Accusato di concussione aggravata in concorso
Alla sbarra Vendola
Assieme a lui, Fratoianni (SEL) e Pentassuglia (PD), rinviati a giudizio in tutte 44 persone, tra cui i figli di Riva, per il disastro ambientale provocato dall'Ilva di Taranto
Il 23 luglio il giudice per l'udienza preliminare (Gup) del tribunale di Taranto, Vilma Gilli, ha rinviato a giudizio 44 persone fisiche e tre società per l'inchiesta “Ambiente Svenduto” inerente l'immane disastro ambientale provocato dall'Ilva nel capoluogo ionico negli ultimi 20 anni di attività.
Tra gli imputati rinviati a giudizio spicca l'ex presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, accusato di concussione aggravata in concorso nel processo che comincerà il 20 ottobre prossimo.
I fatti contestati sono compresi nel periodo che va dal 22 giugno 2010 al 28 marzo 2011. Secondo l'accusa, il capobastone trotzkista di Sel ha esercitato pressioni sul direttore generale di Arpa Puglia (Agenzia regionale di protezione ambientale), Giorgio Assennato (a sua volta a giudizio per favoreggiamento personale), per far "ammorbidire" la posizione della stessa Agenzia nei confronti delle emissioni nocive prodotte dall'Ilva. In questo modo, sostiene la Procura, Vendola ha consentito all'azienda di continuare a produrre senza riduzioni di emissioni inquinanti, come invece suggerito dall'Arpa in una nota del 21 giugno 2010 stilata dopo una campionatura che aveva rilevato tra la popolazione picchi di malattie tumorali e varie altre malattie causate dal benzoapirene e degli altri nemerosi veleni prodotti dall'Ilva.
Non solo. Vendola, pur di favorire i lauti profitti dei Riva realizzati sulla pelle dei lavoratori e della popolazione, è arrivato a “minacciare la non riconferma di Assennato, il cui mandato scadeva nel febbraio 2011”.
La concussione aggravata è contestata a Vendola in concorso con l'ex responsabile Rapporti istituzionali dell'Ilva Girolamo Archinà, l'ex vice presidente di Riva Fire Fabio Riva, l'ex direttore dello stabilimento siderurgico di Taranto Luigi Capogrosso e il legale dell'Ilva Francesco Perli.
Insieme a Vendola finiranno alla sbarra anche tutti gli altri boss politici e istituzionali che, secondo la Procura, hanno consentito all’Ilva di causare il disastro ambientale, non intervenendo a dovere e per tempo, ed addirittura risultando complici del sistema clientelare e di potere messo in piedi dall’azienda.
In prima fila sul banco degli imputati ci saranno anche il parlamentare di Sel Nicola Fratoianni (all’epoca assessore regionale) e il consigliere regionale del PD Donato Pentassuglia.
Rinviato a giudizio anche l’attuale sindaco di Taranto, Ippazio Stefàno (Sel), accusato di abuso d’ufficio: i Pm gli contestano “di aver omesso di fare delle ordinanze contingibili ed urgenti” a tutela dell’ambiente e della salute pubblica. Di concusssione deve invece rispondere l’ex presidente della provincia, Gianni Florido (PD), perché, secondo l’accusa, ha esercitato pressioni sui dirigenti del settore Ambiente dell’ente per concedere l’autorizzazione alla costruzione e all’utilizzo di discariche all’interno dell’Ilva (stesso reato contestato all’ex assessore Michele Conserva).
Alla sbarra anche l’allora capo della segreteria tecnica dell'ex ministro dell’ambiente Stefania Prestigiacomo, Luigi Pelaggi, e Dario Ticali, ex presidente della commissione ministeriale che rilasciò l’autorizzazione integrata ambientale alla fabbrica accusati di favoreggiamento nei confronti di Archinà.
Rinviati a giudizio Fabio e Nicola Riva, figli del padrone Emilio (deceduto lo scorso anno). Le accuse per i due industriali, e per l’ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso, l’ex responsabile delle relazioni istituzionali Girolamo Archinà, l’avvocato del Gruppo Riva Franco Perli e i cinque fiduciari che componevano il cosiddetto «governo ombra» nella fabbrica Lanfranco Legnani, Alfredo Ceriani, Giovanni Rebaioli, Agostino Pastorino ed Enrico Bessone, è di associazione a delinquere per aver controllato “l’emissione di provvedimenti autorizzativi nei confronti dello stabilimento Ilva” e per “consentire al predetto stabilimento la prosecuzione dell’attività produttiva”. Manovre che avrebbero poi causato il disastro ambientale, l’avvelenamento di sostanze alimentari e l’omissione di cautele sui luoghi dove operavano i dipendenti. Fabio Riva, in concorso Archinà e l’ex consulente della procura Lorenzo Liberti, deve difendersi anche dall’accusa di corruzione in atti giudiziari per aver versato, secondo i pubblici ministeri, una tangente di 10mila euro per ammorbidire una perizia sull’Ilva.
Due imputati sono già stati condannati con rito abbreviato: si tratta di don Marco Gerardo, ex segretario dell'ex arcivescovo di Taranto Benigno Luigi Papa; e dell'ex consulente della procura ionica Roberto Primerano. Al sacerdote, accusato di favoreggiamento personale, sono stati inflitti 10 mesi di reclusione (stessa richiesta della procura); Primerano è stato condannato a tre anni e quattro mesi per falso ideologico e assolto dalle accuse di disastro doloso in concorso e avvelenamento in concorso di acque o di sostanze alimentari. E' stato invece assolto l'ex assessore regionale all'Ambiente Lorenzo Nicastro dall'accusa di favoreggiamento personale.
Secondo l’inchiesta condotta dai carabinieri del Noe di Lecce e dalla Guardia di finanza di Taranto, la continua emissione di sostanze nocive è avvenuta con “piena consapevolezza” determinando un “gravissimo pericolo per la salute pubblica” e causando “eventi di malattia e morte nella popolazione”, mettendo a rischio la salute dei lavoratori dell’Ilva e avvelenando i terreni su cui pascolavano greggi di pecore e le acque nelle quale si allevavano le cozze di Taranto. Checché ne dica l'imbroglione Trotzkista Vendola, Taranto è ancora oggi la città dove 30 persone ogni anno perdono la vita a causa dall’inquinamento, i bambini si ammalano di tumore in misura del +54% rispetto alla media pugliese e gli operai muoiono in fabbrica per gravi incidenti sul lavoro.
23 settembre 2015