noi il solo Eozoon canadense e dei quali alcuni si andarono differenziando gradualmente nella direzione delle prime forme vegetali, altri in quella delle prime forme animali. E dalle prime forme animali si svilupparono, essenzialmente per un'ulteriore differenziazione, le innumerevoli classi, ordini, famiglie, generi e specie animali, fino alla forma nella quale il sistema nervoso perviene al suo più completo sviluppo, quella dei vertebrati, e con un nuovo sviluppo si arrivò infine a quel vertebrato nel quale la natura raggiunge la coscienza di se stessa: l'uomo.
Anche l'uomo sorge per differenziazione. Non solo individualmente, per differenziazione da un'unica cellula-uovo fino all'organismo più complicato che la natura produce: ma anche storicamente. Quando, dopo sforzi millenari, la differenziazione della mano dal piede e la stazione eretta furono definitivamente acquisite, allora l'uomo si distaccò nettamente dalla scimmia; allora furono poste le basi per lo sviluppo del linguaggio articolato e per quel poderoso perfezionamento del cervello, che da allora in poi ha fatto divenire invalicabile l'abisso esistente fra l'uomo e la scimmia. La specializzazione della mano significa lo strumento
: e strumento significa l'attività umana specifica, la reazione trasformatrice dell'uomo sulla natura, la produzione. Ci sono anche animali, in senso stretto, che possiedono strumenti, ma solo in quanto membra del loro corpo (la formica, l'ape, il castoro); anche degli animali producono, ma l'influsso della loro produzione sull'ambiente naturale è praticamente nullo, rispetto a quest'ultimo. Solo l'uomo è riuscito ad imprimere il suo suggello sulla natura, non solo perché ha fatto mutare di luogo fauna e flora, ma perché ha modificato in tal modo l'aspetto, il clima, perfino gli animali e le piante della zona da lui abitata, che i risultati della sua attività potranno scomparire solo con l'estinzione generale di tutto il globo terrestre. E l'uomo ha fatto tutto ciò, innanzitutto ed essenzialmente, per mezzo della mano
. La stessa macchina a vapore, il suo più potente strumento, fino ad oggi, per la trasformazione della natura, deriva, in quanto strumento, in ultima istanza dalla mano. Ma con la mano passo a passo si sviluppò il cranio: venne la coscienza, dapprima delle condizioni necessarie per l'avverarsi di singoli effetti praticamente utili, e più tardi, nei popoli più favoriti, si sviluppò da questa coscienza la comprensione delle leggi naturali che coordinavano quei fenomeni. E con il rapido svilupparsi della conoscenza delle leggi naturali crebbero i mezzi per reagire sulla natura. La mano, sola, non avrebbe mai costruito la macchina a vapore, se il cervello dell'uomo non si fosse sviluppato correlativamente con essa, accanto ad essa, e in parte attraverso di essa.
Con l'uomo noi entriamo nella storia
. Anche gli animali hanno una storia: queIla della loro discendenza e graduale evoluzione fino al loro stato attuale. Ma questa storia si compie da sé: e nella misura in cui gli animali stessi vi partecipano, lo fanno senza consapevolezza e volontà. Gli uomini, al contrario, quanto più si allontanano dall'animalità intesa nel senso ristretto della parola, tanto più fanno essi stessi la loro storia, consapevolmente; tanto minore diviene l'influsso su tale storia di fatti imprevisti e di forze incontrollate, tanto più esattamente il risultato storico corrisponde allo scopo prestabilito. Ma se noi applichiamo questo criterio alla società umana, anche a quella dei popoli più evoluti nel presente, troviamo che in essa sussiste ancora una colossale sproporzione fra le mete prefissate e i risultati raggiunti; che i fatti impreveduti predominano, che le forze incontrollate sono molto più potenti di quelle messe in movimento secondo un piano. E non può essere altrimenti, finché l'attività storica più essenziale degli uomini, quell'attività che ha sollevato l'uomo dall'animalità all'umanità e che costituisce la base materiale di tutte le sue altre attività: la produzione di ciò che è necessario per vivere (il che significa oggi la produzione sociale), resta soggetta all'alterno gioco di influenze imprevedute di forze incontrollate e realizza solo eccezionalmente l'obiettivo voluto, molto più spesso invece esattamente l'opposto. Nei paesi industriali più progrediti noi abbiamo domato le forze naturali e le abbiamo costrette al servizio degli uomini; abbiamo così moltiplicato all'infinito la produzione, tanto che un fanciullo oggi produce più di quello che producevano ieri cento adulti. E quali sono i risultati? Crescente sopralavoro e miseria crescente delle masse, e una grande crisi ogni dieci anni. Darwin non sapeva quale amara satira scrivesse sugli uomini, ed in particolare sui suoi compatrioti, quando dimostrava che la libera concorrenza, la lotta per l'esistenza, che gli economisti esaltano come il più alto prodotto storico, sono lo stato normale del regno animale
. Solo un'organizzazione cosciente della produzione sociale, nella quale si produce e si ripartisce secondo un piano, può sollevare gli uomini al di sopra del restante mondo animale sotto l'aspetto sociale di tanto, quanto la produzione in generale lo ha fatto per l'uomo come specie. L'evoluzione storica rende ogni giorno più indispensabile, ma anche ogni giorno più realizzabile una tale organizzazione. Essa segnerà la data iniziale di una nuova epoca storica nella quale l'umanità stessa, e con essa tutti i rami della sua attività, in particolare la scienza della natura, prenderanno uno slancio tale da lasciare in una fonda ombra tutto ciò che c'è stato prima.
Ma “tutto ciò che nasce è degno di perire”. Potranno trascorrere milioni di anni, potranno nascere e morire centinaia di migliaia di generazioni; ma si avvicina inesorabile l'epoca in cui il calore esausto del sole non riuscirà più a sciogliere i ghiacci che avanzano dai poli: nella quale gli uomini, addensatisi sempre più attorno all'equatore, non troveranno alla fine neppur lì calore sufficiente per vivere; scompare via via fin l'ultima traccia di vita organica: la terra - un corpo morto e freddo come la luna - ruota in orbite sempre più strette attorno al sole ugualmente estinto ed infine precipita su di esso. Alcuni pianeti l'hanno preceduta, altri la seguono; al posto del sistema solare - armonicamente articolato, luminoso, caldo - ormai solo una sfera morta e fredda prosegue il suo solitario cammino attraverso gli spazi celesti. Ed anche agli altri sistemi della nostra galassia accade, prima o poi, quello che accade al nostro sistema solare; accade a tutte le altre innumerevoli galassie, anche a quelle la cui luce non raggiunge mai la terra fin quando vive l'occhio di un uomo per riceverla.
E quando un sistema solare compie il corso della sua vita e soggiace al destino di tutto ciò che è finito: la morte, che più? La morta spoglia del sole seguiterà in eterno a trascorrere attraverso gli spazi infiniti come morta spoglia? Tutte le energie naturali già differenziate in modo infinitamente vario, si risolveranno per sempre in un'unica forma di movimento, quella dell'attrazione? “Oppure esistono forze della natura”, come si chiede Secchi (p. 810), “che riportano il sistema morto allo stato iniziale della nebulosa incandescente e lo possono risvegliare a nuova vita? Noi non lo sappiamo.”
Certamente non lo sappiamo nel modo in cui sappiamo che due per due è uguale a quattro o che l'attrazione della materia è inversamente proporzionale al quadrato della distanza. Ma nella scienza naturale teorica (che elabora quanto più è possibile la propria concezione della natura in un tutto armonico e senza la quale oggi non avanza di un passo neanche l'empirista più vuoto di pensiero), noi dobbiamo spesso fare i calcoli con grandezze che si conoscono in modo incompleto; e la conoscenza lacunosa è stata in tutti i tempi integrata dallo sviluppo conseguente del ragionamento. Ora, la scienza naturale moderna ha dovuto adottare, prendendolo dalla filosofia, il principio della indistruttibilità del movimento: senza di esso non può più sussistere. Ma il movimento della materia non è soltanto l'ordinario movimento meccanico, il semplice spostamento: è calore e luce, tensione elettrica e magnetica, composizione e scomposizione chimica, vita e, infine, coscienza. Dire che la materia si trova nella possibilità di differenziare il suo movimento, e con ciò di dispiegare tutta la ricchezza di esso, solo per un'unica volta durante tutta la sua illimitata esistenza e per un periodo di tempo che è infinitesimo rispetto alla sua eternità; e che prima e dopo il movimento si riduce eternamente a un puro e semplice spostamento - dire ciò significa affermare che la materia è mortale e che il movimento è caduco. La indistruttibilità del movimento non può essere concepita solo quantitativamente, ma anche qualitativamente, una materia il cui semplice spostamento meccanico porta in sé la possibilità di trasformarsi – in condizioni favorevoli – in calore, elettricità, attività chimica, vita, ma che non è in grado di produrre da sé quelle condizioni, una materia cosiffatta ha perduto movimento
: un movimento, che ha perso la capacità di trasformarsi nelle diverse forme ad esso proprie, ha ancora dynamis [IX] ma non ha più alcuna energeia [X] ed è perciò stato in parte distrutto. Ma tutte e due le cose sono impensabili.
Certo è questo: vi fu un tempo, nel quale la materia della nostra galassia aveva trasformato in calore una tale quantità di movimento (di quale specie finora non sappiamo) che da esso si poterono sviluppare – secondo Mädler – i sistemi solari relativi ad almeno 20 milioni di stelle, la cui graduale estinzione è altrettanto certa. Come ebbe luogo questa trasformazione? Ne sappiamo quanto ne sa padre Secchi sulla possibilità che il caput mortuum del nostro sistema solare si trasformi di nuovo in materia greggia di nuovi sistemi solari. Ma a questo punto, o dobbiamo ricorrere al creatore, o siamo costretti a concludere che l'incandescente materia greggia dei sistemi solari della nostra galassia è stata prodotta secondo un processo naturale di trasformazione del movimento, connaturato
alla materia in movimento, e che le condizioni di questo processo debbono essere riprodotte dalla materia stessa, se pur dopo milioni d'anni, più o meno casualmente, ma tuttavia con quella necessità che è inerente anche al caso.
La possibilità di una simile metamorfosi viene sempre più largamente ammessa. Ci si avvia verso l'ipotesi che i corpi celesti siano destinati, alla fine, a precipitare l'uno sull'altro e si arriva anche a calcolare la quantità di calore che si deve sviluppare in simili cozzi. Con collisioni di questo genere si spiega nel modo più semplice l'improvviso accendersi di nuove stelle e la più vivida luce, altrettanto improvvisa, di stelle da tempo conosciute. Inoltre, non solo il nostro gruppo di pianeti si muove intorno al sole, e il sole entro la nostra galassia, ma tutta la nostra galassia si muove a sua volta negli spazi celesti in uno stato d'equilibrio relativo, temporaneo, rispetto alle altre galassie (giacché un equilibrio anche relativo dei corpi non soggetti a vincoli non può sussistere senza movimento reciprocamente condizionato); e molti suppongono che la temperatura negli spazi celesti non sia ovunque la stessa. Infine: noi sappiamo che, ad eccezione di una parte infinitesima, il calore degli innumerevoli soli del nostro arcipelago celeste scompare nello spazio e si dissipa invano, senza riuscire a innalzare neppure di un milionesimo di grado Celsius la temperatura degli spazi celesti. Che cosa succede di tutte queste enormi quantità di calore? È andato perduto per sempre nel tentativo di riscaldare lo spazio celeste? ha cessato praticamente di esistere? continua a sussistere solo in quanto lo spazio celeste ha aumentato la sua temperatura di una frazione decimale di grado, che comincia con dieci zeri o più? Questa ipotesi smentisce la indistruttibilità del movimento; essa ammette la possibilità che tutto il movimento meccanico esistente si trasformi in calore (in seguito a successivi scontri e compenetrazioni dei corpi celesti) e che questo calore si irraggi negli spazi celesti. E con ciò, pur essendoci “conservazione della forza”, sarebbe scomparso ogni movimento (si vede qui, di passaggio, quanto sia malpropria la locuzione: “conservazione della forza” invece di: “conservazione del movimento”). Arriviamo così alla conclusione che - secondo un processo che sarà compito della ricerca scientifica chiarire in avvenire - il calore irraggiato negli spazi celesti deve avere la possibilità di trasformarsi in un'altra forma di movimento, nella quale esso potrà di nuovo concentrarsi ed attivarsi. Cade con ciò la principale difficoltà che si frapponeva alla riconversione di soli estinti in nebulose incandescenti.
Del resto, la successione nel tempo infinito di universi che eternamente si riproducono non è che il complemento logico del succedersi di innumerevoli universi nello spazio infinito, proposizione la cui necessità si impone perfino all'antiteorico cervello yankee di Draper [3].
La materia si muove in un eterno ciclo. È un ciclo che si conclude in intervaIli di tempo per i quali il nostro anno terrestre non è assolutamente metro sufficiente; un ciclo, nel quale il periodo dello sviluppo più elevato - quello della vita organica e anzi della stessa vita – occupa un posto ristretto quanto lo spazio nel quale si fanno strada la vita e la coscienza; un ciclo, nel quale tutte le manifestazioni della materia - sole o nebulosa, animale o specie, combinazione o separazione chimica - sono ugualmente caduche. In esso non vi è nulla di eterno se non la materia che eternamente si trasforma, eternamente si muove, e le leggi secondo le quali essa si trasforma e si muove. Ma per quanto spesso, per quanto inflessibilmente questo ciclo si possa compiere nello spazio e nel tempo; per quanti milioni di soli e di terre possano nascere e perire; per quanto tempo possa trascorrere finché su un solo pianeta di un sistema solare si stabiliscano condizioni necessarie alla vita organica; per quanti innumerevoli esseri organici debbono sorgere e scomparire prima che tra di essi si sviluppino animali dotati di un cervello pensante e trovino per un breve intervallo di tempo condizioni atte alla vita, per essere poi anche essi distrutti senza pietà, noi abbiamo la certezza che la materia in tutti i suoi mutamenti rimane eternamente la stessa, che nessuno dei suoi attributi può mai andare perduto e che perciò essa deve di nuovo creare, in altro tempo e in altro luogo, il suo più alto frutto, lo spirito pensante, per quella stessa ferrea necessità che porterà alla scomparsa di esso sulla terra.
Prima prefazione all'“Anti-Dühring”. Sulla dialettica
Il seguente lavoro non è affatto il frutto di un “impulso interiore”. Al contrario, il mio amico Liebknecht mi renderà testimonianza di quanto egli abbia dovuto faticare per spingermi a lumeggiare criticamente la nuovissima teoria socialista del signor Dühring. Una volta decisomi a farlo, non mi restava altra scelta se non quella di esaminare questa teoria, che si autopresenta come ultimo frutto pratico di un nuovo sistema filosofico, in connessione con questo sistema e, di conseguenza, di esaminare il sistema stesso. Fui quindi costretto a seguire Dühring in quel vasto campo in cui egli parla di tutte le cose possibili e di altre ancora. Così ebbe origine una serie di articoli che dal principio del 1877 sono apparsi nel “Vorwärts
” di Lipsia, e che qui si presentano come un tutto unico.
Che la critica di un sistema estremamente insignificante nonostante tutti gli autoincensamenti sia fatta tanto per esteso, come il soggetto impone, può essere giustificato da due circostanze. Da una parte questa critica mi ha dato l'opportunità di sviluppare positivamente, in diversi campi, il mio modo di vedere su punti controversi che oggi hanno un vasto interesse scientifico o pratico. E per quanto lontana da me sia l'idea di contrapporre un altro sistema al sistema di Dühring, è sperabile tuttavia che al lettore non sfuggirà il nesso interno, pur con tutta la diversità della materia trattata, anche nelle opinioni che io sostengo.
D'altra parte il “creatore di sistema” Dühring non è un fenomeno isolato nella Germania del tempo presente. Da qualche tempo in Germania i sistemi filosofici, in particolare quelli di filosofia della natura, spuntano come i funghi a dozzine dalla sera alla mattina, per non parlare degli innumerevoli nuovi sistemi di politica, di economia ecc. Come nello Stato moderno si presume che ogni cittadino sia maturo per giudicare su tutte le questioni sulle quali egli deve votare; come in economia si suppone che ogni consumatore sia un conoscitore di tutte le merci che si trova a dovere acquistare per il suo sostentamento, analogamente ora ci si deve comportare anche nella scienza. Ognuno può scrivere su tutto, e la “libertà della scienza” significa proprio che ognuno scriva su ciò che non ha appreso e che questo sia spacciato per l'unico metodo rigorosamente scientifico. Ma Dühring è uno dei tipi più caratteristici di questa invadente pseudoscienza che al giorno d'oggi in Germania si spinge dappertutto in prima linea e che soverchia ogni voce con le sue chiassose sublimi sciocchezze. Sublimi sciocchezze in poesia, in filosofia, in economia, in storiografia; sublimi sciocchezze dalla cattedra e dalla tribuna, sublimi sciocchezze dappertutto; sublimi sciocchezze con la pretesa ad una superiorità e ad una profondità di pensiero che le distingue dalle sciocchezze semplici, piattamente volgari di altre nazioni; sublimi sciocchezze: è questo il prodotto più caratteristico e più abbondante dell'industria intellettuale tedesca, a buon mercato ma cattivo, proprio come altri manufatti tedeschi, accanto ai quali, disgraziatamente, non era stato esposto a Filadelfia. Perfino il socialismo tedesco, specialmente dopo il buon esempio di Dühring, si messo di recente a produrre in misura assai cospicua sublimi sciocchezze. Che il movimento socialdemocratico pratico si lasci così poco fuorviare da queste sublimi sciocchezze, è una nuova prova della natura notevolmente sana della nostra classe operaia in un paese nel quale peraltro, ad eccezione delle scienze naturali, tutto in questo momento è alquanto malato.
Il fatto che Nägeli nel suo discorso al congresso scientifico Monaco ha affermato che la conoscenza umana non assumerà mai il carattere della onniscienza, indica chiaramente che le prestazioni Dühring gli erano rimaste sconosciute. Tali prestazioni mi hanno costretto a seguirlo anche in una serie di campi, nei quali io mi posso muovere tutt'al più nella veste del dilettante. Ciò va detto precisamente per i differenti rami delle scienze naturali, dove nel passato si riteneva in generale più che scorretto il “profano” che volesse metterci bocca. Mi incoraggia tuttavia in una certa misura una affermazione di Virchow, fatta pure a Monaco, e più dettagliatamente discussa altrove, che ogni scienziato naturalista al di fuori della sua specialità è anche lui un superficiale, vulgo un profano. Come alle volte un siffatto specialista può e deve permettersi di invadere campi vicini, e come in tal caso dagli specialisti chiamati in causa vengono considerate con indulgenza improprietà di linguaggio e piccole inesattezze, così anch'io mi sono preso la libertà di addurre processi naturali e leggi naturali come esempi dimostrativi delle mie concezioni teoriche generali, e posso ben contare sulla stessa indulgenza [XI]. I risultati della moderna scienza della natura si impongono all'attenzione di tutti coloro che si occupano di questioni teoriche, proprio con la stessa irresistibilità con la quale gli scienziati naturalisti di oggi si vedono spinti, lo vogliano o no, a deduzioni di carattere teorico generale. E qui interviene una certa compensazione. Se i teorici sono dei superficiali nei campo delle scienze naturali, altrettanto lo sono, in effetti, gli scienziati naturalisti di oggi nel campo della teoria, nel campo di ciò che fino ad oggi veniva indicato come filosofia.
Lo studio empirico della natura ha accumulato una quantità così imponente di conoscenze positive, che la necessità di ordinarle sistematicamente e secondo la loro intrinseca connessione in ogni singolo ramo di ricerca è divenuta assolutamente improrogabile. È divenuta del pari una necessità improrogabile porre nella giusta connessione tra di loro i singoli campi della conoscenza. Con ciò, però, la conoscenza scientifica si trasferisce sul terreno teorico, e qui vengono meno i metodi dell'empiria, qui può venire in aiuto soltanto il pensiero teorico [XII]. Il pensiero teorico è però una facoltà innata solo in quanto disposizione naturale. Questa naturale disposizione deve essere sviluppata e formata, e per far ciò non esiste a tutt'oggi altro mezzo se non lo studio della filosofia che fino ad oggi vi è stata.
Il pensiero teorico di ogni epoca, e quindi anche della nostra, è un prodotto storico, che assume in differenti tempi forme assai differenti e con ciò un contenuto assai differente. La scienza del pensiero è perciò, come tutte le altre, una scienza storica, la scienza dello sviluppo storico del pensiero umano. E ciò è importante anche per l'applicazione pratica del pensiero a campi empirici. Poiché, in primo luogo, la teoria delle leggi del pensiero non è affatto una “verità eterna”, fatta una volta per tutte, come il senno dei filistei immagina quando si pronuncia la parola “logica”. La stessa logica formale ha continuato ad essere, da Aristotele ai giorni nostri, il terreno dei più vivaci dibattiti. E la dialettica, invero, è stata fino ad oggi indagata profondamente soltanto da due pensatori, da Aristotele e da Hegel. Proprio la dialettica, però, è per la scienza naturale odierna la forma di pensiero più importante, perché essa sola offre l'analogia, e con ciò i metodi d'interpretazione, per i processi di sviluppo che hanno luogo nella natura, i nessi generali, i passaggi da un campo di ricerca ad un altro.
In secondo luogo, però, la conoscenza del processo di sviluppo storico del pensiero umano, delle concezioni dei nessi generali del mondo esterno che sono state espresse nei diversi tempi, è una esigenza necessaria per la scienza teorica della natura, perché tale conoscenza offre un criterio per le teorie che la scienza stessa deve costruire. Il difetto di conoscenza della storia della filosofia al contrario balza fuori spesso e in modo piuttosto crudo. Proposizioni stabilite da secoli nella filosofia, e abbastanza spesso liquidate filosoficamente da gran tempo, vengono abbastanza spesso fuori in ricercatori naturalisti come sapienza nuova fiammante e diventano addirittura, per un certo tempo, moda. È certamente un grande successo della teoria meccanica del calore, il fatto che essa abbia sorretto con nuove prove il principio della conservazione dell'energia, e lo abbia di nuovo posto in primo piano; ma questo principio sarebbe potuto apparire qualcosa di così assolutamente nuovo, se i signori fisici si fossero ricordati che era stato già istituito da Descartes? Da quando la fisica e la chimica lavorano quasi esclusivamente con molecole e atomi, la antica filosofia atomistica greca è di necessità di nuovo in primo piano. Ma come è trattata superficialmente, perfino dai migliori! Così Kekulé (“Obiettivi e risultati della chimica”) racconta che essa deriva da Democrito, anziché da Leucippo, e afferma che Dalton ha per primo fatto l'ipotesi della esistenza di atomi elementari qualitativamente differenti, ed ha per primo ad essi attribuito differenti pesi caratteristici, per i differenti elementi, mentre pure si può leggere in Diogene Laerzio (X, §§ 43-44 e 61) che già Epicuro attribuiva agli atomi differenze non solo in grandezza e in forma, ma anche in peso
, e quindi a suo modo già conosceva il peso atomico e il volume atomico.
L'anno 1848, che per tutto il resto in Germania è finito in niente, vi ha realizzato un totale capovolgimento soltanto sul terreno della filosofia. Mentre la nazione si buttava al pratico, e qui gettava le basi della grande industria e delle vertiginose speculazioni, là del possente slancio, che in seguito hanno preso in Germania le scienze naturali, per iniziativa di predicatori viaggianti e macchiette come Vogt, Büchner ecc., liquidava risolutamente la filosofia classica tedesca, che si era insabbiata nella hegeleria berlinese. La hegeleria berlinese lo aveva onestamente meritato. Ma una nazione che vuole stare all'altezza della scienza non può mai riuscirvi senza pensiero teorico. Con i detriti hegeliani si buttò a mare anche la dialettica proprio nel momento in cui il carattere dialettico dei processi naturali si imponeva irresistibilmente, in cui pertanto solo la dialettica poteva aiutare le scienze naturali a scalare le erte della teoria; si ricadde con ciò senza scampo nelle braccia della vecchia metafisica. Da allora nel gran pubblico hanno imperversato da un lato le piatte riflessioni di Schopenhauer, e più tardi addirittura di Hartmann, fatte su misura per il filisteo, dall'altra il volgare materialismo predicato dai vari Vogt e Büchner. Nelle università si fecero concorrenza le più svariate specie di eclettismo, che in una sola cosa andavano d'accordo: nell'essere raffazzonate con rifiuti di filosofie tramontate, e nell'essere tutte ugualmente metafisiche. Dei resti della filosofia classica si salvò soltanto un certo neokantismo, la cui ultima parola fu la cosa in sé eternamente inconoscibile, cioè quella parte di Kant che meno di tutte meritava di essere conservata. Il risultato finale furono la incoerenza e la confusione del pensiero teorico attualmente imperanti.
È ben difficile prendere in mano un libro scientifico teorico senza ricevere l'impressione che gli stessi scienziati naturalisti sentano che sono dominati da questa incorenza e da questa confusione, e che la cosiddetta filosofia oggi corrente non offre loro assolutamente alcuna via d'uscita. E qui non c'è nessun'altra via d'uscita, nessuna possibilità di pervenire alla chiarezza, se non il ritorno, nell'una o nell'altra forma, dal pensiero metafisico a quello dialettico.
Questo ritorno può avvenire per diverse vie. Può effettuarsi secondo una linea spontanea di sviluppo, ad opera della sola forza delle scoperte scientifiche stesse, che non consentono di essere costrette più a lungo nel vecchio letto di Procuste metafisico. Ma questo è un processo lento e difficile, nel quale si deve vincere una immensa quantità di attrito superfluo. È in gran parte un processo già in corso, in particolare nella biologia. Potrà essere molto abbreviato, se gli scienziati naturalisti teorici vorranno occuparsi più dappresso della filosofia dialettica nel suo sviluppo storico, nelle sue forme storicamente date. Tra queste forme ve ne sono due specialmente, che possono divenire particolarmente fruttuose per la moderna scienza della natura.
La prima è la filosofia greca. In essa il pensiero dialettico si presenta ancora con spontanea semplicità, non turbato ancora dai deliziosi ostacoli che la filosofia del XVII e del XVIII secolo (Bacone e Locke in Inghilterra, Wolff in Germania) pose davanti a se stessa, e con i quali si chiuse la via del passaggio dalla comprensione del fatto singolo alla comprensione del tutto, alla percezione del nesso generale. Nei greci, proprio perché essi non erano ancora arrivati allo smembramento, alla analisi della natura, la natura viene guardata ancora come un tutto, nella sua interezza. Il nesso di assieme dei fenomeni naturali non viene ancora dimostrato nei dettagli, è per i greci il risultato della intuizione immediata. In ciò sta la insufficienza della filosofia greca, a causa della quale ha più tardi dovuto cedere il passo ad altre concezioni. In ciò sta anche però la sua superiorità nei confronti di tutti i suoi oppositori metafisici a venire. Se la metafisica ebbe ragione nei confronti dei greci nei particolari, i greci ebbero ragione nei confronti della metafisica nell'assieme. Questo e uno dei motivi per i quali noi saremo costretti, nella filosofia così come in molti altri campi, a ritornare sempre di nuovo alle opere di quel piccolo popolo, al quale le sue doti e la sua operosità universale hanno assicurato nella storia dello sviluppo dell'umanità un posto quale mai nessun altro popolo potrà aspira ad avere. L'altro motivo è però questo: che nelle molteplici forme della filosofia greca si trovano già quasi tutte le concezioni successive, in germe, nel loro nascere. La scienza naturale teorica è perciò del pari costretta, se vuole seguire le orme della storia della nascita e dello sviluppo dei suoi odierni princípi generali, a ritornare ai greci. E questa nozione si fa strada di giorno in giorno. Diventano sempre più rari gli scienziati che, mentre manipolano essi stessi residui della filosofia greca, per es. l'atomistica, come fossero eterne verità, guardino dall'alto in basso i greci con un atteggiamento di baconiana sufficienza perché questi ultimi non possedevano una scienza naturale empirica. Sarebbe solo desiderabile che questa nozione andasse oltre fino a una effettiva presa di conoscenza della filosofia greca.
La seconda forma della dialettica, che proprio agli scienziati tedeschi è piú vicina, è la filosofia classica tedesca da Kant a Hegel. Qui vi è stato già un inizio, in quanto è di nuovo divenuto di moda ricorrere a Kant, anche al di fuori del già citato neokantismo. Da quando si è scoperto che Kant è l'autore di due geniali ipotesi senza le quali la scienza naturale teorica non può ancora procedere - la teoria dell'origine del sistema solare, prima attribuita a Laplace, e la teoria del freno opposto alla rotazione terrestre dalla marea -, Kant è ritornato a meritati onori nel mondo degli scienziati. Ma volere studiare dialettica in Kant, sarebbe un lavoro inutilmente faticoso e poco remunerativo, giacché un compendio della dialettica, ampio e comprensivo, se anche sviluppato da un punto di partenza completamente falso, è a nostra disposizione nelle opere di Hegel
.
Dopo che, da un lato, la reazione contro la “filosofia della natura” in gran parte giustificata da quel falso punto di partenza e dall'impaludamento senza scampo della hegeleria berlinese, ha avuto libero corso, ed è degenerata in pura e semplice ingiuria, dopo che, d'altro lato, la scienza naturale è stata bellamente piantata in asso dalla eclettica metafisica corrente mentre aveva bisogno di aiuto teorico, sarà ben possibile pronunciare di bel nuovo il nome di Hegel di fronte agli scienziati naturalisti, senza provocare con ciò quel ballo di San Vito, nel quale Dühring si esibisce in modo così ameno.
Occorre stabilire prima di ogni altra cosa che qui non si tratta in alcun modo di una difesa del punto di partenza hegeliano: e cioè che lo spirito, il pensiero, l'idea sia l'elemento primigenio, e il mondo reale sia soltanto il ricalco dell'idea. Questo punto è stato già messo in chiaro da Feuerbach. Siamo tutti d'accordo sul fatto che in ogni campo della scienza, nella natura, come nella storia, bisognava prendere le mosse dai fatti
a noi dati, nelle scienze naturali quindi dalle diverse forme oggettive e di movimento della materia [XIII]; che quindi i nessi, anche nella scienza teorica della natura, non debbono essere introdotti bell'e costruiti nei fatti, ma debbono essere scoperti partendo da essi, e, una volta scoperti, debbono essere dimostrati sperimentalmente, per quanto è possibile.
Altrettanto inutile è pensare di mantenere in piedi il contenuto dogmatico del sistema hegeliano, così come era predicato dalla setta hegeliana berlinese dei vecchi e dei nuovi credenti. Con l'impostazione idealistica cade anche il sistema sopra costruitovi, quindi in particolare anche la filosofia della natura hegeliana. Ma a questo proposito è da ricordare che la polemica dei naturalisti contro Hegel, quando lo hanno rettamente inteso, si è indirizzata soltanto contro questi due punti:
l'impostazione idealistica e la costruzione del sistema, arbitraria nei confronti dei fatti.
Togliendo tutto questo, rimane ancora la dialettica hegeliana. È merito di Marx, nei confronti dei “molesti, presuntuosi e mediocri epigoni che ora dominano nella Germania”, di avere, in primo luogo, messo di nuovo in luce l'obliato metodo dialettico, il suo rapporto con la dialettica hegeliana come la sua differenza da essa, e di avere applicato al tempo stesso, nel “Capitale”, questo metodo ai fatti di una scienza empirica, l'economia politica. E con il risultato che, anche in Germania, la nuova scuola economica non riesce a sollevarsi al di sopra del libero-scambismo volgare, se non copiando Marx (spesso falsandolo notevolmente) con il pretesto di criticarlo.
In Hegel, regna nella dialettica la stessa inversione del nesso reale che ha luogo in tutti gli altri rami del suo sistema. Ma, come dice Marx: “La mistificazione alla quale soggiace la dialettica nelle mani di Hegel non toglie in nessun modo che egli sia stato il primo ad esporre ampiamente e consapevolmente le forme generali del movimento della dialettica stessa. In lui essa è capovolta. Bisogna rovesciarla per scoprire il nocciolo razionale entro il guscio mistico”.
Ma nelle stesse scienze naturali ci imbattiamo abbastanza spesso in teorie, nelle quali il rapporto reale poggia sulla testa, nelle quali l'immagine riflessa viene presa per l'archetipo, e che perciò hanno bisogno di essere sottoposte al medesimo capovolgimento. Teorie siffatte dominano il campo abbastanza spesso per un lungo periodo. Si tratta assolutamente del medesimo caso, se si prende l'esempio del calore che è stato ritenuto per quasi due secoli una misteriosa sostanza particolare, e della teoria meccanica del calore che ha compiuto il capovolgimento. Ciò nondimeno la fisica dominata dalla teoria della sostanza calorica ha scoperto una serie di leggi del calore della massima importanza, ed ha aperto la strada, in particolare con Fourier e Sadi Carnot, alla concezione giusta, la quale poi a sua volta doveva capovolgere, tradurre nel suo linguaggio le leggi scoperte dalla teoria che l'aveva preceduta [4]. Allo stesso modo, nella chimica, la teoria flogistica, con un lavoro sperimentale secolare, ha innanzitutto fornito il materiale con l'aiuto del quale Lavoisier poté scoprire nell'ossigeno descritto da Priestley il corrispondente reale del fantastico flogisto, e poté con ciò sbarazzare il terreno dall'intera teoria flogistica. Con ciò, però, i risultati sperimentali della flogistica non furono affatto messi da parte. Al contrario. Essi rimasero in piedi; soltanto la loro formulazione venne capovolta, venne tradotta dal linguaggio flogistico nell'ormai valido linguaggio chimico, ed essi continueranno a conservare la loro validità.
La dialettica hegeliana sta alla dialettica razionale come la teoria della sostanza calorica sta alla dottrina meccanica del calore, come la teoria flogistica sta a quella di Lavoisier.
NOTE DI ENGELS
[1] Le seguenti classiche parole mostrano quanto incrollabile possa essere ancora nel 1861 la fede in questa concezione da parte di un uomo che col suo contributo scientifico ha dato materiale di prima importanza per il superamento di essa:
“L'ordinamento del nostro sistema solare tende - per quanto siamo in
grado di penetrarlo - alla conservazione della struttura esistente ed alla sua invariabilità nel tempo. Così come nessun animale, nessuna pianta della terra a partire dai tempi più remoti non si è perfezionato o addirittura trasformato - così come in tutti gli organismi incontriamo forme contigue, ma non successive - così come la nostra stessa razza è rimasta sempre identica a se stessa come caratteri somatici - analogamente la grande molteplicità dei corpi celesti coesistenti non ci autorizza a vedere nelle varie forme solo diversi gradini di unico
sviluppo, ma piuttosto a concludere che ogni cosa creata ha all'inizio la sua compiutezza” (Mädler, “Populäre Astronomie”, Berlino, 1861, V ed., p. 316).
[2] Il difetto della concezione di Lyell - per lo meno nella sua prima formulazione - consisteva nel supporre costanti, in qualità e quantità, le forze agenti sulla terra. Per Lyell non esiste il raffreddamento della terra; la terra non si sviluppa in una determinata direzione, ma si trasforma soltanto in modo sconnesso, casuale.
[3] “The multiplicity of words in infinite space leads to the conception of
a succession of worlds in infinite time.” [“ La molteplicità degli universi nello spazio infinito porta alla concezione della successione di universi nel tempo infinito.”] Draper, “History of the Intellectual Development of Europe”, vol. Il, p. [325].
[4] La funzione C di Carnot è letteralmente invertita: 1/C = temperatura assoIuta. Senza questa inversione non se ne può ricavare nulla.
NOTE DEL CURATORE
[I] Annotazione a matita di Engels in margine al manoscritto: “Torricelli a proposito della sistemazione delle acque delle Alpi”.
[II] Cioè: centrifuga.
[III] Annotazione di Engels in margine al manoscritto: “La fissità della vecchia concezione della natura offriva il terreno per la sintesi generale di tutte le scienze naturali come un'unità complessiva. Gli enciclopedisti francesi, ancora giustapposizione puramente meccanica, poi contemporaneamente Saint-Simon e la filosofia tedesca della natura, portata a compimento da Hegel.
[IV] Annotazione a matita di Engels in margine al manoscritto: “ostacolo delle maree alla rotazione, pure di Kant, capito solo ora”.
[V] Annotazione di Engels in margine al manoscritto: “Embriologia”.
[VI] Annotazione di Engels in margine al manoscritto: “Ceratodo. Idem Archaeopteryx ecc.”.
[VII] Nel manoscritto questo capoverso è separato con tratti di penna orizzontali dal precedente e dal seguente, e cancellato con tratti in diagonale, come Engels usava fare con i capoversi di un manoscritto da lui utilizzati in altri lavori.
[VIII] Qui, come altrove, “albume” e “sostanze albuminose” vanno intesi come “sostanze proteiche”.
[IX] energia in potenza
[X] energia in atto
[XI] Fino a questo punto il manoscritto è cancellato da Engels con un tratto verticale di matita, dato che questa parte era stata da lui utilizzata nell'introduzione alla prima edizione dell'“Anti-Dühring”.
[XII] Nel manoscritto questa frase e la precedente sono cancellate a matita.
[XIII] Qui segue una frase interrotta e poi cancellata da Engels: “Noi materialisti socialisti andiamo in ciò addirittura notevolmente più avanti dei naturalisti in quanto...”.
29 luglio 2015