Berlusconi non c'era riuscito
Via libera alla legge bavaglio
La Fnsi: Questo testo è una minaccia per il diritto di cronaca. Forza Italia al PD: “Benvenuti tra noi”
“Benvenuti tra noi, che questa riforma abbiamo cercato di farla in passato ma non ci è stato consentito. L'arrivo in aula di questo tema è un riconoscimento al lavoro svolto in passato da Forza Italia”. Queste parole sarcastiche rivolte al PD da parte dell'ex presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, il berlusconiano Francesco Paolo Sisto, descrivono perfettamente il senso della votazione con cui il 23 settembre la Camera ha dato via libera alla legge bavaglio sulle intercettazioni, la stessa che per quattro anni Berlusconi tentò invano di far passare in parlamento, e che adesso è passata, ma con la firma del PD in calce.
Come per tante altre “riforme” neofasciste – vedi l'abolizione dell'articolo 18, la responsabilità civile dei giudici, la legge elettorale fascista Italicum e l'abolizione del Senato - quello che non è riuscito a fare Berlusconi in tanti anni è riuscito o sta riuscendo a farlo Renzi in pochi mesi: come nel caso di questa legge concepita appositamente, con la scusa di tutelare la privacy, per legare le mani ai magistrati e mettere il bavaglio alla stampa, rendendo più difficile l'uso delle intercettazioni nelle inchieste sui mafiosi e i politici corrotti e proibendone la diffusione giornalistica affinché l'opinione pubblica non ne venga mai a conoscenza.
Questa legge scandalosa, che porta la firma del ministro della Giustizia Orlando e della responsabile Giustizia del PD, Donatella Ferranti, è stata votata infatti da tutto il PD, sinistra bersaniana e cuperliana compresa, e dall'NCD di Alfano, lo stesso che da Guardasigilli di Berlusconi l'aveva firmata e portata avanti in parlamento, per poi arenarsi per la forte mobilitazione politica e le proteste di magistrati, giornalisti e società civile, e per la caduta del governo Berlusconi. Finché non è arrivato il nuovo duce Renzi a riesumarla e riportarla in auge, dopo il patto del Nazareno col delinquente di Arcore, del cui inconfessabile pacchetto di scambio la legge bavaglio faceva parte integrante. Tanto più che non faceva comodo solo alla destra, ma anche alla “sinistra” borghese, sempre più frequentemente pescata dai magistrati con le mani nel sacco della corruzione politica e degli scambi mafiosi.
É così che a marzo, dopo lo scandalo delle grandi opere che ha coinvolto l'ex ministro Lupi costringendolo a dare le dimissioni per un'intercettazione in cui chiedeva e accettava favori da uno degli imputati, Renzi ha rotto ogni indugio e ha annunciato che la legge bavaglio sarebbe stata fatta al più presto, e comunque entro quest'anno. Ad aprile si era spinto addirittura a darla per cosa fatta prima delle elezioni regionali.
Una legge delega in bianco al governo
L'intenzione di Renzi di andare prima possibile alla resa dei conti con giudici e giornalisti scomodi si era poi rafforzata ulteriormente dopo la pubblicazione delle intercettazioni che lo coinvolgevano direttamente col generale Adinolfi, mentre gli rivelava al telefono di stare progettando la defenestrazione di Letta. Tanto che si è arrivati ad un passo dall'approvazione della legge ad agosto, alla vigilia delle ferie e approfittando del mese estivo. Non ce l'ha fatta e la Legge è stata rimandata a settembre, ma in compenso, essendo ormai a ridosso della sessione di bilancio (legge di stabilità), è stata discussa con tempi contingentati (12 ore e mezzo in tutto per discutere 34 articoli e 300 emendamenti!), e approvata a passo di carica, con la benedizione della presidente Boldrini: In aula soltanto i deputati del M5S hanno inscenato una protesta, presentandosi imbavagliati e inalberando cartelli a formare la scritta “no legge bavaglio”, subito rimossi dai commessi prontamente sguinzagliati dalla Boldrini.
Il taxi parlamentare che è servito a traghettare la legge bavaglio era la “riforma” del processo penale, in cui è stata inserita come delega al governo: ossia, con una manciata di righi in cui in sostanza si dice, attraverso una formula quantomai contorta e fumosa, che sarà direttamente il governo a metterla nero su bianco, al fine di stabilire “prescrizioni che incidano sulle modalità di utilizzazione cautelare dei risultati delle captazioni”, le quali “diano una precisa scansione all'udienza di selezione del materiale intercettativo”, e con riguardo “alla tutela della riservatezza delle comunicazioni e conversazioni di persone occasionalmente coinvolte”. Si tratta quindi, data la vaghezza e la variabilità di interpretazioni a cui queste parole si prestano, della facoltà concessa dal parlamento al governo di regolare questa scottante materia a proprio piacimento, come con un vero e proprio decreto legge. E senza nemmeno l'obbligo di conversione in parlamento, dato che sulle deleghe quest'ultimo può dare solo pareri consultivi: Berlusconi non avrebbe mai pensato di arrogarsi questo arbitrio neanche nei suoi sogni più audaci!
Ulteriori peggioramenti in corsa
C'è da aggiungere anche che da quando è stato presentato per la prima volta in commissione Giustizia della Camera lo scorso luglio, il provvedimento ha subito ulteriori peggioramenti strada facendo per via delle richieste dell'NCD, che del resto il PD ha accolto sempre e senza farsi troppo pregare, salvo riservarsi qualche lieve ritocco per coprirsi a sinistra. É il caso per esempio della notte del 24 luglio, quando con i voti di NCD, PD e Forza Italia è passata alla chetichella una proposta del deputato Alessandro Pagano, che disponeva il carcere fino a 6 anni per chi effettua filmati o registrazioni audio di nascosto. Una norma che nella fattispecie puntava a salvare Nunzia De Girolamo per le registrazioni a lei fatte da un funzionario Asl, ma che in generale mirava di fatto ad abolire il diritto di cronaca per i giornalisti.
Le associazioni dei giornalisti esprimevano subito il loro allarme e indignazione (“la politica sogna giornalisti che fanno il compitino e vanno a casa presto la sera”, commentava ironico il conduttore di “Piazza pulita”, Corrado Formigli). Mentre anche l'Associazione nazionale dei magistrati (Anm), col suo presidente Sabelli, si dichiarava nettamente contraria a “qualunque intervento che possa comprimere o mettere a rischio il diritto di cronaca e a qualunque ipotesi di carcere”.
Orlando ha “corretto” successivamente (ma non ritirato) la norma in questione, abbassando il carcere a 4 anni e precisando che non vale per i giornalisti che esercitano il diritto di cronaca. Anche perché altrimenti andrebbe contro una sentenza della Corte europea dei diritti umani che ha già stabilito la prevalenza del diritto di informazione pubblica su quello del singolo individuo. Ma l'infamia di cui si è macchiato il PD resta intatta, per una norma fatta a puro scopo intimidatorio contro la libertà di informazione, dato che è già punibile a legislazione vigente chi effettua registrazioni a fini privati di lucro o per danneggiare un soggetto.
E sempre a scopo intimidatorio, stavolta verso i magistrati, è un'altra norma, proposta dall'NCD e fatta propria dal PD (ma votata stavolta anche dal M5S), in forza della quale il ministro della Giustizia deve relazionare ogni anno in parlamento sui casi di “ingiusta detenzione” confermati dalla Cassazione e sui casi di custodia cautelare, con la segnalazione dei magistrati responsabili per la loro punizione da parte del titolare dell'azione disciplinare, ossia il Guardasigilli stesso: “Un processo pubblico” ai giudici e ai pubblici ministeri, lo ha definito senza mezzi termini Sabelli, che ha aggiunto significativamente: “Ormai ci si preoccupa più della diffusione delle intercettazioni che dello scandalo dei fatti di corruzione”.
A questo c'è da aggiungere che mentre da una parte con questa “riforma” si aggravano le pene per i reati comuni, come furti, scippi e rapine, dall'altra si obbligano i pm a presentare la richiesta di rinvio a giudizio al Gip entro solo 3 mesi dall'apertura delle indagini: un tempo assolutamente insufficiente per i casi di mafia, corruzione e reati finanziari, che richiedono indagini molto lunghe e complesse. Dopo le forti proteste dei magistrati e un intervento “discreto” di Mattarella, Orlando ha accettato di prorogarli di altri 3 mesi, su “motivata” richiesta; e fino ad un anno per i casi di mafia e terrorismo. Ma non, guarda caso, per la corruzione e i reati finanziari.
Dal testo è sparita anche l'udienza filtro in cui le parti avrebbero dovuto concordare le intercettazioni non utilizzabili e non pubblicabili perché “non attinenti” al reato. E non poteva essere altrimenti, perché questo avrebbe comportato mettere al corrente il reo delle prove a suo carico prima ancora di ricevere l'avviso di reato. Ma, ambiguamente, l'NCD ha voluto – e il PD ha accettato – che ci fosse scritto che nella selezione del materiale sarà “rispettato il contraddittorio tra le parti”. E in ogni caso saranno escluse le intercettazioni di chi è “occasionalmente coinvolto”: quindi scordiamoci di sapere più di scandali come quelli Lupi-Rolex, Cancellieri-Ligresti, Renzi-Adinolfi, per non parlare dei tanti di Berlusconi, e così via.
Persino l'avvocato Giulia Bongiorno, che è stata a suo tempo relatrice della legge Alfano nel tentativo di modificarla per renderla più digeribile al parlamento e ai magistrati, si è detta “stupefatta” che il PD, “che all'epoca applaudiva le mie battaglie contro il bavaglio, stia lavorando a un maxi bavaglio”. E ha chiesto al parlamento “un sussulto di dignità”, perché “qui si ricorre alla delega su un tema che incide sul diritto di cronaca. E il parlamento non può essere esautorato sulla libertà di stampa”.
Silenzio complice dei media di regime
Quello che è ancor più vergognoso di questa legge bavaglio delega di Renzi, che ora va al Senato per l'approvazione definitiva, è che è passata nel silenzio complice di tutti i media del regime neofascista, tanto della destra come della “sinistra” borghese: compresa La Repubblica
, che tanto si era stracciata le vesti durante la battaglia civile contro la precedente versione Berlusconiana firmata da Alfano, al punto di presentarsi con la prima pagina bianca e un post-it giallo con la scritta: “La legge bavaglio nega ai cittadini il diritto di essere informati”. Stavolta invece il quotidiano di De benedetti, Scalfari e Mauro, ha dedicato a malapena qualche articolo nelle pagine interne, fino a toccare il fondo della vergogna con l'articolo dedicato all'approvazione del provvedimento, relegato a pagina 12 e col titolo “neutro” che si limitava a recitare: “Battaglia sul 'bavaglio'. Primo sì alla legge. L'Anm: molto deludente”. Notare il termine “bavaglio” messo tra virgolette, a sottolineare che per il megafono ufficioso di Renzi questa legge non è più da considerarsi una negazione del “diritto di essere informati”.
Ben diverso, invece, il giudizio dei giornalisti e dei magistrati. Per la Federazione nazionale della stampa (Fnsi), “questo testo è una minaccia per il diritto di cronaca”. “La condivisibile esigenza di tutelare la riservatezza delle persone – ha dichiarato il suo segretario Lorusso – non può giustificare alcuna forma di bavaglio, ma deve tenere conto del fatto che chi riveste una carica pubblica deve accettare onori e oneri, a cominciare da una privacy attenuata rispetto a quella dei cittadini comuni”. E quanto ai magistrati, non si limitano affatto a giudicarla “deludente”, come insinua La Repubblica
: “Mentre dilaga la corruzione il problema sembra essere un altro, la riservatezza da garantire a certi personaggi pubblici”, ha stigmatizzato infatti il via libera alla legge bavaglio il segretario dell'Anm, Maurizio Carbone.
30 settembre 2015