La Fiom denuncia la grave discriminazione della FCA
Trasferita da Melfi a Chivasso operaia in maternità
Questo è il modello Marchionne
La Fiom ha recentemente denunciato il caso drammatico di un'operaia della FCA di Melfi, Giorgia Calamita, costretta dall'azienda con un provvedimento a doversi trasferire a 1.000 chilometri di distanza da casa sua, a Chivasso, in provincia di Torino.
La sua unica colpa è quella di essere rimasta incinta. La maternità si riteneva fino a pochi anni fa un diritto acquisito per ogni lavoratrice, ma evidentemente non è riconosciuta dalle nuove relazioni industriali introdotte da Marchionne alla Fiat oggi FCA.
La storia lavorativa di Giorgia, che oggi ha 43 anni, con la Fiat inizia nel 1992 quando con un contratto di formazione e lavoro inizia la sua esperienza all'interno di due società del gruppo, prima con la Sata spa a San Nicola di Melfi e poi, dopo qualche tempo, alla Fenice spa con la qualifica di “impiegata tecnologa”.
Impegnata nelle lotte sindacali sin dal suo ingresso nel 1992, la metalmeccanica si è sempre battuta per la difesa dei diritti dei lavoratori, tanto da essere stata in prima fila durante i 21 durissimi giorni della cosiddetta “primavera di Melfi” nel 2004, e comunque sempre in prima linea nelle lotte sindacali.
Come tante altre lavoratrici, rimane incinta due volte e, dopo aver usufruito del congedo per gravidanza difficile e di quello di maternità obbligatoria, nel 2009 rientra stabilmente in fabbrica, chiedendo, e ottenendo, di trasformare il proprio contratto da tempo pieno, a parziale orizzontale.
Non passa però neppure un anno e mezzo dal suo rientro al lavoro che l'azienda dispone nei suoi confronti, senza un motivo apparente, un demansionamento, retrocedendola da un ruolo di responsabilità a uno ripetitivo e privo di autonomia organizzativa.
Per Giorgia è l'inizio del suo calvario lavorativo, con un graduale deterioramento dei suoi rapporti prima con il suo diretto responsabile e poi con i vertici dello stabilimento di Melfi, fino ad arrivare al 9 dicembre 2014, quando la Fiom-Cgil regionale diffida il responsabile e la direzione del personale di Fenice spa dal continuare in simili atteggiamenti discriminatori.
L'azienda, nonostante il monito della Fiom, non desisteva dal suo atteggiamento vessatorio e l'operaia, unitamente alla Rsu Fiom, si rivolgeva alla Consigliera di Parità della Provincia di Potenza che fissava un incontro per il 24 aprile 2015 presso gli uffici della Provincia di Potenza convocando all'incontro anche l’azienda che, però, non si presentava.
Anzi, dopo aver ricevuto la notizia della convocazione, comunicava alla lavoratrice con una nota datata 8 aprile l’intenzione di trasferirla presso la sede di Chivasso in provincia di Torino, a 1.000 chilometri di distanza da Melfi, con effetto a partire dal 4 maggio successivo, un vero e proprio trasferimento punitivo per indurla al licenziamento.
La Fiom ha aperto subito un tavolo negoziale con l'azienda, ma da parte di quest'ultima vi è una chiusura totale, tanto che il provvedimento non è stato ritirato, e la lavoratrice, attualmente in malattia perché prostrata fisicamente e psicologicamente dalla vicenda, si è alla fine dovuta rivolgere, con l'aiuto della Fiom Basilicata, alla magistratura ordinaria per bloccare il provvedimento.
E' questo uno dei primi effetti congiunti del modello delle relazioni sindacali introdotte da Marchionne - con il quale le lavoratrici che diventano madri possono essere esposte alle più bieche ritorsioni e ricatti da parte dei padroni, finanche a essere trasferite a mille e più chilometri come è successo a Giorgia, facendo scempio dei diritti conquistati con dure lotte dalle lavoratrici all'interno delle fabbriche. In questo quadro si inserisce anche il famigerato Jobs Act del nuovo duce Renzi che manda in fumo il diritto alla stabilità del posto di lavoro e allarga la precarietà per i lavoratori.
29 luglio 2015