Via libera agli ultimi 4 decreti attuativi del Jobs act
I padroni possono spiare i lavoratori. Ridotta la cassa integrazione
Il governo del nuovo duce Renzi ha tirato dritto per la sua strada come aveva promesso. Con gli ultimi quattro decreti attuativi licenziati dal Consiglio dei ministri ai primi di settembre, può dichiarare trionfalmente di aver portato a termine il Jobs Act, ovvero la controriforma di stampo fascista che annulla di fatto il diritto del lavoro borghese. Un colpo definitivo a quelle regole ottenute dai lavoratori e dai sindacati con le dure lotte che segnarono il dopoguerra e che ebbero nello Statuto dei Lavoratori, introdotto nel 1970, uno dei passaggi più significativi.
Uno dei quattro decreti, chiamato burocraticamente “disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità” racchiude la famigerata norma che permette ai padroni di spiare i lavoratori. Finora l'articolo 4 dello Statuto manteneva la privacy del dipendente ed era permesso installare videocamere esclusivamente per motivi di sicurezza per i quali era comunque indispensabile un accordo e il consenso dei rappresentati dei lavoratori.
L'ex presidente delle cooperative legate al PD, ammanigliato e socio in affari a Roma con gli esponenti di Mafia capitale, ora ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha tentato di giustificarsi con la necessità di regolare la materia. In realtà si è manomesso l'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori perché se continuerà a servire un accordo sindacale per poter installare un impianto di sorveglianza fisso, nessuna autorizzazione servirà per dotare i lavoratori di strumenti di lavoro dal cellulare al tablet, al Pc, che allo stesso tempo permettono di sorvegliare, con gli strumenti elettronici, digitali e satellitari, i dipendenti.
Il ministro Poletti ha cercato invano di assicurare i sindacati, che hanno posto subito le loro obiezioni, che il tutto si svolgerà sempre e solo all’interno dei paletti relativi all’informazione e al rispetto della privacy. Dichiarazioni prive di fondamento che non trovano alcun riscontro nel testo del decreto che invece ci ricorda come le indicazioni e le informazioni che l’azienda raccoglie saranno utilizzabili a “tutti i fini connessi al rapporto di lavoro”, quindi potenzialmente anche a fini disciplinari, e quindi eventualmente anche per licenziare.
Un'ulteriore conferma, semmai ce ne fosse bisogno, che il Jobs Act non ha assolutamente niente a che vedere con la crescita dell'occupazione come ciancia il governo. Si tratta di un'ulteriore misura che contribuisce a instaurare nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro un clima da caserma, perfettamente allineata con lo spirito e gli scopi reali del Jobs Act, che il PMLI ha bollato come controriforma di tipo fascista che instaura relazioni industriali e sindacali di stampo mussoliniano, reintrodotte per la prima volta in Fiat attraverso il famigerato “modello Marchionne”.
Un altro decreto riguarda la cassa integrazione (CIG) e gli “ammortizzatori sociali” in genere. Anche in questo caso Renzi e i suoi ministri, supportati dai mass-media di regime in larghissima misura allineati alle veline governative, cercano di dare una visione completamente distorta della realtà presentando il relativo decreto come l'estensione della Cig ai lavoratori delle piccole aziende, da 6 fino a 15 dipendenti. In effetti si calcola che saranno coinvolti 1,4 milioni di lavoratori finora esclusi, ma non si tratta di CIG vera e propria ma di ammortizzatori analoghi da erogare tramite “fondi di solidarietà bilaterali”, che ovviamente prevedono il pagamento di nuovi contributi da parte dei lavoratori.
Viene cancellata la Cig in deroga (Cigd), ossia quel sostegno erogato in casi speciali dopo la fine della Cig ordinaria e straordinaria. Una misura che ha riguardato le piccole aziende e spesso anche grandi gruppi industriali coma la Fiat e l'Ilva di Taranto. Uno strumento che talvolta è stato “usato” dai padroni e dai grandi capitalisti per farsi aiutare dallo Stato ma che da una parte è servito a sostenere migliaia di lavoratori, assieme alle loro famiglie, che altrimenti senza stipendio sarebbero morti letteralmente di fame. Dal 2017 scomparirà anche la Cig a zero ore, in cui l'Inps deve erogare tutto l'importo dell'assegno perché il dipendente è sospeso del tutto dal lavoro.
Ma anche la Cig che rimane viene ridotta. Sia quella ordinaria che straordinaria vengono racchiuse in periodi ben definiti e più brevi. Per fare un esempio la cassa straordinaria era prevista per 36 mesi con la possibilità di essere prolungata. Con questo decreto attuativo il periodo si restringe a 24 mesi in un arco di 5 anni, dopodiché cesserà del tutto, inoltre i padroni non dovranno neppure più comunicare alle organizzazioni sindacali i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e le modalità di rotazione, favorendo in questo modo palesi discriminazioni.
Insomma, quello che il governo spaccia per regolamentazione dei mezzi audiovisivi e digitali sui luoghi di lavoro ed estensione degli “ammortizzatori sociali”, in realtà si traduce nella possibilità per i padroni di usufruire della nuova tecnologia per spiare i lavoratori e della riduzione della Cassa Integrazione Guadagni. In questi due decreti è inserita anche la disposizione che prevede che le dimissioni si potranno dare solo per via telematica, quindi non saranno più valide le dimissioni in bianco firmate al datore di lavoro. Una norma tanto sbandierata dal governo ma del tutto superflua grazie alla possibilità di licenziare liberamente fornita dal Jobs Act.
Gli altri due decreti riguardano il riordino dell’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione, e quello in materia di servizi per il lavoro e le politiche attive. Il primo decreto riguarda la centralizzazione dell'Ispettorato del Lavoro, che non è detto che sia un miglioramento specie in un momento di tagli agli organici che puntualmente seguono ogni ristrutturazione di enti pubblici. Il secondo prevede la riorganizzazione dei servizi per l'impiego e delle “politiche attive per il lavoro” con la nascita di una nuova agenzia che avrà funzione di coordinamento, l'Anpal, ma senza nessun nuovo onere finanziario per lo Stato. Da sottolineare che saranno prese misure “per rafforzare la condizionalità delle erogazioni”, quindi per controllare in modo poliziesco che il lavoratore partecipi ai vari corsi di formazione in concessione anche alle agenzie private di collocamento.
Mancano ancora alcuni passaggi ma si può dire concluso l'iter legislativo di questa controriforma che porterà conseguenze devastanti per i diritti e le condizioni di vita dei lavoratori che poteva e doveva trovare un'opposizione, specie sindacale, ben più forte e decisa. A parte i sindacati di “base”, però troppo deboli e divisi, abbiamo visto come la Cisl è stata pressoché complice con il governo, la Uil si è svegliata tardivamente, mentre la Cgil ha oscillato e atteso, riponendo fiducia nella falsa opposizione della “sinistra” PD, senza portare a fondo la mobilitazione (seppur tardiva) e la lotta, nonostante con gli scioperi e le manifestazioni dello scorso autunno la classe operaia e i lavoratori italiani avessero dimostrato che c'era la forza e la volontà per fermare il Jobs Act e il governo del nuovo duce Renzi.
23 settembre 2015