Nella Puglia di Emiliano e Vendola esiste ancora la schiavitù
Il supersfruttamento stronca la vita a 3 braccianti
400 mila lavoratrici e lavoratori assoggettati al caporalato. Il governo se ne accorge solo ora
La strage di braccianti che si è verificata nelle campagne pugliesi nel corso delle ultime settimane non è dovuta al caldo torrido di questa estate ma è la conseguenza diretta del brutale supersfruttamento capitalista a cui sono sottoposti migliaia di lavoratori agricoli, in gran parte migranti, trattati peggio delle bestie.
Anzi, a dirla tutta, le condizioni di vita e di lavoro imposte da padroni senza scrupoli e dai caporali-negrieri sono di vera e propria schiavitù e la situazione attuale per molti aspetti è ancora peggiore di quella conosciuta in pieno schiavismo perché allora il padrone doveva tenere in vita il suo schiavo per poterlo sfruttare, mentre il capitalismo, sempre alla ricerca del massimo profitto, adesso se ne frega se muore di fame, di stenti e di fatica.
Così è morta Paola Clemente, la bracciante agricola 49enne e madre di tre figli deceduta il 13 luglio mentre lavorava nelle campagne di Andria. Una vita distrutta dalle condizioni di lavoro massacranti per portare a casa 27 euro al giorno in cambio di 12-13 ore di lavoro nei campi pagate a 2 euro l'una più le 5 ore di viaggio necessarie per andare e tornare dal lavoro. La stessa fine che ha rischiato di fare Arcangelo De Marco, 42enne, collega e concittadino di Paola che lavorava per la stessa agenzia interinale e finito in coma il 5 agosto a seguito di un infarto che lo ha colpito mentre lavorava negli stessi vigneti in cui lavorava Paola. Entrambi ogni notte, alle 3 lasciavano la loro città, San Giorgio Jonico, nel tarantino, per raggiungere le campagne tra Andria e Canosa di Puglia, nel nord barese, dove lavoravano all’acinellatura dell’uva. Facevano un viaggio di oltre 150 chilometri, 300 tra andata e ritorno. Tornavano a casa dopo 12 ore, se tutto andava bene e alla fine erano anche costretti a pagare 12 euro al caporale per il trasporto.
A dir poco inquietanti risultano anche il silenzio e l'omertà del padrone e del caporale circa le cause che hanno provocato la morte di Paola. La bracciante è uscita di casa nel cuore della notte per andare a lavorare ed è tornata la sera in una bara senza che nessuno avesse denunciato l'accaduto. Solo a distanza di un mese, a seguito prima della segnalazione della Flai Cgil Puglia e poi della querela presentata dal marito della bracciante, la Procura di Trani ha deciso di aprire un’indagine sulla morte della donna e ha disposto la riesumazione del corpo e l’autopsia. Al momento tre persone risultano indate per omicidio colposo.
Il 20 luglio la stessa sorte tocca a Abdullah Mohammed, 47 anni, bracciante sudanese, che muore di infarto sotto il sole rovente mentre è impegnato nella raccolta dei pomodori in un campo tra Nardò e Avetrana in provincia di Lecce. Mohammed aveva un regolare permesso di soggiorno, ma non risulta assunto dalla ditta per la quale lavorava.
La scena si ripete ancora il 4 agosto quando in una azienda agricola di Polignano a Mare, muore un tunisino di 52 anni, con permesso di soggiorno, sposato, con quattro figli, residente a Fasano e regolarmente assunto. Il suo turno di lavoro era iniziato intorno alle 5 di mattina e da allora stava caricando e scaricando cassette di uva dai camion.
Ancora peggio forse è andata ad un altro immigrato scomparso dalle campagne di Rignano Garganico (Fg) e che, secondo la notizia diffusa dal coordinatore del Dipartimento Immigrazione della Flai-Cgil Puglia, Yvan Sagnet sarebbe morto mentre raccoglieva pomodori e il corpo potrebbe essere stato occultato dai caporali schiavisti.
Un'ecatombe di lavoratrici e lavoratori supersfruttati con contratti precari (voucher, contratti a termine, part-time ecc.) e senza diritti, cancellati dalla controriforma del lavoro imposta da Renzi col Jobs act che di fatto legalizza il lavoro nero in particolar modo nelle campagne dove praticamente non esiste alcun tipo di controllo e i braccianti sono alla totale mercé di padroni e caporali. Uno sfruttamento bestiale scandito da una giornata di lavoro che inizia con il buio, alle 5 del mattino, e dura fino alle 17-18 del pomeriggio, per 12 ore a temperature che in questi mesi di caldo in Puglia hanno raggiunto anche i 42 gradi. In cambio ricevono a una “paga” di 3,50 miseri euro ogni 3 quintali di raccolto che costringe i braccianti a spaccarsi letteralmente la schiena per riuscire a racimolare una ventina di euro in fondo alla giornata. Per non parlare delle vessazioni del padrone a cui sovente si aggiungono quelle dei caporali, i quali si fanno pagare a caro prezzo anche l’acqua, indispensabile per lavorare a 40 gradi.
Una realtà ben diversa dalle frottole raccontate dal fascista e razzista Salvini e dalla berlusconiana Santanché che dipingono i migranti come dei privilegiati a cui viene regalata casa e cibo per stare tutto il giorno al telefonino pagato da “noi italiani”.
Ma la cosa che fa ancora più rabbia è che le bestiali condizioni di lavoro dei braccianti, non solo in Puglia, sono da tempo e da tutti conosciute ma c'è voluto questa catena di morti per portare in prima pagina il problema. Basti pensare ad esempio che la stessa ditta per cui è morto Mohamed era già finita sotto processo per tratta di uomini due anni fa, coinvolta in una tratta di clandestini dall’Africa all’Italia, tanto che l’azienda era stata intestata alla moglie dell’effettivo proprietario. Si stima che siano almeno 400 mila le lavoratrici e lavoratori assoggettati al caporalato. Ma i governi centrale e regionale fanno finta di non vedere e non osano muovere un dito contro i padroni e caporali che continuano indisturbati a schiavizzare i lavoratori e fare profitto sulla loro pelle.
Accanto a molti italiani, che a causa della crisi hanno perso il lvaoro e sono di nuovo costretti ad accettare queste disumane condizioni di lavoro, ci sono migliaia di tunisini, marocchini e tantissimi altri loro colleghi giunti più di recente dai Paesi a sud del Sahara, alcuni già immigrati in Libia e poi costretti a fuggire dopo i bombardamenti imperialisti, oppure immigrati licenziati dalle fabbriche del Nord e riciclati braccianti per sfamare la famiglia.
Come già successo a Rosarno in Calabria, nel Casertano, anche in Puglia ci sono state rivolte e proteste dei migranti contro questo schiavismo degli anni 2000, per un aumento della paga, una parziale eliminazione del cottimo, acqua corrente, presidio sanitario e controlli medici. Ma il governo Renzi e la Puglia del governatore PD Emiliano e prima di lui dell’imbroglione trotzkista Vendola (Sel) hanno fatto finta di nulla coprendo di fatto i padroni e i caporali che praticano lo schiavismo scaricando tutte le colpe sulle organizzazioni criminali che gestiscono in massima parte il traffico dei migranti ma molto meno la loro forza lavoro.
Altro che una “Puglia migliore”, le “buone pratiche di governo”, “partecipazione attiva dei cittadini” ; Renzi, Emiliano e Vendola sono lì per difendere gli interessi dei pescecani capitalisti e non certo quelli dei lavoratori.
2 settembre 2015