La Turchia bombarda lo Stato islamico in Siria
L'Arabia Saudita arresta decine di miliziani dell'Is. Bombardate anche basi del Pkk nel Kurdistan siriano
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan assicurava il 28 luglio che Ankara “non farà alcun passo indietro nella lotta al terrorismo” e che “continuerà con determinazione le operazioni militari contro l'Is e il Pkk”; un messaggio diretto anche al contemporaneo vertice di Bruxelles dove si riunivano, su richiesta di Ankara, gli ambasciatori dei 28 paesi della Nato per discutere delle misure per fronteggiare la minaccia dell'Is in Siria e Iraq. Erdogan chiede il via libera alla creazione di una “zona libera”, un'area cuscinetto liberata dal controllo dell'Is nella Siria settentrionale, un vecchio pallino della Turchia per mettere direttamente il naso nella crisi siriana che anche se ha al momento trovato un accordo di massima con gli Usa sconta la necessità di avere il via libera da parte del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, dove Russia e Cina si sono già opposte in passato minacciando l'uso del diritto di veto.
Si tratta comunque di mosse che segnano la volontà di Erdogan di rialzare la testa dopo la sconfitta elettorare del giugno scorso e di far valere le ambizioni egemoniche locali dell'imperialismo turco “minacciate” dalla nascita del nuovo asse politico regionale tra Usa e Iran. L'occasione gli è stata offerta dai recenti attacchi dell'Is sul suolo turco a Suruç e Diyarbakir che hanno portato Ankara il 24 luglio a dare il via libera ai suoi caccia per colpire postazioni dell'Is in Siria e a concedere all'imperialismo americano Usa l'uso della base aerea di Incirlik. Con queste decisioni il presidente turco pensa di sottrarsi anche alle accuse al suo finora criticato impegno nella guerra all'Is della coalizione di cui la Turchia fa parte, fra le quali il mancato impegno a sostenere la città curda di Kobane in Siria.
In un colloquio telefonico col presidente americano Obama, Erdogan si sarebbe impegnato anche a fermare il flusso dei “foreign fighters”, i combattenti stranieri che raggiungono i territori controllati dall'Is passando in Siria dal territorio turco. Il 27 luglio due militanti islamici ceceni erano fermati dalla polizia turca a Kilis mentre tentavano di unirsi ai combattenti di Is. Erdogan si allineava così alle azioni messe in campo dall'Arabia Saudita che ha arrestato decine di miliziani dell'Is.
La decisione più importante resta comunque quella della concessione della base di Incirlik che sarà utilizzata dalla coalizione imperialista internazionale per bombardare le basi dell'Is in Siria che si trovano a pochi chilometri di distanza senza dover partire dalle più lontane basi in Iraq, Giordania e nei paesi del Golfo.
I caccia turchi nei raid del 24 e 25 luglio hanno colpito basi dell'Is in Siria e dei curdi del Pkk nel nord dell'Iraq mentre la polizia arrestava oltre 500 militanti dell'Is e del Pkk in una ventina di province del paese. Erdogan metteva nel mirino della repressione anche le formazioni curde la cui crescita elettorale alle politiche del 7 giugno le aveva portate in parlamento e aveva contribuito a far perdere al partito del presidente, l'Akp, la maggioranza assoluta.
Con il lancio dell'offensiva “antiterrorismo” e i raid aerei contro le postazioni in Siria “la Turchia ha scelto da che parte stare, l'esercito turco fa parte dell'esercito dei crociati”, affermava un Imam del Califfato nel sermone per la preghiera del venerdì a Raqqa, la roccaforte dell'Is in Siria. Secondo quanto riferisce l'Osservatorio siriano per i diritti umani, l'imam ha affermato che Ankara “non fa nulla per difendere l'Islam ma lo sfrutta per raggiungere i propri interessi” e che la Turchia ha “bombardato civili e miliziani dell'Is solo per smentire chi la accusava di sostenere il Califfato”.
29 luglio 2015