Una generazione senza futuro
Il FMI prevede che solo fra 20 anni sarà ripristinato il livello di occupazione del 2007
All'Italia serviranno almeno vent'anni per riportare il tasso di disoccupazione al livello del 2007, cioè a prima della crisi dalla quale Palazzo Chigi va sbandierando in giro che siamo finalmente usciti. La previsione a dir poco raggelante, però, Renzi non la può attribuire stavolta ai soliti “gufi”, perché a farla è nientemeno che il Fondo monetario internazionale (FMI), la massima autorità monetaria mondiale e tutt'altro che ostile alla sua politica di governo, ma da considerarsi semmai tra i principali ispiratori delle sue “riforme” istituzionali, economiche e del lavoro.
Il dato alquanto fosco è contenuto infatti nel rapporto annuale sui Paesi dell'area euro pubblicato lo scorso 27 luglio, nel quale pure si riconosce che “l'Italia sta emergendo da tre anni di recessione”, ma al tempo stesso si sottolinea che perdurando gli attuali livelli di crescita a livello europeo, che dovrebbero essere di un modesto 1,5% quest'anno e del 1,7% nel 2016, mentre per l'Italia siamo ancora a pochi decimali sopra allo zero, al nostro Paese, come al Portogallo, occorreranno tutti i prossimi 20 anni per recuperare i posti di lavoro persi a causa della crisi iniziata otto anni fa. Posti che secondo dati della CGIA di Mestre ammontano a poco meno di un milione. Alla Spagna, che è il solo Paese europeo, insieme alla Grecia, ad avere un tasso di disoccupazione più alto del nostro (che attualmente viaggia al 12% a livello generale e al 44% per quella giovanile), occorreranno invece “solo” 10 anni.
In generale, la disoccupazione nell'area dell'euro, che attualmente è intorno al 11%, è “alta e probabilmente lo resterà per del tempo”, e anzi “la quota di disoccupati a lungo termine continua ad aumentare”. Tanto che - ammette il rapporto del FMI - considerata anche l'ancor più alta disoccupazione giovanile, questa situazione “potrebbe danneggiare il capitale umano potenziale, portando a una generazione perduta”.
Comunque, pur non potendo prendersela stavolta con i soliti “gufi” e “rosiconi”, Palazzo Chigi non ha rinunciato lo stesso ad un'immediata replica piccata, affidandola ai ministeri del Lavoro e del Tesoro: il primo per ripetere la solita solfa che grazie al Jobs Act stanno aumentando i contratti a tempo indeterminato, tacendo naturalmente sul fatto che si tratta essenzialmente di trasformazioni da vecchi contratti a tempo determinato per intascare i lauti sgravi contributivi concessi alle imprese, e non incidono sostanzialmente sul numero dei disoccupati. A questo proposito ad agosto è emersa una vergognosa manipolazione delle statistiche da parte del ministro del Lavoro Poletti per dimostrare che il Jobs Act sta funzionando e creando posti di lavoro; salvo poi, una volta scoperto da alcuni giornali confrontando il saldo gennaio-luglio con i saldi diffusi mese per mese, dover ammettere che effettivamente c'era stato “un errore materiale nei calcoli” (in pratica risultavano gonfiati di quasi quattro volte rispetto alla cifra reale i contratti a tempo indeterminato tra gennaio e luglio 2015 rispetto allo stesso periodo del 2014).
Il secondo, cioè Padoan, per precisare che la stima del Fondo sull'occupazione in Italia “è basata su una metodologia che non tiene conto delle riforme strutturali che già sono state introdotte, tra cui la “riforma del mercato del lavoro e la riduzione della tassazione sul lavoro”, né di quelle che “sono in corso di implementazione” come per esempio “l'efficientamento della pubblica amministrazione”. Inoltre, secondo la puntigliosa nota ispirata dal ministro del Tesoro, anche nello stimare la deludente crescita del Pil italiano il FMI non avrebbe tenuto conto dell'effetto delle “riforme” già attuate o messe in cantiere dal governo Renzi.
In realtà più che ai responsabili del FMI la replica stizzita del governo era diretta ai suoi critici interni, dal momento che il rapporto si limitava a registrare lo stato dei fatti senza avere nessuna intenzione di sconfessare il programma di “riforme” di Renzi. Tant'è vero che accanto all'allarme sulla ripresa troppo lenta che rischia di rimandare al 2035 il ritorno ai livelli di disoccupazione pre-crisi, il FMI raccomanda specificamente all'Italia una serie di interventi urgenti che, guarda caso, coincidono perfettamente con quelli già avviati o programmati da Renzi: come, si legge nel rapporto, “aumentare l'efficienza del settore pubblico e migliorare quella della giustizia civile”, “migliorare la flessibilità del mercato del lavoro e aumentare la concorrenza nei mercati dei prodotti e dei servizi, nonché di “adottare e attuare la prevista riforma della pubblica amministrazione, che dovrebbe includere riforme all'approvvigionamento dei servizi pubblici locali, delle gare pubbliche e della gestione delle risorse umane”.
In sostanza, chiarisce ancor meglio il documento, l'Italia deve “sfruttare l'opportunità offerta dalla ripresa ciclica e accomodante di politica monetaria (il Quantitative easing di Draghi, ndr) per accelerare le riforme strutturali. A livello nazionale le priorità sono le riforme per fare assunzioni e licenziamenti più facili, migliorare il clima economico e promuovere la concorrenza” (privatizzazioni e liberalizzazioni). Mentre a livello regionale “le priorità sono ad attuare rapidamente la direttiva sui servizi di eliminare le barriere nazionali di lunga data (aprire il mercato dei servizi alla concorrenza straniera senza regole, ndr); migliorare i regimi di insolvenza e spingere per un mercato unico dei capitali, dei trasporti, dell'energia e dell'economia digitale”.
Il tutto accompagnato da un quadro di “governance più forte e più semplice da sostenere tali sforzi”, conclude il documento. Il che, guarda caso, coincide alla lettera proprio con la legge elettorale fascista già varata e la controriforma istituzionale e costituzionale piduista che il nuovo Mussolini sta per far ingoiare al Parlamento.
23 settembre 2015