Soldati russi in Siria al fianco delle forze di Assad contro l'IS che avanza
Anche Hollande bombarda l'IS

 
Centinaia di migliaia di profughi siriani da fine agosto sono fuggiti verso i paesi del Centroeuropa segno anche di una evoluzione della crisi che suona le campane a morto per il regime del presidente Assad, incalzato soprattutto dall'avanzata delle forze dello Stato islamico (Is) nelle regioni al confine con l'Iraq e dalle altre formazioni dell'opposizione armata che operano nel sud e nel nord del paese. L'esercito di Damasco è in difficoltà e riesce a reggere ancora grazie agli aiuti iraniani e soprattutto russi. Putin nel settembre 2013 era riuscito a fermare la macchina da guerra della cordata imperialista guidata da Usa e Francia che viaggiava a tutta velocità verso l'aggressione alla Siria; l'attacco a Damasco di questi paesi imperialisti, cui si aggiungevano Turchia e paesi arabi reazionari, proseguiva tramite il finanziamento e l'addestramento di gruppi dell'opposizione che coglievano solo parziali successi fino a essere soppiantati dalla forze dell'Is. L'aiuto di Mosca a Damasco è nel frattempo aumentato e negli ultimi mesi ha assunto proporzioni notevoli, dal continuo arrivo di navi con materiale bellico nel porto di Tartus a un numero sempre crescente di soldati presenti nel paese, finora classificati come "addestratori", al ponte aereo sull’aeroporto di Latakia per i soldati.
Lo scorso 9 settembre nel porto di Tartus arrivava la nave da sbarco “Saratov” carica di mezzi blindati, che seguiva di pochi giorni l'arrivo della “Nikolai Filtchenkov”, altra nave da trasporto carica di lanciagranate, mezzi blindati e camion militari. La notizia lanciata da notiziari libanesi era confermata dalla
portavoce del ministero degli esteri russo: "inviamo armi contro la minaccia terroristica, che ha raggiunto una dimensione senza precedenti in Siria e nel vicino Iraq. Se saranno richieste misure aggiuntive da parte nostra per aumentare il sostegno alla lotta anti terrorismo daremo un'adeguata valutazione alla questione ma in ogni caso sulla base del diritto internazionale e della legislazione russa". Il portavoce del Cremlino precisava che la Russia sta fornendo assistenza alle truppe siriane perché sono “l’unica forza che può opporre resistenza” all’Is.
Il ministro degli esteri russo Serghiei Lavrov ribadiva in una telefonata al segretario di Stato americano John Kerry la "necessità di respingere in modo congiunto i gruppi terroristici che hanno occupato una considerevole parte della Siria e che stanno minacciando la sicurezza internazionale. Il maggior impatto della lotta contro questi terroristi lo sta sostenendo l'esercito siriano" che la Russia aiutava militarmente "con tutto ciò che è necessario per non permettere un altro scenario libico“ e perché “non c’è nessun embargo che vieta di fornire armi alla Siria”.
La posizione della Russia di Putin è chiara: Assad va aiutato mentre il vero nemico da battere è lo Stato islamico. L'imperialismo russo pensa di conquistarsi sul campo un ruolo nella coalizione anti Is a guida Usa, partendo dalla posizione di vantaggio di essere l’unica potenza straniera ad avere una base militare in Siria, quella di Tartus dal 1971, che per Mosca è di importanza strategica nel Mediterraneo, e di difensore del regime di Assad. Gli altri sostengono gruppi dell'opposizione contro cui combatte l'esercito di Assad, da quelle del nord foraggiate dai servizi francesi e inglesi che stanno avanzando verso l'aeroporto di Latakia. Della diatriba finora ha beneficiato l'Is che ha occupato lo spazio principale.
La regione siriana sulla costa del Mediterraneo è in maggioranza abitata dalla minoranza sciita degli alawiti, la famiglia di provenienza degli Assad, e potrebbe diventare la zona ridotta dove il regime siriano manterrebbe il potere; e Mosca le sue basi se riesce a difenderle con un intervento che da aiuti in mezzi militari potrebbe trasformarsi in intervento attivo.
Mettendo a disposizione i suoi mezzi e soldati alla coalizione guidata dagli Usa Putin può restare attore imperialista di primo livello nella crisi mediorientale e provare a uscire dall’isolamento e alleggerire le sanzioni in seguito alla crisi ucraina.
D'altra parte l'imperialismo americano al momento si limita alla tattica dei raid aerei contro l'Is che durano da un anno ma non spostano i rapporti di forze sul terreno. E non può far altro, come il segretario di Stato americano John Kerry, che esprimere la preoccupazione degli Stati Uniti per il rafforzamento della presenza russa in Siria; "Queste azioni - affermava Kerry - potrebbero causare un’ulteriore escalation del conflitto, portare a un maggior numero di perdite di vite innocenti, aumentare il flusso di rifugiati e aumentare il rischio di un confronto con la coalizione anti-Isis in Siria”. Quello che preoccupa gli Usa è ovviamente tenere la coalizione anti Is. Nella coalizione imperailista ha stretto il legame con l'Iran, dopo l'intesa sul nucleare, ma non è detto riesca a intaccare l'altrettanto stretto legame Teheran-Mosca in difesa dell'asse sciita che va fino a Damasco e agli Hezbollah libanesi che sono intervenuti in Siria nelle zone di confine.
A complicare il puzzle siriano si aggiunge l'azione degli imperialisti sionisti di Tel Aviv che sostengono le milizie anti Assad che operano nel sud della Siria e a ridosso del Golan. Israele offre quantomeno assistenza medica a queste formazioni con le quali, secondo un rapporto degli osservatori dell’Onu, mantiene contatti più o meno regolari.
Infine a breve entreranno in azione anche i caccia francesi che dall'8 settembre hanno iniziato le missioni di ricognizione sulla Siria "in preparazione per attacchi contro lo Stato Islamico", come annunciato dal presidente François Hollande. Gli attacchi saranno condotti dai Mirage 2000 di base in Giordania. Appena un passo interventista dietro ci sono la Gran Bretagna col Cancelliere dello Scacchiere George Osborne che ha invocato la necessità di "affrontare il dramma dei profughi alla sua origine" e il Canada dove il leader conservatore Stephen Harper ha affermato che "non si può rifiutare l’intervento militare. Milioni di persone sono massacrate dallo Stato Islamico. Bisogna fare di più per affrontare le cause, e noi faremo di più".

23 settembre 2015